Mercoledì 18 giugno 1924, ampio fu lo spazio, che i vari quotidiani riservarono agli sviluppi del caso – Matteotti.
La pagina politica. «A Montecitorio si osservava stamani che la situazione politica determinatasi dalla criminosa scomparsa dell’onorevole Matteotti, non può certamente ritenersi chiarificata colla nomina dell’onorevole Federzoni a Ministro degli Interni e colla sostituzione del generale De Bono.
La questione sta essenzialmente nei metodi, e la soluzione adottata ieri non può considerarsi che transitoria. Stamane correva la voce che a sottosegretario agli Interni sarebbe nominato l’onorevole Dino Grandi, ma a quanto viene assicurato non è intenzione del Governo di procedere, almeno per il momento, alla nomina stessa.
L’interim delle Colonie è stato assunto, com’è noto, dall’onorevole Mussolini. Si dice che il dicastero non verrà soppresso, come in un primo tempo si era detto, e che il nuovo titolare delle Colonie sarà nominato in un’epoca non lontana, probabilmente nel mese successivo.
Affermasi pure che l’onorevole Mussolini intenderebbe procedere ad un più largo rimpasto, che è, del resto, richiesto anche da molti organi fascisti. Il rimpasto ministeriale sarebbe limitato a tre o quattro portafogli e sarebbe deciso nella prima decade di luglio, epoca in cui — secondo alcuni — dovrebbe avvenire anche una breve ripresa dei lavori parlamentari.
La nomina dell’onorevole Federzoni è stata accolta dalla maggioranza con soddisfazione ed anche qualche membro dell’opposizione rilevava la devozione del nuovo Ministro degli Interni alle istituzioni. Pertanto, qualche interessante particolare sul Consiglio dei ministri di iersera è dato oggi dal “Mondo”. Il giornale riferisce che i ministri hanno atteso in silenzio che il Presidente del Consiglio riferisse sulla situazione politica. In un certo momento, quasi a conclusione della sua esposizione, l’onorevole Mussolini ha riconosciuto la necessità della nomina del Ministro degli Interni ed ha proposto il nome dell’onorevole Federzoni, ricordando che aveva già pensato a lui sin dal giugno dell’anno scorso.
«Allora — avrebbe aggiunto l’onorevole Mussolini — non fu possibile addivenire alla nomina, perché l’onorevole Federzoni aveva posto delle condizioni che non parvero accettabili. Ora, però, che il terreno era sgombro, ritenevo che l’onorevole Federzoni avrebbe senz’altro accettato l’alta carica».
Infatti l’onorevole Federzoni non rifiutò in massima; insistette però per una piena libertà di azione.
L’onorevole Federzoni avrebbe cominciato col chiedere l’esonero del generale De Bono da direttore generale della P. S., ed il presidente del Consiglio avrebbe opposto dapprima un netto rifiuto; ma di fronte alle insistenze del neo ministro ed alle dichiarazioni dei ministri Di Giorgio, Corbino, De Stefani, Oviglio e Gentile — che erano pronti a seguire, dimettendosi, l’onorevole Federzoni — Mussolini avrebbe detto che vi sono ore nella storia in cui bisogna sacrificare anche i più cari amici. E cosi venne sacrificato il generale De Bono.
Vi è anche chi afferma che l’onorevole Federzoni abbia manifestato, la sua ferma intenzione di “costituzionalizzare la Milizia fascista”.
Il Comitato di maggioranza si è riunito stamane a Montecitorio ed ha approvato il seguente ordine del giorno:
«Il Comitato di maggioranza, prendendo in esame la situazione determinata dagli energici provvedimenti del Governo, constata con soddisfazione che essa può essere considerata con piena serenità e fiducia dal Parlamento e dal Paese, e mentre esprime alla maggioranza il compiacimento e la gratitudine per il dignitoso e fervido contributo reso in questa occasione, invita i colleghi a portare nelle province il senso e la parola del rinnovato ardore e della rinsaldata fede nel senno e nella energia del capo del Governo, che, proseguendo fermamente l’opera di giustizia e di rinnovamento, risponderà come sempre alla legittima attesa della nazione».
