I primi dissidenti del Cristianesimo

Nei primi secoli di storia del Cristianesimo, larga e terribile fu la persecuzione riservata agli adepti del nuovo credo. Dall’anno 64, Nerone – in seguito all’incendio di Roma – diede inizio alla vessazione, che sarebbe durata fino al 313 sotto Diocleziano, a cui Lattanzio rimproverò gli atti di violenza, invitandolo al dialogo. Il culto della divinità non poteva procedere per atto intimidatorio, e la vessazione avrebbe rinforzato la convinzione dei cristiani d’essere nel giusto.

Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (155? – 230)

La nuova religione rivendicava la necessità di esercitare la tolleranza, e riservare la pacificità nei riguardi di tutti, come formulò, già nel II secolo Tertulliano:

«Scegliere liberamente la pratica del culto divino è un diritto umano e un privilegio naturale per tutti; la religione di una persona non danneggia né beneficia un’altra. L’imposizione della religione non è un atto religioso; al contrario, solo il libero desiderio ci avvicina ad essa, non la costrizione».

Costantino il Grande (274 – 337)

Purtroppo, col tempo si rivelarono solo dei buoni propositi, che non avrebbero avuto un’applicazione pratica, poiché i cristiani si sarebbero dimostrati molto intolleranti presso i pagani, fino a considerarli figli del diavolo, in nome dell’universalità del cristianesimo. La persecuzione contro i gentili si rafforzò coll’Editto di Milano (313), col quale Costantino il Grande dichiarava lecita la nuova religione.

Paolo di Tarso (4 – 64?)

Nel sorgere del nuovo credo, si evidenziò la separazione, l’incompiutezza e la divisione dei vari gruppi, che malamente si sopportarono.

Paolo di Tarso nelle lettere, individuò tutti coloro che si opponevano ai suoi insegnamenti quali eretici, che dovevano essere percossi dall’anatema col conclusivo allontanamento dall’Ecclesia. Nelle Lettere pastorali, attribuitegli, espresse forte intolleranza verso i dissidenti; nella Lettera a Tito riferì che il termine αιρετικός (eretico) sentenziava la credenza erronea di chi sarebbe stato consegnato a Satana. Il Vescovo doveva portare all’unità i fedeli, al contrario del dissidente, il quale: «incoraggia la divisione – e che si sarebbe dovuto ammonire – una prima e una seconda volta. Tuttavia, se non ti dà ascolto, allontanati da lui poiché è pervertito, e perseverando nel peccato si condanna da sé».

L’ingresso nella comunità implicava l’annullamento della soggettività individuale e quindi il dissenso era impossibile e non accettato, poiché nell’unità si sarebbe dovuto custodire la verità. La lotta agli eretici divenne un capo principale d’azione, al fine di garantire la sopravvivenza della comunità. Si rese necessaria la costituzione di un’oligarchia, che definisse – per conto dell’assemblea – l’ortodossia.

A partire dal II secolo, il paradigma fu sfidato dalla componente gnostica, la quale pretendeva di possedere una conoscenza superiore, trasmessa da Cristo solo ad alcuni apostoli.

Marcione di Sinope guidava un gruppo, che non riconosceva il Vecchio Testamento e la figura di Cristo quale Messia. Montano, invece, affermava di essere ispirato dallo Spirito Santo e non riconosceva la gerarchia.

Alla metà del III secolo, Novaziano di Roma fu espulso dalla comunità, perché si dichiarò contrario alla riammissione di quei cristiani, che durante le persecuzioni, s’erano rivelati apostati. Anch’egli, coi suoi seguaci, non riconoscevano la gerarchia.

Papa Vittore I

Paolo di Samosata, vescovo di Antiochia dal 260 al 272, fu il principale sostenitore dell’Adonazionismo, per cui Cristo era di natura mortale, adottato da Dio. Attraverso il battesimo, assunse la parvenza divina, grazie alla quale poté completare la sua missione. Il fondatore, Teodoto di Bisanzio s’impegnò a diffondere il nuovo credo in Roma e per ciò scomunicato da Vittore I.

Ario (256 – 336)

La setta, che avrebbe manifestato maggiori preoccupazioni, si rivelò nell’Arianesimo, grazie allo spessore teologico delle proposizioni e per l’estensione geografica. Ario (256 – 336) affermava che Gesù non fosse della stessa sostanza del Padre, e negava la Trinità. Il tema fu largamente trattato nel Concilio di Nicea, presieduto nel 325 da Costantino il Grande, che dichiarò la nullità dell’enunciazione, esiliando Ario ed i suoi seguaci. Al fine di cancellare ogni traccia, furono bruciati i libri pubblicamente. La leggenda dichiarò che il dichiarato eretico sarebbe poi morto in una latrina di Costantinopoli a causa delle sue sue teorie. L’arianesimo largheggiò in Oriente, mentre la parte geografica opposta si preservò cattolica, anche se la corrente ariana sopravvisse alla caduta dell’impero romano presso le popolazioni germaniche.

Teodosio (347 – 395)

Nel 380, l’imperatore Teodosio dichiarò il cristianesimo unica religione dell’impero coll’Editto di Tessalonica. E ciò rinvigorì la persecuzione contro i ritenuti eretici.

Per il vescovo spagnolo Priscilliano (340 – 385), pastore di grande caratura teologica, che predicava il più rigoroso ascetismo, fu addirittura richiesta la pena di morte da parte dei suoi colleghi vescovi, che lo accusavano di propagandare teorie gnostiche e di affidarsi ai Vangeli non riconosciuti dalla gerarchia. Grazie alla fama raggiunta presso il popolo, la pena fu sospesa, e nominato, nel 381, vescovo di Avila. Quattro anni più tardi, il Concilio di Bordeaux tornò a chiedere la massima pena; in conclusione, la vicenda si consumò con  un giudizio civile presso il tribunale imperiale di Treviri, che confermò la condanna del Concilio, accusandolo di pratiche magiche.

Al fine di porre un freno al crescente sentore ereticale, il potere fu costretto ad emanare il Codice di Teodosio (439), con cui l’eresia fu catalogata giuridicamente, mentre per gli eretici fu prevista una forte sanzione e l’esilio.

San Girolamo (347 – 420)

Nel 414, San Girolamo, autore della Vulgata, compose un elenco dei principali fondatori delle eresie.

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