Michelangelo: contro la volontà di Papa Giulio II Della Rovere

Ascanio Condivi (1525 – 1574)

Ascanio Condivi fu un allievo di Michelangelo Buonarroti, a cui dedicò una «Vita», autorizzata dal suo Maestro e pubblicata nel 1553 e dedicata a papa Giulio III.

Bacco (Museo Nazionale del Bargello, Firenze)

A Roma, Michelangelo eseguì un Bacco per Iacopo Galli «di marmo di palmi dieci, la cui forma ed aspetto corrisponde in ogni parte all’intenzione delli scrittori antichi. La faccia lieta, e gli occhi biechi e lascivi, quali sogliono essere quelli di coloro, che soverchiamente dell’amor del vino son presi. Ha nella destra una tazza, inguisa d’un che voglia bere, ad essa rimirando, come quel che prende piacere di quel liquore, di ch’egli è stato inventore: pel qual rispetto ha cinto il capo d’una ghirlanda di viti. Nel sinistro braccio ha una pelle di Tigre, animale ad esso dedicato, come quel che molto si diletta dell’uva: e vi fece piuttosto la pelle, che l’animale, volendo significare che per lasciarsi cotanto tirar dal senso e dall’appetito di quel frutto e del liquor d’esso, vi lascia ultimamente la vita. Colla mano di questo braccio tiene un grappolo d’uva, qual un Satiretto, che a piè di lui è posto, furtivamente si mangia allegro e snello, che mostra circa sette anni, come il Bacco diciotto».  Oggi l’opera è conservata presso il Museo Nazionale del Bargello di Firenze.

Madonna della febbre

Per il cardinal Rovano eseguì la Madonna della febbre, attribuita erroneamente ad Andrea Bregno, secondo accurate ricerche effettuate da Roy Doliner nel 2010 e raccolte nel libro «Il mistero svelato». L’opera fu dapprima posta nella «Chiesa di Santa Petronilla, Cappella del Re di Francia, vicina alla Sagrestia di San Pietro, già secondo alcuni tempio di Marte: la quale, per rispetto del disegno della nuova Chiesa, fu da Bramante rovinata. Questa se ne sta a sedere in sul sasso, dove fu fitta la Croce, col Figliuol morto in grembo, di tanta e così rara bellezza, che nessun la vede, che dentro a pietà non si commuova». 

A chi si meravigliò per il ritratto troppo giovanile della Madonna, Michelangelo rispose: «Non sai tu, che le donne caste, molto più fresche si mantengono, che le non caste? Quanto maggiormente una Vergine, nella quale non cadde mai pur un minimo lascivo desiderio, che alterasse quel corpo? Anzi ti vo’ dir di più, che tal freschezza e fior di gioventù, oltracché per tal natural via in lei si mantenne, è anco credibile che per divin opera fosse aiutato a comprovare al mondo la verginità e purità perpetua della MadrePertanto non t’hai da maravigliare, se per tal rispetto io feci la Santissima Vergine, Madre d’ Iddio, a comparazion  del Figliuolo assai più giovane di quel che quell’età ordinariamente ricerca, e ‘l Figliuolo lasciai nell’età sua».

«Poteva aver Michelagnolo, quando fece quest’opera, ventiquattro o venticinque anni (l’opera è del 1499). Acquistò per questa fatica gran fama e riputazione, talmenteché già era in opinion del mondo che non solamente trapassasse di gran lunga qualunque altro del suo tempo, e di quello avanti a lui; ma che contendesse ancora con gli antichi».

David (Galleria dell’Accademia, Firenze)

