«Proseguono le indagini per risolvere il caso Matteotti» nei commenti della stampa dell’epoca

Sabato 21 giugno 1924, gli organi di stampa furono maggiormente occupati dagli ultimi sviluppi del caso Matteotti. Per la prima volta, i quotidiani ipotizzarono l’accusa per omicidio ed anche per associazione a delinquere.

Benito Musoolini (1883 – 1945)

La situazione politica. Benito Mussolini, dopo aver taciuto sulla spinosa questione, sarebbe intervenuto «direttamente o indirettamente nella colossale disputa suscitata dall’affare Matteotti». Dopo aver ordinato al Comitato di maggioranza parlamentare di evitare riunioni, poiché risultavano quasi voler a pretendere un ingombrante controllo sull’opera del Governo, pregò i deputati ministeriali di lasciare Roma, perché difendessero nella provincia le posizioni fasciste. Comunicò, inoltre, che lunedì 23 giugno, avrebbe convocato il Consiglio dei Ministri, che «segnerà l’inizio dell’entrata in campagna del Presidente del Consiglio, poiché l’onorevole Mussolini chiederà ai colleghi l’approvazione di tutto il piano di reazione che egli svilupperà all’indomani nelle dichiarazioni che farà al Senato e nel giorno successivo, cioè il 25 giugno, alla riunione dei deputati della maggioranza nella Sala del Concistoro a Palazzo Venezia. L’ossatura di tali dichiarazioni sarà la seguente: il Governo era perfettamente ignaro di quanto è avvenuto; esso non era partecipe né materialmente né moralmente degli intrighi orditi per la soppressione dell’onorevole Matteotti; se avesse avuto sentore del piano criminale lo avrebbe disapprovato ed avrebbe tentato di impedirne l’esecuzione. Fatalmente taluni esponenti del nuovo regime ed alcuni amici del Governo hanno, con iniziative personali, concepito e favorito l’esecuzione del delitto, al quale i membri del Governo sono rimasti completamente estranei; bisogna dunque — secondo il Governo — compiere inesorabilmente il processo al delitto, ma non convertire tale processo in un processo al Governo: contro qualunque tentativo in tale senso l’onorevole Mussolini reagirà energicamente. I Ministri faranno insomma blocco intorno al Presidente, dal quale scaturirà indubbiamente la battaglia che opposizione e Ministero impegneranno dinanzi alla Camera. – Qualora l’Opposizione richiedesse la riapertura della Camera per una franca discussione sull’accaduto-, quale sarebbe il risultato? Nessuno può dire oggi con precisione quale sarebbe l’andamento e lo sviluppo di tale discussione. Molto può dipendere, ad esempio, dal seguito che da oggi ad allora avrà lo svolgimento dell’istruttoria del processo, le cui pieghe possono nascondere pagine sensazionali oggi ignorate. Molto ancora può dipendere dall’intensità dell’ascendente che l’onorevole Mussolini può mantenere sulle sfere del Fascismo preso in blocco, tenuto conto del fatto che nelle stesse sfere fasciste si va elaborando una nuova situazione dopo il delitto. Certo si è che l’onorevole Mussolini è disposto alla più energica resistenza contro i suoi avversari. Egli farà di tutto per rimanere al potere».

Dino Grandi (1895 – 1988)

«Nel pomeriggio di venerdì 20, dopo l’adunata delle forze fasciste, l’onorevole Dino Grandi s’è recato nella Caserma Mussolini ed ha parlato alle camicie nere riunite, dicendo, tra l’altro:

«…Il duce è chiuso oggi in un tragico silenzio; è vigile e pronto al posto di comando. Ma non sarà trascorsa invano quest’ora splendidamente dolorosa, e dico splendidamente, perché se queste brevi giornate hanno il lugubre dolore delle giornate di una Caporetto fascista, siamo già sulle sponde del Piave e domani raggiungeremo la vetta della vittoria