E’ seguita la breve visita al Presidente del Consiglio, per consegnare l’ordine del giorno approvato».
La stampa fascista confermò la piena soddisfazione per i «primi atti dell’azione governativa – che – dopo il primo senso di smarrimento – avevano provocato nel Paese – calma e fiducia».
Il Giornale d’Italia commentò:
«La Nazione italiana vuole una buona amministrazione, una oculata ma onesta polizia ed una politica di tranquillità. Governo forte non significa né governo violento, né governo ingiusto. La forza sta nel sapere e volere applicare rigorosamente la legge, ma i cittadini hanno il diritto di pretendere che le proprie libertà elementari e i propri diritti naturali siano rigidamente rispettati, anzi tutelati.
Le persecuzioni, le violenze, anche semplicemente verbali, le illegalità possono essere nello stile di un Governo fazioso.
Ora il Paese, mentre vuole essere fortemente ma giustamente e onestamente governato, anela alla pacificazione e alla serenità.
L’assassinio atroce dell’onorevole Matteotti è venuto a rinsaldare potentemente questa aspirazione alla giustizia e alla legalità e ad imporre una politica interna equilibrata e seria.
Noi confidiamo che l’onorevole Federzoni l’attuerà, ma egli non riuscirà se non farà piazza pulita di tutti gl’individui infiltrati nel Viminale sotto la protezione di questo o quello dei molti padreterni che fino a ieri in quel palazzo hanno spadroneggiato. Valetevi di funzionari, onorevole Federzoni, di gente preparata e responsabile, di elementi usi a conoscere e rispettare la legge, e sradicate dal Viminale quelle abitudini di settarismo e di violenza che vi si erano annidate da troppo tempo. Tenete d’occhio l’Ufficio stampa e fate che da esso non si irradino campagne violente e villane, come è, avvenuto sistematicamente finora. Non deve più avvenire che per ordine del capo dell’Ufficio stampa del Ministero degli Interni si facciano campagne a base di minacce e di ingiurie. Occorre ridare autorità ai prefetti e risolvere una buona volta il problema del rossismo, cioè togliere lo interferenze del partito fascista degli uomini del Governo e dello Stato.
Bisogna mutare rotta.
L’onorevole Federzoni deve cominciare col mandare a casa le legioni di squadristi piovuto in questi giorni a Roma dalla Toscana».
Il Sereno:
«L’Italia si fida si affida ad un Mussolini energico, capace di troncare di un gesto netto gli equivoci, reprimere gli abusi, condannare inesorabilmente i delitti contro la Patria da chiunque commessi. E perché ci s’intenda più facilmente ripeteremo la inascoltata invocazione di Del Croix: “Leva la scure dal littorio e taglia”. Ma la scure sia quella vera, non quella di cartone dorato del troppo tardi defenestrato capo di polizia».
Il Messaggero:
«La cronaca politica di ieri parla da sola. Il Governo agisce ormai energicamente, rapidamente, inesorabilmente.
Quattro nuovi arresti sono stati compiuti, tra essi quello di Filippelli e di Volpi, uno dei principali mandanti e uno dei principali esecutori del delitto. I fuggitivi sono stati raggiunti con tutti i mezzi per terra e per mare; la Giustizia si impone per tutti, come l’onorevole Mussolini ha promesso, continua rapidamente le sue indagini e la sua azione.
L’Italia deve dare atto al Governo nazionale di questa azione che è esattamente quella che ha domandato e ne dà atto infatti perché le notizie che giungono dalle maggiori città parlano tutte concordemente di completa calma e fiducia.
La nomina dell’onorevole Federzoni alla direzione del Ministero dell’Interno dimostra anche che l’onorevole Mussolini si è preoccupato di assicurare all’ufficio prima tenuto dall’onorevole Finzi una forza più rettilinea».