Nel 1501, i consoli dell’Arte della Lana e gli operai del Duomo di Firenze commissionarono all’artista un’opera per quattrocento ducati; Michelangelo realizzò il David, da destinarsi «innanzi alla porta del Palazzo della Signoria nell’ estremo della ringhiera, chiamata da tutti il Gigante»; oggi l’opera è conservata nella Galleria dell’Accademia a Firenze. Gli operai del Duomo avevano a disposizione «un pezzo di marmo d’altezza di braccia nove, qual’era stato condotto da Carrara di cento anni innanzi da un artefice, per quel che veder si potea, non più pratico, che si bisognasse. Perciocché, per poterlo condor più comodamente e con manco fatica, l’aveva nella cava medesima abbozzato; ma di tal maniera, che né a lui, né ad altri bastò giammai l’animo di porvi mano per cavarne statua, non che di quella grandezza, ma né anco di molto minore statura. Poiché di tal pezzo di marmo non potevano cavar cosa, che buona fosse, parve a un Andrea dal Monte a San Savino (l’artista era Agostino di Duccio; successivamente fu lavorato anche  da Antonio Rossellini) di poterlo ottener da loro; e gli ricercò che gliene facessero un presente; promettendo che aggiungendovi certi pezzi, ne caverebbe una figura: ma essi, prima che si disponessero a darlo, mandarono per Michelagnolo; e narrandogli il desiderio e ’l parer d’Andrea, ed intesa l’opinione, ch’egli aveva, di cavarne cosa buona, finalmente l’offerirno a lui. Michelagnolo l’accettò e senza altri pezzi ne trasse la già detta statua, così appunto, che, come si può vedere nella sommità del capo e nel pesamento, n’apparisce ancora la scorza vecchia del marmo».

Madonna di Bruges (Nostra Signora di Bruges)
Tondo Doni (Uffizi, Firenze)

Nel 1503, gettò «di bronzo una Madonna col suo Figliuolino in grembo (la Madonna di Bruges) pagatagli ducati cento, fu mandata in Fiandra. E per non lasciare affatto la pittura, fece una nostra Donna in una tavola tonda (conservata presso gli Uffizi) a Messer Agnol Doni, cittadin Fiorentino, della quale egli da lui ebbe ducati settanta»

 Coll’elezione di Giulio II Della Rovere, Michelangelo fu nuovamente chiamato in Roma, per assegnarli il suo monumento funebre in marmo di Carrara, dove l’artista fu inviato «per cavar quella quantità di marmi, che a tale impresa facesse di mestieri, facendogli in Firenze per tale effetto pagare da Alamanno Salviati ducati mille».

Giulio II (1443 – 1513)

Mentre era alla ricerca, coadiuvato da due aiutanti, del marmo, Michelangelo – c’informa il Condivi – ebbe idea di realizzare un colosso, «che da lungi apparisse a’ naviganti», ma rinunciò per mancanza del tempo necessario all’impresa. Scelto il materiale, fu imbarcato per Roma fino al domicilio di Piazza S. Pietro: «La quantità de’ marmi era grande, sicché distesi in sulla piazza, davano agli altri ammirazione, e al Papa letizia». Spesso Giulio II visitava Michelangelo in casa, al fine di ragionare sull’opera, che stava compiendo. Intanto si rivelò difficile la convivenza tra Michelangelo e Bramante, «che dal Papa era amato, con dir quello, che ordinariamente dice il volgo, esser mal’augurio in vita farsi la sepoltura, ed altre novelle, lo fece mutar proposito. Stimolava Bramante, oltre all’invidia, il timore, che aveva del giudicio di Michelagnolo, il quale molti suoi errori scopriva». I finanziamenti, elargiti dal Pontefice al Bramante, si rivelarono insufficienti così realizzò «le muraglie di cattiva materia, ed alla grandezza e vastità loro poco ferme e sicure. Il che si può manifestamente vedere per ognuno nella fabbrica di San Pietro in Vaticano, nel Corridore di Belvedere, nel Convento di San Pietro ad Vincula , e nell’altre fabbriche per lui fatte, le quali tutte è stato necessario rifondare e fortificare di spalle e barbacani, come quelle, che cadevano, o sarebbero in breve tempo cadute».

Bramante (1444 – 1514)

Condivi accenna a questo punto alle presunte pressioni, che avrebbe operato Bramante, perché Michelangelo fosse allontanato da Roma «o almeno privarlo della grazia del Papa».