Più le ombre si allargano (e in certo sano so si addensano) intorno al nefando crimine di Palazzo Viminale, più si sente procedere lenta ma risolutiva l’opera di chiarificazione nella coscienza della Nazione. Le forze morali sono nettissimamente dalla parte nostra, cioè di noi enorme massa di governati. Il partito, che da venti mesi detiene il governo, purtroppo in troppi dei suoi membri e dei più noti e altolocati e potenti ne era in difetto, a un punto inverosimilmente nuovo nella storia d’Italia e non vorremmo dire d’Europa. Ecco perché, mentre da un lato i responsabili, che finora s’aggruppano nella specifica cerchia del Ministero degli Interni, si danno alla fuga o cominciano ad essere condotti in carcere, il popolo tutto, da un capo all’altro della penisola, senza differenze di classi e di ceti, di sentimenti, di educazione politica, è percosso ma non timoroso, è commosso ma non agitato, è fremente di orrore ma non di vendetta, e di fronte agli odi e ai delitti di parte attende non la rivalsa di un partito ma il trionfo puro e assoluto della giustizia».

Alfredo Rocco (1875 – 1935)
Aldo Finzi (1891 – 1944)

Il dimissionato sottosegretario agl’Interni, Aldo Finzi inviò una lettera al Presidente della Camera, Alfredo Rocco.

«Illustrissimo signor Presidente.

In seguito all’ultimo delitto di cui fu vittima l’onorevole Matteotti, si è scatenata una bufera di voci e di stampa, che ha tentato di investire in pieno il regime fascista e dei uomini rappresentativi di esso nel Partito e nel Governo. A Camera aperta, da elementi della maggioranza e della minoranza parlamentare, si è voluto attribuire a me, già sottosegretario agli Interni nel momento del delitto, non tanto una qualsiasi responsabilità — sia pure sotto l’aspetto di negligenza nel fatto Matteotti, (ciò che è già stati escluso da un comunicato del Consiglio del ministri e sarà anche veduto dal magistrato, cui nulla potrà essere sottratta della verità e quindi delia colpabilità) — quanto si è voluto trovare motivo di incompatibilità fra la mia carica di membro del Governo ed un certo affarismo, nel quale io mi sarei impelagato venendo meno ai miei doveri d’ufficio o addirittura profittando di esso ai fini personali. Tali voci a mio carico, che risalgono a ben 36 mesi addietro e delle quali nella tranquillità della mia coscienza ebbi il torto di non volermi occupare, si sarebbe anzi fatto portavoce qualche parlamentare presso il Presidente del Consiglio, sicché si ritenne opportuno, per evidenti ragioni di delicatezza, di giungere alle mie dimissioni.

Nella lettera del Presidente del Consiglio è espresso l’augurio che «i miei avversari sentissero l’obbligo di specificare, documentare, uscire dalla vociferazione e dal vile anonimo.

Il Comitato di maggioranza, al quale avevo rivolto l’invito di precisare gli addebiti, ha dichiarato la propria incompetenza; ma poiché, oltre alla mia persona ed alla mia famiglia, è in giuoco l’onorabilità detta Camera italiana, che ha un passato non trascurabile di fedeltà ininterrotta al proprio Paese, io prego l’Eccellenza Vostra di sottoporre alla Camera stessa, attraverso ad una Corte d’onore — che sia espressione dei vari e diversi gruppi politici che compongono l’Assemblea — tutta la mia condotta passata e presente di cittadino e di uomo politico, affinché essa, nella sua sovrana libertà, possa dire se Finzi sia o non sia degno di farne parte, e se Finzi sia o non sta più il servo fedele e disinteressato della sua Patria.

E per queste considerazioni che io prego l’E. V. anche se i termini dell’art. 80 bis del regolamento della Camera non riflettano esattamente il mio caso, di voler avvalersi delle sue facoltà discrezionali per raccogliere il mio vivo desiderio.

Sono fin d’ora a completa disposizione della Corte d’onore.

Di una sola cosa vorrei pregare l’E. V.: che il termine posto all’esame delle mie vicende sia, per la gentilezza dei colleghi, il più breve possibile, perché mi pesa l’ingiusta ombra che si è voluta stendere sul mio nome, e perché sono ansioso di restituirmi a fronte alta nei ranghi, gregario fedele, ardente del mio partito, del duce, e dell’Italia.