L’Opposizione. «Domani alle ore 11 è convocato a Montecitorio il Direttorio del gruppo parlamentare popolare per esaminare la situazione politica determinatasi in seguito agli ultimi avvenimenti e per deliberare se convenga o meno convocare il gruppo».
Polemiche sui due uomini dimissionari. Si sparse la voce che, nella tarda mattinata del giorno 18, Finzi avrebbe reso delle dichiarazioni pubbliche «spiegando la sua condotta di fronte al decreto sulle bische ed attaccando l’opera del sottosegretario alla presidenza onorevole Acerbo», reo di aver favorito l’uscita di scena del collega.
La Tribuna commentò:
«L’onorevole Finzi non era stato al suo posto un vice ministro ideale. Aveva avuto, se non altro, il torto di permettere che nei suoi corridoi e nei suoi uffici si foggiasse quella che ora risulta un’associazione a delinquere, e che, nutrita anche coi denari del Ministero degli Interni, pullulasse intorno un fungaia di giornali i quali, evidentemente, non potevano vivere, mancando di diffusione, che di delitti e di ricatti che disonoravano il partito fascista ed il governo.
Diremo di più: le grandi ombre, che sulla figura dell’onorevole Finzi ora si proiettano, nascevano forse o soprattutto dalla gente che egli lasciava vivere ed agire al Viminale e dalle cause che patrocinava, come quella della regolamentazione del giuoco, che si è potuta difendere soltanto assimilandola alla regolamentazione del meretricio».
Il Mondo spese dure parole sul tema della responsabilità politica, «esprimendo anche il dubbio — da noi già espresso ieri — sul caso Finzi del quale, non si comprendono le dimissioni se il comunicato del Consiglio dei ministri esclude qualsiasi rapporto fra le dimissioni stesse e la scomparsa dell’onorevole Matteotti.
Il Paese esige che le responsabilità vengano acclarate e che si faccia luce piena sugli esecutori del delitto, sui loro mandanti e sulle cause, che hanno determinato gli uni e gli altri a volere ed a eseguire il misfatto. L’onorevole Mussolini ha affermato alla Camera che il delitto può essere definito antifascista. Meglio per tutti se ciò sarà dimostrato. Diciamo per tutti, giacché crediamo che ogni cittadino anche se anti-fascista, abbia un interesse morale a che sia dimostrato che un partito il quale ha in mano il Governo dello Stato non abbia alcuna responsabilità né diretta né indiretta in azioni criminose come quella che ha turbato e commosso l’Italia.
Ma per dimostrarlo bisogna indagare, bisogna faro luce piena, senza guardare, in faccia a nessuno, risoluti a colpire spietatamente qualsiasi responsabilità. E’ quello che noi invochiamo con tutte le nostre forze; è quello che la coscienza degli italiani esige, e noi crediamo che la magistratura deve avvertire che gli occhi del Paese sono fissi su di essa e che ad essa ha affidato oggi il buon nome d’Italia di fronte a tutto il mondo civile.
Mentre invece lo opposizioni mantenevano una dignitosa e cosciente linea di condotta, organi fascisti — e specialmente il “Popolo d’Italia” — non mancavano, in un momento come questo, di usare parole minacciose, e di invitare i fascisti «a tenersi preparati ad eseguire ordini come nei giorni delle grandi battaglie» e mentre queste parole, in verità insensate, si scrivevano sugli organi più responsabili del fascismo, Roma si andava riempiendo di squadre venute dalla provincia che ostentavano per le vie centrali la loro tracotanza e i loro randelli, e durante la riunione dei rappresentanti dell’opposizione giungevano ancora una volta agli uomini più notoriamente presi di mira dal fascismo e affidati alle cure della ceca, seri avvertimenti di violenze predisposte contro di loro.
In questo modo, all’indomani di un misfatto orrendo, mentre la giustizia non vede ancora assicurato il suo corso, il fascismo intende il suo compito di fronte alla naturale reazione sentimentale e all’irresistibile invocazione di giustizia che prorompe dalla coscienza del paese».
