Giuseppe Verdi: da «I copialettere». «Sulla creazione musicale»

Nel febbraio del 1869, Giuseppe Verdi presentò La forza del destino presso il Teatro alla Scala di Milano.

Dopo qualche tempo, fu contattato da Camille Du Locle, assistente del presidente dell’Opéra di Parigi, perché scrivesse un nuovo melodramma per il teatro della capitale francese.

E’ – a nostro avviso – assai interessante ciò che il Maestro scrisse in una lettera del 7 dicembre, inviata al suo interlocutore. Egli dichiarò le sue diffidenze verso il pubblico parigino, perché temeva di «non poter riescire a fare eseguire a Parigi la mia musica, come voglio io. È cosa ben singolare che un autore debba sempre vedersi attraversato nelle sue idee e svisate le sue concezioni». Verdi non mostrava affatto fiducia del clima culturale, poiché:

«Nei vostri teatri musicali (sia detto senz’ombra d’epigramma) vi sono troppi sapienti! Ciascuno vuol giudicare a norma delle proprie cognizioni, de’ suoi gusti e, quel che è peggio, secondo un sistema, senza tener conto del carattere e dell’individualità dell’autore». Accusò il mondo musicale francese d’essere uniformato a certe condizioni, nelle quali il Maestro non poteva riconoscersi, rivendicando il diritto di esprimersi secondo le sue convinzioni, rifiutando qualsiasi accomodamento, al fine d’ingraziarsi la critica ed il pubblico.

«Ciascuno vuol dare un parere, vuol emettere un dubbio, e l’autore vivendo per molto tempo in quell’ atmosfera di dubbi non può a meno, a lungo andare, di non essere un po’ scosso nelle sue convinzioni e finire a correggere, ad aggiustare, o per meglio dire, guastare il suo lavoro: in questo modo si trova alla fine, non un’opera di getto, ma un mosaico, e sia pur bello quanto si voglia, ma sempre mosaico. — Mi si opporrà che all’Opera avvi una filza di capi-d’opera fatti in questo modo. Sian pure capi-d’opera; ma siami permesso dire che sarebbero ben più perfetti se non vi si sentisse di tratto in tratto la pezza e l’aggiustatura».

Gioachino Rossini (1792 – 1868)

Qualche larvata critica anche nei riguardi del Giove Olimpico: Gioachino Rossini:

«Nessuno negherà certamente il genio a Rossini: ebbene, malgrado tutto il suo genio, nel Guillaume Tell si scorge questa fatale atmosfera dell’Opéra, e qualche volta, benché più di rado che negli altri autori, si sente che vi è qualche cosa di più, qualche cosa di meno, e che l’andamento non è così franco e sicuro come nel Barbiere».

«Con questo io non intendo disapprovare quello che si fa da voi; intendo solo dirvi, che a me è assolutamente impossibile passare di nuovo sotto le Forche Caudine dei vostri teatri, avendo la coscienza che per me non è possibile un vero successo che scrivendo come sento io, libero da qualunque influenza, e senza riflettere che io scriva per Parigi piuttosto che pel mondo della Luna».

Verdi intervenne anche sui cantanti, i quali avrebbero dovuto prender parte all’esecuzione, i quali: «cantino non a loro modo, ma al mio; che le masse, che pur hanno molta capacità, avessero altrettanto buon volere; che infine tutto dipenda da me; che una volontà sola domini tutto: la mia».

Il Compositore è chiaro. In teatro comanda il Creatore, il Musicista, mentre i componenti dei complessi artistici hanno il compito d’interpretare la volontà di chi ha creato. Pensiamo che questa frase dovrebbe essere stampata su ogni spartito, perché chi prende parte ad uno spettacolo lirico abbia in mente solo la volontà e non la propria; cari registi.

«Ciò vi parrà un po’ tirannico… ed è forse vero; ma se l’opera è di getto, l’idea è una, e tutto deve concorrere a formare questo Uno.

Voi forse direte che nulla impedisce di ottenere tutto questo a Parigi. No: in Italia si può, anzi io lo posso sempre, in Francia no».

Il Maestro insiste sulla presunta spocchia parigina, e l’atteggiamento d’assoluta liberalità dei teatri italiani.

«Se io mi presento, p. es., con un’opera nuova in un Foyer d’un Teatro Italiano, nissuno osa ad esprimere un’opinione, un giudizio, prima di aver ben capito, e nissuno mai arrischia domande fuor di proposito. Si rispetta l’opera e l’autore, e si lascia decidere il pubblico.

Al Foyer dell’Opéra, al contrario, dopo quattro accordi si sussurra dapertutto olà ce n’est pas bon… c’est commun ce n’est pas de bon goût…. ça n’ira pas à Paris… Cosa significano mai queste povere parole di commuti di bon goût di Paris… se siete davanti ad una vera opera d’arte che deve essere universale!

La conclusione di tutto questo, si è che io non sono un compositore per Parigi. Non so se ne ho il talento, ma so che le mie idee in fatto d’arte sono ben diverse dalle vostre».

In poche parole, Verdi liquida il Du Locle:

«Io credo all’ispirazione: voi altri alla fattura; ammetto il vostro criterio per discutere: ma io voglio l’entusiasmo che a voi manca per sentire e giudicare. Voglio l’Arte in qualunque siasi manifestazione, non l’amusement, l’artifizio ed il sistema che voi preferite.

Ho torto? ho ragione?

Comunque siasi, ho ragione di dire che le mie idee sono ben diverse dalle vostre, ed aggiungo inoltre che non ho spina dorsale tanto pieghevole per cedere e rinnegare le mie convinzioni che sono profondissime e radicate.

Sarei anche desolatissimo di scrivere per voi, mio caro Du Locle, un’opera che forse dovreste mettere da parte dopo una dozzina di rappresentazioni.

Se avessi una ventina di anni di meno, vi direi: «vediamo se più tardi le vostre cose teatrali prendano una piega più conforme alle mie idee»; ma il tempo passa rapidamente, e per ora non è possibile intenderci, a meno che non succeda qualche cosa d’imprevisto che non saprei immaginare».

Chiaro?

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2 pensieri riguardo “Giuseppe Verdi: da «I copialettere». «Sulla creazione musicale»

  1. Un interessante tuffo nel mondo della storia della musica. Grazie

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