La ringrazio, e mi abbia con i più distinti ossequi: F.to Aldo Finzi».

La questione sarebbe stata dibattuta dal Consiglio di Presidenza della Camera.

La cronaca. «I primi risultati delle indagini — e diciamo primi, perché il delitto è venuto ad alzare il velo disteso sopra un retroscena di così vasta e complessa criminalità e di illeciti interessi, da far presumere che l’istruttoria assumerà proporzioni gigantesche, — hanno già assodato l’esistenza di una vera e propria associazione a delinquere, che faceva capo all’Ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, nonché un insieme di fosche faccende le quali hanno in sostanza rivelato un considerevole inquinamento nelle alte e nelle basse sfere del partito dominante».

Giovanni Marinelli (1879 – 1944)
Amerigo Dumini (1894 – 1967)

Venerdì 20, i magistrati, incaricati del caso, si recarono a Regina Coeli, per sottoporre ad interrogatorio gli indiziati, ex segretario amministrativo del Partito Fascista, Giovanni Marinelli, l’ex direttore del Corriere Italiano Filippo Filippelli e l’avvocato Filippo Naldi. Quindi fu interrogato Amerigo Dumini, che non rispose alle domande.

I magistrati appurarono che: «il Marinelli fornì al Dumini i fondi, distraendoli dalla cassa del partito, per l’azione criminosa, per disposizioni ricevute da altri membri delle gerarchie fasciste, ma che non sapeva a quale scopo doveva servire. Al contrario, sembrerebbe, per alcune concordi testimonianze, che il Marinelli, prima di sottrarre il denaro del partito, partecipasse ad una riunione dei mandanti, tutte alte personalità fasciste, nella quale l’azione fu preparata. A questa riunione era presente il Dumini.

Una delle più importanti deposizioni rese davanti al giudice istruttore sarebbe poi quella di ieri del commendator Nello Quilici, redattore-capo del fu “Corriere Italiano”, per cui vari giornali sotto una forma o sotto un’altra sostanzialmente concordano nel dare le seguenti notizie

La famosa automobile Lancia, reduce dalla spedizione assassina giunse martedì, poco dopo le ore 22, in piazza Poli davanti al “Corriere Italiano” dove stazionavano abitualmente, insieme alle macchine del giornale o dei suoi visitatori occasionali, quelle dell’avvocato Filippelli, che le sottoponeva per il proprio servizio e per quello degli amici ad una specie di moto perpetuo. Ne discesero il Dumini ed il Putato, i quali, saliti negli uffici del “Corriere Italiano”, furono subito ricevuti dal Filippelli. La Lancia non fu dunque, pare, troppo notata.

Fu allora che il Dumini ed il Putato raccontarono al Filippelli come si era svolta la tragica avventura precisando ogni dettaglio. Alla narrazione del luogo e del modo dove era stato abbandonato il cadavere, il Filippelli non dovette mostrare un grande allarme.

Quando egli uscì, poco dopo, per recarsi a mangiare alla Casina Valadier, egli non dava alcun segno di turbamento».

La cameriera del Quilici, che aveva avuto in custodia la Lancia, «aperto lo sportello, notò che la tappezzeria della vettura era tutta sporca di sangue e che sul tappeto della vettura, anche esso insanguinato, giaceva un paio di forbici intrise di sangue. Informò del triste ritrovamento il Quilici, il quale allarmato, telefonò subito al giornale per avvertire il Filippelli che egli era ammalato a casa e non poteva muoversi, pregandolo altresì di ritirare la macchina che era nel suo garage e di fornirgli spiegazioni. Il Filippelli giungeva a piedi e in compagnia del proprio chauffeur, alla villa del Quilici. Invece di salire a trovare il proprio collega, egli aprì in fretta il garage ed aiutato dallo chauffeur metteva in moto il motore della macchina allontanandosi rapidamente, solo lasciando detto alla cameriera che, per cose molto urgenti, partiva colla macchina e che era dispiacente di non aver potuto salutare il Quilici».