Nella lunga risposta, che Aldo Finzi indirizzò alla stampa, precisò la sua posizione sulla la questione scottante del giuoco d’azzardo.
«Devo dichiarare una buona volta per tutte che la regolamentazione della legge sui giuochi e le pratiche ad essa inerenti e la presentazione al Consiglio dei Ministri sono avvenute esclusivamente ad opera dell’onorevole Mussolini, di concerto con il capo della Polizia ed a mia completa insaputa, avendo io dichiarato di non volermi occupare di tale materia dopo la discussione che ne era avvenuta in Consiglio dei Ministri l’anno passato».
Il Popolo commentò aspramente le dimissioni del sottosegretario, richiamandolo a fornire maggiori informazioni sulla sua attività ministeriale.
«E’ necessario sapere quali fossero i rapporti ufficiali e ufficiosi del Ministero degli Interni con la ceca i cui membri principali si erano installati al Viminale. Dovrà chiarire pertanto l’onorevole Finzi quali fossero i rapporti che lo legavano al famigerato Dumini, e quali siano stati i provvedimenti presi a carico ed a favore del Dumini dopo la nota partecipazione di quest’ultimo all’aggressione di Forni, Misuri, Amendola, Mazzolani e del giornalista Giannini.
Dovrà dire ancora l’onorevole Finzi dei suoi rapporti con l’avvocato Filippelli; le ragioni per le quali questi rapporti cordiali di amicizia ad un certo punto vennero troncati per essere ripresi proprio qualche giorno prima della scomparsa dell’onorevole Matteotti; dovrà dire inoltre al Paese l’onorevole Finzi se il Ministero degli Interni sia completamente estraneo al finanziamento costoso dell’azienda, sia nel reparto Viminale, sia nel reparto “Corriere Italiano”.
Il Paese ha bisogno di non rimanere nel dubbio che il suo denaro sia stato speso per finanziare opere delittuose. E’ troppo facile e troppo comodo proclamare in un comunicato ufficiale la propria e l’altrui non responsabilità. Ripetiamo che occorre provare. Se l’onorevole Finzi ha i mezzi e la possibilità, parli senza ritegno alcuno. Solo così vi è speranza che tutta la giustizia venga fatta».
La Stampa tornò sulle dimissioni di Cesare Rossi da capo ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, ricordando il suo sicuro coinvolgimento nel triste affare, poiché fu «uno dei capi di un partito politico e dei più autorevoli ed ascoltati».
Il quotidiano rimproverò il comportamento anomalo del Rossi, il quale, se avesse avuto il senso dell’onore, «sotto l’accusa di un delitto così selvaggio, così implicante gravissime ed altissime responsabilità, così disonorante per il proprio paese, com’è il delitto di che lo si accusa, — a torto o ragione, poco importa, — di essere complice, non fugge, ma si presenta egli stesso spontaneamente alle Autorità del proprio Paese, e chiede di essere inquisito e vuole che sia fatta la luce sopra di lui.
Il commendator Rossi ritiene vano reagire alla ondata di sospetti che si sono abbattuti da parte degli avversari sul suo partito e sul suo Paese con dichiarazioni e coll’ampia documentazione di cui dispone.
Per il suo partito è cosa che riguarda lui e il partito suo, e, se non possono difendersi, tanto peggio per loro; ma per il paese, so egli con ampia documentazione può far luce sul delitto commesso in Roma e procurare con ciò l’unico mezzo che si faccia giustizia, il Paese esige da chi lo rappresenta, cioè dal Governo, che costringa senz’altro il commendator Cesare Rossi a parlare. Il mezzo per costringerlo però è uno solo: arrestarlo. Dov’è il commendator Rossi? Di dove egli scrive ai giornali fascisti le sue lettere amicali?
Troppi organi dello Stato si sono, in questa tristissima circostanza, dimostrati sgretolati, perché al Governo d’Italia sia permessa davanti al Paese e davanti al mondo una prova di così clamorosa impotenza, quale sarebbe il non riuscire a sapere dove villeggia il commendator Cesare Rossi, capo ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, uscito da Roma con la scorta di un commissario di pubblica sicurezza, e non agguantarlo per tradurlo in carcere, affinché dica ciò che sa e ciò che non vuole o non può dire».
