Il 6 aprile del 1924 si tennero le ultime libere elezioni politiche in Italia, che videro la vittoria chiara della Lista Nazionale, che riuniva il Partito Nazionale Fascista, l’Associazione Nazionalista Italiana, alcuni importanti esponenti Liberali, ex Popolari, Demosociali e Sardisti.
Il Partito Popolare, guidato da Don Luigi Sturzo, risultò sconfitto sonoramente. Il suo segretario politico rassegnò le dimissioni, lasciando le redini nelle mani di Alcide De Gasperi, il quale fu indicato dalla stampa dell’epoca come «dotato delle maggiori qualità politiche» dell’intero gruppo dirigente.
Don Sturzo creò il Partito Popolare nel 1919, assumendo fin da subito la direzione della segreteria, distinguendosi quale animatore, «che seppe portare una fortuna insperata, riuscendo a portare oltre cento deputati del suo partito alla Camera e dando alla rappresentanza dei Popolari al Governo una eccessività che forse costituì una delle ragioni della debolezza del partito».
I primi mormorii del Partito Fascista non furono ben decifrati dal colto politico, il quale svelò «evidenti errori di tattica», tanto che i suoi gli rimproverarono l’errata convocazione del Congresso nazionale a Torino nel 1923, che provocò un poco sanabile «urto ed uno stato di tensione all’interno della maggioranza governativa, che si determinò coll’allontanamento degli esponenti popolari dall’Esecutivo». Per molti invece fu un accadimento salutare, perché il partito sopravvisse a se stesso.
Don Sturzo abbandonò la Segreteria, perché «era rimasto profondamente amareggiato dalla campagna a fondo intrapresa dal nuovo regime contro di lui e soprattutto dalle responsabilità che gli venivano attribuite, circa l’acrimonia con la quale il Governo fascista, attraverso la sua persona, combatteva il Partito Popolare. Non sono dimenticate le parole che l’onorevole Mussolini dedicava a don Sturzo nel suo primo discorso pronunziato il 28 gennaio a Palazzo Venezia. Il capo del Fascismo e del Governo pronunziava allora all’indirizzo dell’eminenza grigia del Partito Popolare le seguenti parole:
“Il capo clandestino del Partito Popolare ha gettato la maschera. E’ un nemico. Lo tratteremo da nemico”.
L’onorevole Mussolini ha mantenuto la parola. La campagna elettorale fu condotta con vigore inesorabile contro i Popolari, considerati come oppositori, alla stessa stregua dei Socialisti. Don Sturzo era rimasto fermo al suo posto fino a campagna elettorale iniziata. Il suo intercalare preferito, di fronte alle invettive fasciste, era questo:
“Chiedo soltanto che Iddio non mi abbandoni, che il Signore mi assista”.
Continuò la sua solita vita senza preoccuparsi di possibili pericoli, passando la giornata nel suo studio di piazza Mignatelli presso la società libraria che egli dirige e compiendo, la sera, la solita lunga passeggiata sul Lungotevere con qualche amico».
Fin qui, il racconto del cronista dell’epoca, il quale rammentò un incontro avvenuto con don Sturzo il mese precedente, ad un concerto diretto da don Lorenzo Perosi, nel quale ravvisò nel suo sguardo tutto lo scoramento possibile per la cattiva piega, che stava prendendo il destino dell’Italia.
«Dalle sue parole traspariva il desiderio di tregua, di riposo, di dedicarsi allo studio in parte abbandonato, ai libri che sono la sua grande passione. Sembrava insomma maturare, attraverso le sue parole, la decisione che ebbe oggi una sanzione ufficiale».
Don Sturzo indicò come suo successore alla segreteria del partito il valente Alcide De Gasperi, e rifiutò l’invito a ricoprire qualsiasi incarico negli organi direttivi.
«Il Consiglio ha reso omaggio alla volontà di don Sturzo, che da stasera rimarrà solamente sacerdote, dedicandosi in Roma ad opere culturali cattoliche. Indubbiamente il Partito Popolare coll’uscita dai quadri della propria attività politica di don Sturzo e dell’on. Meda, subisce, dal punto di vista parlamentare, due perdite notevoli».
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CESARE SOBRERO. Il ritiro politico di don Sturzo. La stampa, 20 maggio 1924