Il Giornale d’Italia riportò parte delle dichiarazioni del Quilici.

«Per quanto il Quilici trovasse strano il procedere del Filippelli, ed ingombrante la presenza di quella macchina, egli non aveva alcuna ragione di sospettare il suo direttore colpevole di un delitto. Intanto la macchina condotta dal Filippelli si recava a rilevare il cadavere abbandonato nei pressi del lago di Vico per trasportarlo in luogo dove la sua sparizione era stata concertata con ogni più meticolosa cura.

Il “Corriere Italiano” dà per primo la notizia della scomparsa di Matteotti. Alla sua lettura ed a quella susseguente dei giornali meridiani, il Quilici intuì i primi sospetti. Ebbe luogo dapprima un colloquio drammatico tra lui ed il Filippelli, in seguito al quale costui pronunzia all’indirizzo del collega parole minacciose. Le scuse del Filippelli, le giustificazioni intorno alla macchina, paiono al Quilici così deboli, che egli acquista l’impressione della colpevolezza del proprio direttore. E’ lui che dissuade la redazione dal firmare un indirizzo di solidarietà che il Filippelli le richiede; è lui che fa le prime specifiche denunzie alla polizia, la quale fa tutto il possibile per soffocarne l’importanza».

«“Il Sereno” crede di sapere che il capo d’imputazione rivolto al dottor Filippo Naldi ha mutato di carattere ed è salito di un gradino: pare infatti che non si tratti più di semplice favoreggiamento per aver tentato di mettere in salvo l’amico suo Filippelli, ma di complicità nel rapimento dell’onorevole Giacomo Matteotti. La variante risponderebbe a certe risultanze testimoniali, da cui emergerebbe che, nei giorni precedenti alla scomparsa del deputato socialista, si riunivano col Naldi, nel villino di costui, il Filippelli, il Marinelli e altri per discuterò sulle misure da adottare per evitare ulteriori discorsi da parte del Matteotti. Lo stesso giornale informa che, se il Ministero degli Interni ha fatto sigillare la stanza di Cesare Rossi al Viminale, è inutile dire però che l’ex-capo dell’Ufficio stampa aveva tranquillamente asportato tutte le sue carte. I documenti del Rossi, a quanto si afferma, sono stati consegnati dal fuggiasco a persona di sua grande fiducia».

Pio XI (1857 – 1939)

Nella chiesa di Santa Maria del Popolo si tenne una messa funebre, per volontà della famiglia dello scomparso. «in suffragio dell’anima del deputato socialista Matteotti». A tal riguardo, non sfuggì presso l’opinione pubblica il commento apparso sull’Osservatore romano, che ricordava un intervento di Pio XI, assai critico sugli «sfrenati istinti di violenza che stavano imprimendo all’attuale fase della nostra vita pubblica un così ripugnante aspetto di stacciato paganesimo».

Aldo Finzi (1891 – 1944)

La pista massonica. La Massoneria di Piazza del Gesù si affrettò, attraverso il Gran Maestro, Raul Palermi, a smentire la notizia, secondo cui Aldo Finzi si sarebbe dovuto iscriversi all’Obbedienza a seguito delle pressioni ricevuti da uomini appartenenti all’Istituzione. Si precisava invece che «gli onorevoli Acerbo, Balbo e il Rossi erano appartenuti all’organizzazione e che tutti si erano dimessi subito dopo il deliberato del Gran Consiglio, che stabiliva l’incompatibilità tra massoneria e fascismo».

Finzi replicò, attraverso Il Popolo come «dopo la deliberazione del Gran Consiglio contro la Massoneria — deliberazione che soltanto in apparenza poteva colpire la Massoneria di Piazza del Gesù, perché in realtà era diretta contro quella di Palazzo Giustiniani, — il commendator Raoul Palermi continuò ad esercitare, attraverso Cesare Rossi, non indifferenti pressioni. Del resto, soltanto i gonzi possono avere creduto che, dopo il del liberato del Gran Consiglio, Cesare Rossi ed i suoi compagni avessero rotto i rapporti colla Massoneria. Ad essa essi continuarono a sentirsi strettamente legati ed in nessuno del loro atti dimenticarono la solidarietà massonica».