Il Messaggero confermò la voce, secondo la quale fu emesso un mandato di cattura verso il Rossi, «che si è reso irreperibile», ma non mancò d’indirizzare una lettera al direttore del Nuovo Paese.
«Caro Direttore.
La sciagurata coincidenza dei miei rapporti con il Dumini, accusato di essere uno degli autori della scomparsa dell’onorevole Matteotti, ha accumulato contro di me una infinità di induzioni e sospetti, tanto gravi quanto fantastici. Verrà il momento in cui sarà possibile spiegare le chiare origini di questi rapporti, naturalmente di partito, e comuni, del resto, a tante altre personalità fasciste, con un uomo che conobbi, a Milano nel 1921, tre volte decorato e mutilato di guerra e fascista ardente fino all’esuberanza. Ma oggi, francamente, ritengo vano reagire all’ondata di sospetti che si sono abbattuti da parte degli avversari sul mio partito e sul mio paese, con dichiarazioni e coll’ampia documentazione di cui dispongo. Questa è l’unica ragione della mia momentanea scomparsa, insieme alle condizioni fisiche e morali in cui si trova un uomo, come il sottoscritto, che, dopo aver creduto di portare al partito una nota costante di equilibrio e di onestà, si vede coinvolto in un delitto la cui follia dell’esecuzione è solo paragonabile alla più spaventosa inopportunità, politica.
I nemici ed i falsi amici, che si accaniscono contro di me, siano tranquilli. Essi non saranno defraudati da quanto costituisce un loro diritto ed un mio dovere».
La cronaca. Nella mattinata del 18 giugno, il giudice istruttore, Occhiuto, iniziò la disamina di alcuni indumenti trovati in una valigia sequestrata ad Amerigo Dumini.
«Si è trovato un pigiama, che aveva i segni di una recente lavatura. Si è rinvenuto poi nella valigia un piccolo fagotto, che conteneva pezzi di panno ancora bagnati di sangue, e sono stati anche ritrovati pezzi della tappezzeria del l’automobile e delle carte da visita intestate al Dumini, colla scritta, da una parte: “Ufficio stampa – Ministero degli Interni”.
Nella valigia si sono trovati pure un coltello insanguinato ed una rivoltella. Dopo che il giudice istruttore ha dettato al cancelliere il verbale colla descrizione di tutti gli oggetti sequestrati, i periti professori Ascarelli e Fioretti sono stati incaricati di fare gli accertamenti del caso e di riferire al più presto all’Autorità giudiziaria».
«L’arresto di Albino Volpi assicura alla giustizia uno degli esecutori del delitto. Intanto risultano sempre più attendibili alcune dichiarazioni che il Volpi stesso fece prima del suo arresto ad un amico intimo e che il giornale «L’Unità» cosi ebbe già a riferire:
«Prima di eclissarsi l’Albino Volpi, uno dei ritenuti sicuri sicari del delitto di Roma, ad alcuni suoi amici avrebbe riferito come fu compiuto il supplizio di Giacomo Matteotti. La cosa a noi è stata riferita da persona degna di ogni fede, ma che non possiamo assolutamente nominare. Il Volpi avrebbe dunque detto:
“Sono deciso a non farmi prendere. Non mi prenderanno. Comunque sono deciso a sparare sul miei catturatori e poi su me stesso. Vivo non mi avranno. Ed è anche meglio per loro…”
Nuovi particolari sul delitto. «Il contegno di Matteotti è stato assolutamente spavaldo mentre lo pugnalavamo, direi eroico. Ha continuato fino alla fine a gridarci in faccia: “Assassini, barbari, vigliacchi!”. Mai ebbe un momento di debolezza per invocare pietà. E mentre noi continuavamo nella nostra azione, egli ci ripeteva: «Uccidete me ma l’idea che è in me non la ucciderete mai».
