Lunedì 16 giugno 1924, il quotidiano La Stampa pubblicò la notizia della fuga – probabilmente in treno – dell’avvocato Filippelli, direttore del “Corriere italiano”, colpito da mandato di cattura emesso dall’onorevole Mussolini, in qualità di Ministro dell’Interno. Il sospettato infatti aveva eluso la sorveglianza, facendo poi perdere le tracce.
«Ieri, poi, appena si sparse la voce del mancato arresto dell’avvocato Filippelli, alcuni deputati, impressionati della ripercussione sfavorevole di tale fatto, hanno promosso una riunione alla quale hanno partecipato circa cento deputati. E’ intervenuto pure il Comitato di maggioranza.
La riunione fu lunga ed esauriente ed ha servito ai deputati per chiarire il punto di vista sulla situazione delicata. Lo scambio di idee è stato interessante. Un deputato del Lazio ha affermato, con precisa parola, la necessità che l’onorevole Mussolini venga liberato da molti uomini che gli sono stati fino ad ora vicini, perché alcuni di essi sono inetti, ed altri mentalmente discutibili.
Non è ammissibile che uomini del Governo facciano una vita sfacciatamente lussuosa e di divertimenti. Occorre, quindi, procedere a rinnovare l’ambiente e gli uomini, senza pietà, reagendo con energia agli intendimenti di qualche uomo politico o del Governo, cha vorrebbero circoscrivere l’episodio Matteotti e limitare le sanzioni. Se questo concetto i presenti si sono trovati d’accordo.
Dopo queste constatazioni, i deputati della maggioranza riconobbero l’opportunità di prospettare al Presidente del Consiglio la necessità di riparare al più presto alla debolezza dell’azione della Questura, affidando la continuazione delle indagini ad elementi di provata energia e di saputa esperienza, perché non si diffonda nella già allarmata opinione pubblica la persuasione che gli organi del Governo non facciano tutto il loro dovere. I deputati della maggioranza hanno incaricato il Comitato di recarsi dal Presidente del Consiglio ad esporgli queste considerazioni. II Comitato si recò immediatamente a palazzo Chigi, dove fu subito ricevuto dall’on. Mussolini.
L’onorevole Del Croix parlò per illustrare il pensiero della maggioranza.
“E’ giunto il momento — ha detto Del Croix — di trarre, o duce, dal littorio la durissima scure per abbattersi con il segno tagliente della giustizia sul nodo della violenza”.
“La legge avrà il suo corso, giustizia sarà fatta”, ha risposto il Presidente del Consiglio. E così deve essere, così l’Italia vuole.
L’onorevole Mussolini, per quanto riguarda l’avvocato Filippelli, ricordò di aver disposto il suo arresto fin da sabato sera, senonché, ieri, domenica, è stato informato che il Filippelli si è dato alla fuga. Mussolini ha assicurato, nella maniera più formale, che i responsabili della fuga saranno puniti ed immediatamente sostituiti. Ha riconfermato il proposito di andare in fondo alla cosa, inesorabilmente. Ha detto di rendersi conto della delicatezza della situazione e di non essere affatto alieno dal procedere in momento più opportuno, quando cioè il terreno sia sgombrato da tutte le ripercussioni di questo tristissimo fatto di mala vita, ad una sostituzione di uomini nel Ministero».
«Si osserva, infatti, che sul Filippelli gravano indizi tutt’altro che leggeri. Fin da giovedì, fin da quando, cioè, si seppe in modo da non consentire dubbi che egli aveva fornito l’automobile alla triste impresa, il Filippelli fu sottoposto a ripetuti interrogatori, e sorvegliato continuamente da agenti di pubblica sicurezza, che piantonavano l’ingresso dell’ “Hotel Moderno” e del “Corriere Italiano”. Come è possibile, si domanda, che con un tale servizio di pubblica sicurezza il Filippelli sia riuscito a fuggire proprio quando il ministro degli Interni in persona ne aveva ordinato l’arresto? E perché la polizia, la quale dimostrò in principio la volontà di assicurarsi gli elementi so spetti, fino al punto di arrestare il proprietario del Garage Trevi, perché, dunque, la polizia ha lasciato indisturbato il Filippelli su cui gravavano ben altri indizi?