I commenti della stampa nazionale. Scrisse il Corriere d’Italia:

«Possono gli italiani sinceri, mentre il loro animo si empie di raccapriccio per l’assassinio di Matteotti, non sentire orrore anche verso chi vorrebbe vendicare questo delitto con un altro delitto che sarebbe delitto contro la patria? Perché coloro che speculano sulla fine miseranda del deputato socialista mirano a uno scopo i cui risultati precipiterebbero la patria in un disordine spaventoso, perseguono dunque anche essi uno scopo criminoso e parricida.

C’è, è vero, chi, pure speculando, non ha questo scopo sovversivo, ma costoro non possono nascondersi il pericolo che la loro speculazione nasconde. Costoro non possono non sentire che la loro azione commina verso un salto nel buio nella loro temerità criminosa».

Il Giornale d’Italia auspicò che si riattivasse il circuito costituzionale con la riapertura dei lavori parlamentari.

«Sentiamo parlare di un Ministero militare nel caso in cui si dovesse provvedere alla successione dell’onorevole Mussolini. Ora si discute in via puramente ipotetica di questa eventualità, che nulla lascia prevedere abbia a tramutarsi in realtà. Osserviamo che il Ministero militare, di cui parlano con voluttà in questi giorni i più accaniti anti-militaristi, sarebbe una violazione ingiustificabile del diritto della maggioranza parlamentare, la quale ha ragione di voler vivere essendo nata viva e vitale.

Ora, la maggioranza ha la via segnata: sorreggere l’attuale situazione dando forza all’onorevole Mussolini che ha mostrato in questa tremenda circostanza di saper interpretare la volontà del paese, imponendo che la luce e la giustizia si facciano ad ogni costo. Nulla, come abbiamo detto, lascia supporre che a mutamenti radicali nel governo si debba addivenire; ma nella dannata ipotesi, di una crisi non vi sarebbe che da seguire la via normale: trarre il Governo dal seno della maggioranza parlamentare».

Le reazioni politiche all’estero. «Il deputato socialista Graber, dopo aver rilevato che l’onorevole Matteotti è caduto vittima della sua devozione alla democrazia, ed aver accennato alla condanna del delitto da parte della Camera italiana, ha chiesto, a nome della solidarietà interazionale dei Parlamenti, di esprimere le condoglianze alla Camera italiana.

Ferrer, radicale, a nome dell’Ufficio di Presidenza della Camera svizzera e dei presidenti dei gruppi borghesi, ha proposto che la mozione fosse respinta e ha richiamato che il Consiglio nazionale non poteva votare una mozione di condoglianza alla Camera italiana senza pericolo che questo suo atto venisse considerato come una manifestazione politica contro il Governo italiano. La mozione è stata infine respinta con 94 voti contro 38».

«La direzione del Partito Socialista Jugoslavo, convocato in comizio a Belgrado per protestare contro l’assassinio di Matteotti, ha rivolto appello al Partiti Socialisti d’Europa per iniziare un’azione energica contro i regimi d’oppressione instauratisi in vari paesi, avvertendo da vari indizi che sistemi di oppressione stanno per introdursi anche in Iugoslavia».

La stampa estera. Il Daily Telegraph pubblicò l’invito ai «delegati al Congresso Internazionale Laburista ad un pubblico comizio di protesta contro l’assassinio dell’onorevole Matteotti. Il Gruppo laburista al Congresso internazionale si è riunito stamane per decidere in merito alla partecipazione al comizio. I delegati italiani, presenti in rappresentanza dei sindacati fascisti, chiesero che ogni giudizio venga sospeso ed assicurarono l’assemblea che non era affatto certo che l’onorevole Matteotti fosse stato ucciso. Da queste dichiarazioni dei delegati italiani emerse l’impressione che il Matteotti sia tuttora vivo e tenuto soltanto prigioniero dai suoi catturatori».

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