Probabilmente se si fosse umiliato un momento e ci avesse chiesto di salvarlo, riconoscendo l’errore della sua idea, avremmo forse non compiuta fino alla fine la nostra operazione. Ma no. Fino alla fine, fin che ha avuto un filo di voce ha gridato: «La mia idea non muore! I miei bambini si glorieranno del loro padre! I lavoratori benediranno il mio cadavere!» E’ morto gridando: «Viva il socialismo!».
Ora risulta che chi ha riferito il racconto di Albino Volpi è un omonimo dello stesso, Giuseppe Volpi, ben noto fascista milanese che ebbe occasione di conferire con l’Albino. Egli ha anche riferito, sempre secondo il racconto dell’Albino, che non appena la povera vittima fu messa nell’automobile, e mentre resisteva con tutte le sue forze ai suoi aggressori, gli fu inferta, per farlo star quieto una pugnalata nel ventre. La povera vittima fu poi finita fuori dell’automobile quando questa giunse al luogo destinazione per il supplizio.
II Volpi avrebbe affermato che il cadavere dell’onorevole Matteotti è stato sepolto nelle vicinanze di Sutri, paesetto non lontano da Viterbo, a circa cinque metri di profondità».
Il Filippelli fu tradotto da Genova a Roma la mattina del 18 giugno.
Appena sceso dal treno, accompagnato da due poliziotti, fu ceduto alle autorità presenti ai bordi delle rotaie e, tra una folla di curiosi, è stato condotto in un’automobile, che attendeva in Piazza dei Cinquecento, per essere trasferito a Regina Coeli.
Trapelarono alcuni particolari riferiti all’arresto di Filippo Naldi. Il reo si trovava in Trastevere, dove fu fermato dalla polizia, per essere condotto in Questura, dove fu sottoposto ad interrogatorio, il cui contenuto fu secretato. Fu quindi accompagnato a Regina Coeli per l’accusa di favoreggiamento.
«Alle 8 di stamane, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria del Popolo, è stata celebrata per volere della famiglia Matteotti una messa funebre. Officiava il parroco don Carlo Morrone. La cerimonia religiosa è stata semplice e austera. Verso lo 9, finita la Messa, mentre la famiglia Matteotti stava per salire in automobile, è stata circondata da coloro che erano nella chiesa e che erano usciti con loro e dalla gente che era in piazza. Una folla di circa duecento persone si è così raccolta intorno alla signora Matteotti, alla quale molti, in preda all’emozione, hanno detto parole di conforto. E’ seguita una scena pietosa. La vedova Matteotti ha detto piangendo ai più vicini: “Cercatelo e rendetemelo in qualunque stato si trovi”. A queste parole, la folla si è raccolta intorno a lei e, poiché qualcuno ha detto: “Sarà vendicato”, ella, alzando le braccia, ha gridato: “Vendetta no: dite che la moglie di Matteotti prega”, e si è inginocchiata, piangendo, nella piazza.
La benedizione del Papa La signora Matteotti, desiderosa di essere ricevuta dal Pontefice, per avere una parola di conforto, si è presentata al cardinale Gasparri insieme con la madre e col cognato per attendere l’udienza pontificia. Essendo impossibile ciò, poiché tutte le udienze già erano state fissate da qualche giorno, anche prescindendo dalle pietose condizioni in cui si trovavano le signore Matteotti, il Pontefice ha incaricato il cardinale Gasparri di esprimere alle povere signore la vivissima parte che prendeva al loro cordoglio e di confortarle con l’apostolica benedizione.