Queste considerazioni hanno prodotto un certo pessimismo a Montecitorio nelle file di opposizione, dove si rilevava che si è ormai al sesto giorno del delitto, e non sono stati ancora assicurati alla giustizia né tutti gli esecutori del misfatto, né alcuno dei mandanti, né si è rinvenuto il corpo del povero Matteotti.
L’onorevole Gino Baldesi, deputato socialista Unitario, che con i compagni di gruppo si è assai adoperato in questi giorni per rintracciare il cadavere del disgraziato amico, manifestava la sua sorpresa per la inverosimile lentezza e la visibile incertezza degli organi responsabili del Governo.
All’onorevole Baldesi, che ha fatto per proprio conto importanti indagini sui luoghi che sarebbero stati teatro dell’orrendo misfatto, abbiamo voluto chiedere notizie sulle indagini stesse e la stia impressione sull’opera della polizia.
«Le mie indagini — ci ha detto — insieme a quelle degli amici del gruppo, cominciarono appena giunse la prima notizia, che annunziava l’arrivo di un ferito all’Ospedale di San Giacomo, giovedì sera. Andammo alle Grotte Rosse perché, dopo mezzanotte, sapemmo che l’autorità era sul posto. Chi ha dato l’indicazione all’autorità? Mistero non ancora svelato. Il giorno dopo, venerdì partimmo per il Lago di Vico. Furono interrogati pescatori e pecorai da funzionari e da agenti, ma non ci risulta che altre indagini siano state fatte. Per esempio, a Ronciglione, c’è stato mai nessuno dei supposti mandanti? Che relazioni correvano fra Roma e le località battute? Si sono fatte ricerche? Mistero.
A Monterotondo, il segretario del Fascio ed alcuni cittadini ci hanno garantito che in una automobile, giunta mercoledì alle 21, e ripartita alle 23, si trovava il Dumini. Come fossero sicuri del riconoscimento è vago, infatti, tutti erano concordi nel dire che il nome non lo hanno udito, ma che hanno riconosciuto l’uomo soltanto dalle fotografie. Invece, da mie indagini immediate, fatte a Roma, cade tutto il racconto. Nell’automobile si trovava veramente un altro redattore del “Corriere Italiano”. Perché non si è cercato di appurare subito il fatto, che non è possibile non fosse noto a molti, lasciando che le attenzioni divergessero da un punto all’altro?
— E gli scandagli nel lago?
— Dovrebbero essere cominciati ieri, ma, dato il tempo pessimo, mi sembra che ben poco abbiano potuto fare. Del resto, il mio parere è identico a quello del colonnello Massera, il quale mi disse: «Creda a me, faremo quello che potremo, ma la soluzione dell’enigma spaventoso non è qui, ma a Roma, fra gli accusati. Una volta accertato chi ha preso l’automobile e chi la ha adoperata, il filo del mistero è rotto e la verità verrà a galla.
— E le pare che le indagini siano condotte con energia?
— Tutto l’opposto! Il Filippetti non arrestato subito; il Dumini che non è forzato a confessare (e intendo dire, forzato, perché basterebbe fargli comprendere che l’impunità è finita per farlo cantare); il Volpi che fugge…, si deve dire che la polizia è al disotto di ogni più modesto desiderio. In tutto questo c’è un errore fondamentale di psicologia perché oggi in Italia si reclamano due cose: l’arresto dei colpevoli ed il corpo del nostro compagno. L’opinione pubblica non è mai stata così unanime come oggi e vuole soddisfazione, reclama il suo diritto. Un popolo civile non può rinunziare ai principii elementari di giustizia ed invece mi sembra che si cerchi in tutti i modi di avvalorare le voci, che circolano insistenti, di salvataggi».
Fin qui l’on. Baldesi».
«Una notizia nuova è quella del rinvenimento della tessera ferroviaria dell’onorevole Matteotti. I rapitori, nella fretta di togliere di dosso i documenti alla vittima, hanno lasciato cadere dall’automobile la tessera ferroviaria che gli apparteneva, e la tessera stessa è stata trovata sul Lungo Tevere Flaminio, nei pressi di Ponte Emilio.
La lotta fra Matteotti ed i rapitori deve essere stata tremenda, nel primo momento, e tra le carte è balzata la tessera ferroviaria, che egli soleva portare in tasca, fuori del portafoglio.
Nella tarda serata del giorno 15 giugno, giunse alla redazione de La Stampa la notizia della fuga di Cesare Rossi, già capo ufficio stampo della Presidenza del Consiglio, colpito da mandato di cattura.
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