«[…] questa sepoltura dovea aver quattro facce: due di braccia diciotto, che servivan per fianchi; e due di dodici per teste, talché veniva ad essere un quadro e mezzo., Intorno di fuore erano nicchie, dove entravano statue;  e tra nicchia e nicchia termini, ai quali sopra certi dadi, che movendosi da terra sporgevano in fuori, erano altre statue legate come prigioni: le quali rappresentavano l’Arti liberali, similmente Pittura, Scultura e Architettura, ognuna colle sue note; sicché facilmente potesse esser conosciuta per quel che era: denotando per queste, insieme con Papa Giulio, essere prigioni della Morte tutte le Virtù, come quelle che non fossero mai per trovare da chi cotanto fossero favorite e nutrite, quanto da lui. Sopra queste correva una cornice, che intorno legava tutta l’opera; nel cui piano eran quattro grandi statue, una della quali, cioè il Moisè, si vede in San Piero ad Vincula e di questa si parlerà al suo luogo. Così ascendendo l’opera, si finiva in un piano sopra il quale erano due Agnoli, che sostenevano un’arca uno d’essi faceva sembiante di ridere, come quello che si rallegrasse che l’anima del Papa fosse tra gli beati Spiriti ricevuti, l’altro di piangere, come se si dolesse che ’l mondo fosse d’un tal uomo spogliato. Per una delle testate, cioè per quella, che era dalla banda di sopra, s’entrava dentro alla sepoltura in una stanzetta, a guisa d’un tempietto, in mezzo della quale era un cassone di marmo, dove si doveva seppellire il corpo dei Papa; ogni cosa lavorata con maraviglioso artificio. Brevemente, in tutta l’opera andavano sopra quaranta statue, senza le storie di mezzo rilievo fatte di bronzo, tutte a proposito di tal caso, e dove si potevan vedere i fatti di tanto Pontefice»

Inizialmente, il monumento funebre era destinato in San Pietro, poi  «mandando il San Gallo Architettore, e Bramante a vedere il luogo, in tai maneggi, venne voglia al Papa di far tutta la Chiesa di nuovo. Ed avendo fatti fare più disegni quel di Bramante fu accettato, come più vago, e meglio inteso degli altri».

Continuava intanto l’arrivo del marmo in Piazza S. Pietro, che Michelangelo s’impegnò a pagare in virtù del Pontefice, quando «venne per chiedere danari al Papa, ma trovò l’ingresso più difficile, e lui occupato.  Un’altra mattina tornato, ed entrato nell’anticamera per aver undienza, eccoti un palafreniere farsegli incontro, dicendo: Perdonatemi ch’io ho commessione non vi lasciare entrare. Era presente un Vescovo, il qual sentendo le parole del palafreniere, lo sgridò, dicendo: Tu non devi conoscer chi è quest’uomo. Anzi lo conosco, rispose il palafreniere; ma io son tenuto a fare quel che m’è commesso da’ miei padroni, senza cercar più là. Michelagnolo vedendosi così sbattuto, sdegnato per tal caso, gli rispose: E voi direte al Papa che se da qui innanzi mi vorrà, mi cercherà altrove. Così tornato a casa, ordinò a due servitori, ch’egli aveva, che venduti tutti i mobili di casa, e tenutisi i danari, lo seguissero a Firenze. Egli montato in poste, a due ore di notte giunse a Poggibonsi, castello del contado di Firenze, lontano dalla città un diciotto o venti miglia. Quindi, come in luogo sicuro, si posò».

Il Papa inviò cinque messi, incaricati di ricondur lo scultore a Roma; Michelangelo non ne volle sapere e così gli fu consegnata, dopo molta insistenza, una lettera dal Papa, con cui lo invitava repentinamente a rientrare a Roma «sotto pena della sua disgrazia». L’artista rispose che non era sua intenzione tornare e chiedeva anche di essere definitivamente sollevato dall’incarico.

Pier Soderini (1450 – 1522)

Raggiunse Firenze, dove risedette per tre mesi, ricevendo delle missive da parte della Signoria, perché rientrasse agli ordini del Papa. Pier Soderini, gonfaloniere della città, incontrò Michelangelo, per convincerlo, una buona volta, a recarsi a Roma, al fine di non provocare un increscioso incidente diplomatico tra Firenze e la Santa Sede. Il Buonarroti pensò di recarsi a Costantinopoli, dove aveva avuto richieste per mezzo dei francescani, al fine di sfuggire alla possibile ira petrina. Soderini lo sconsigliò recisamente, offrendogli la divisa di ambasciatore, grazie alla quale non avrebbe corso alcun pericolo

«Per queste ed altre parole Michelagnolo si dispose a ritornare»  

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