L’Osservatore romano pubblicò al riguardo:
«Possiamo dire come lunedì 16 giugno, a nome appunto delle signore Matteotti, fosse stato chiesto dai cognati dello scomparso, Enrico Steiner e signora a Monsignor Migone attualmente in funzione di maestro di camera una udienza al Santo Padre. Lo stesso monsignore indirizzò i richiedenti al cardinale Segretario di Stato al quale, dietro previa intesa, fu rimessa una lettera con la quale si chiedeva una benedizione dal Santo Padre. A tale lettera sarebbe stato subito risposto. Senonché stamane le signore Matteotti, accompagnate dallo stesso Steiner, desiderarono di essere ricevute dall’eminentissimo cardinale segretario di Stato. Esse insistettero per ottenere possibilmente subito una udienza pontificia. Al che sua eminenza rispondeva che, sebbene non fosse possibile accontentarle in quel momento per essere tutte le udienze già fissate, come sempre, in anticipo di qualche giorno, il Santo Padre aveva incaricato lo stesso signor cardinale di esprimere il suo profondo dolore alle sventurate signore e quanta parte egli prendesse al loro immenso cordoglio e di confortarle intanto con la benedizione apostolica. Di fronte all’angoscioso spettacolo di tanta desolazione Sua Eminenza rimase profondamente commosso e aggiunse vive parole di condoglianza e di conforto. Non vi ha dubbio che il pio desiderio delle signore Matteotti potrà essere, appena possibile, accolto».
I commenti esteri La stampa inglese. Il laburista Daily Herald non nascoseche «l’episodio Matteotti ha ottenuto una pubblicità mondiale, pubblicità che è arrivata ad un punto tale da far temere che nessun espediente potrà impedirle di prolungarsi se non con l’unico rimedio di applicare coraggiosamente la giustizia».
Vari giornali recarono informazioni ed apprezzamenti dei loro corrispondenti romani, violentissimi contro il Capo del governo e contro il fascismo.
Il conservatore Daily Express chiuse il suo commento:
«Mussolini ha adottato misure energiche per ritrovare il deputato scomparso e sottomettere alla giustizia i suoi aggressori, senonché il dittatore italiano non è immune da biasimo per la sua politica di forza, giacché è più facile inaugurare un regime di violenze che mettervi termine».
La Westminster Gazette, pur non dubitando della sincerità dei sentimenti dell’onorevole Mussolini, ritenne che «gli ammiratori del fascismo farebbero bene a riconoscere che delitti di questa natura seguono ineluttabilmente il loro destino, come la Nemesi, e come coloro che celebrano la forza nei loro discorsi e raggiungono i loro fini con mezzi violenti.
Il fascismo, che sta esordendo come partito di governo attraverso il Parlamento, deve, secondo le migliori speranze per il suo avvenire, trasformarsi in partito politico normale. Deve purgarsi dei suoi violenti esponenti come deve cominciare a purgare la sua filosofia».
Il “Morning Post”, dopo aver riferito i discorsi di Delcroix e di Mussolini, aggiunse:
«La nazione è agitata come non lo fu mai dalla marcia su Roma in poi. Essa si chiede non se il Primo Ministro avrà il coraggio di voler che giustizia sia fatta, ma se avrà il potere di imporre che giustizia sia fatta.
Il fascismo è alla sua prova decisiva dinanzi al Paese, che attende di giudicare dagli avvenimenti dei prossimi giorni l’onorevole Mussolini e il suo partito».
Il gruppo parlamentare laburista riunitosi in una sala della Camera dei Comuni votò il seguente documento:
«Quest’assemblea del partito laburista parlamentare britannico mette agli atti la sua profonda detestazione del delitto perpetrato ai danni dell’Onorevole Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario Italiano, ed invia la sua calorosa simpatia ed il suo cordiale, appoggio al Partito Socialista Italiano nella sua lotta contro le forze che stanno calpestando i principi fondamentali della libertà e della democrazia».
Giacomo Matteotti si era recato nel mese di maggio a Londra quale conciliatore tra il Labour Party e l’Ufficio Internazionale del Lavoro. In quell’occasione, entrò a diretto contatto coi massimi rappresentanti dei due organismi.
Il Manchester Guardian riferì che l’onorevole Matteotti presentò una relazione all’incontro, in cui non diffuse notizie sul metodo del regime fascista, ma denunciò l’influsso disgregatore del Partito Comunista Italiano e dell’imminente unione del gruppo massimalista con quello dei Socialisti Unitari.