Delitto Matteotti: situazione di stallo

Venerdì 27 giugno 1924, il quotidiano La Stampa esordì comunicando che il Governo aveva ottenuto la fiducia dal Senato, con 219 voti a favore e 4 contrari.

Il Senato approvò anche l’ordine del giorno, presentato da Nicolò Melodia, con cui si confermava la fiducia all’«azione del Governo»; si espressero per il sì 225 senatori, 21 contrari e 6 astenuti. Tre senatori popolari trasgredirono l’ordine del partito e si unirono alla maggioranza.

Il Governo così col voto di fiducia s’impegnò a «procedere con ogni energia all’integrale restaurazione dell’impero della legge, alla necessaria epurazione del Partito e alla pacificazione del Paese».

Carlo Sforza (1872 – 1952)

Prima di procedere al voto, il senatore Carlo Sforza ottenne il permesso di intervenire.

«Tra poco il Senato procederà ad un voto. A me sembra che chi ha un pensiero netto e deciso ha il dovere morale di esprimerlo, ed è per obbedire a questo imperativo che mi alzo a parlane; ma nel modo più breve.

Spogliato dall’accessorio, come, per esempio, dal progetto di rimpasto — formula parlamentare passatista di cui pareva inteso che non sentiremmo più parlare — quale è la composizione vera del discorso che udimmo avantieri dal Presidente del Consiglio?

Una lunga autoapologia;

la periodica minaccia della tensione pericolosa di certe zone fasciste;

una perorazione di buone intenzioni.

E, nella lunga apologia, che cosa c’era come argomento principe? Che anche all’estero si sono compiuti delitti analoghi.

Signori, un popolo non può dare forse maggiore prova di debolezza civile che ponendosi tutto il tempo la timida domanda: — che dirà mai l’estero? —  Un grande popolo deve trarre dalla sua legge morale la sua ragione di giudizio.  Ma a proposito dei giudizi dell’estero, permettetemi citare qui le parole nobilissime che Giacomo Matteotti espose due mesi fa ai suoi colleghi alla Conferenza di Bruxelles:

«Nulla noi vogliamo dai compagni esteri. Ciascun popolo deve conquistarsi le sue libertà. Se non sa vuol dire che non ne è degno».

Non sentite qui dentro, o colleghi, nelle parole di questo figlio della stessa terra di Battisti un orgoglio nazionale, che egli, forse, neppure sospettava in sé, e tanto più fiero quanto meno sventolato in parole da sagra?

La fiamma del patriottismo, voi vedete, si fa viva in noi nei modi più diversi, ma niente di più pericoloso per le sorti di un popolo che di credere di esaltare con costrizioni esterne il senso della Patria. Sarebbe raggiungere, sotto forme opposte, nella stessa manifestazione di debolezza di una eccessiva preoccupazione per i discorsi esteri, di tentare di cercare in altri passi esempi di altri letterati delitti per diminuire il turbamento della coscienza nazionale.

Un grande Paese deve saper guardare in faccia alla realtà, e la realtà è che altrove vi furono delitti di fanatici, delitti di partiti, di classi e di razze; ma qui vi è un delitto organizzato al seguito di altri delitti rimasti impuniti, da uomini installati nel centro dello stesso Governo e da gerarchi supremi di un partito, che la teoria del nazional-fascismo dichiara essere una sola ed unica cosa colla sacra identità della Patria!

Delitto commesso da gerarchi che ingannavano il loro Duce sulle proprie criminose attività? Bene.

Ma allora il Capo del Governo ha il torto inescusabile di essere stato da varie parti posto in guardia, da tempo, contro costoro e di averli pertinacemente difesi, come fece in un discorso di questo anno in cui schermì l’idea del buon tiranno circondato da cattivi consiglieri.

E perché, del resto, egli non procede mai per i delitti anteriori, che con un crescendo spaventoso, ma terribilmente logico per via dell’impunità, sboccarono fatalmente nella tragedia Matteotti? Il ricordo dell’eccidio di Sonzini e Scimula fa ancora rabbrividire; ma lo Stato intervenne a punire ed i loro colpevoli andarono in galera: le iene di Empoli furono arrestate ed assicurate alla giustizia da un governo del passato.

Ma l’onorevole Misuri usciva appena dal Parlamento, dove si era reso colpevole di dire ciò che pensava, e sulla soglia del Parlamento fu quasi accoppato. L’onorevole Amendola fu aggredito e ferito di pieno giorno nelle vie di Roma. Il deputato Forni fu bastonato a sangue alla stazione di Milano alla presenza di centinaia di persone. L’onorevole Gonzales fu bastonato e ferito a Genova in una riunione elettorale insieme all’eroe nazionale Rossetti.

Andate a sfogliare l’organo personale del Presidente del Consiglio e per nessuno di questi fatti non troverete che delle scusanti per gli aggressori e delle minacce per i feriti. Per tutti questi fatti, notevoli per le vittime, ma non più gravi degli infiniti verificatisi in ogni angolo d’Italia, niuno si accorse quale seria ricerca e sanzione facesse la giustizia. Quando per caso, vi fu un arrestato, l’amnistia fascista, che resterà una macchia indelebile nella storia del diritto italiano, lo pose tosto in libertà.

L’attuale presidente del Consiglio disse un giorno che l’onorevole Zanardi era moralmente responsabile dell’orrendo fatto di palazzo d’Accursio. Ma quale responsabilità pesa dunque su chi, ad ogni momento, parlò di piombo, di sangue, di seconda ondata?

L’onorevole Federzoni ha trovato subito il modo di non essere responsabile dell’aggressione in casa del senatore Frassati a Torino. Ha mandato a casa il prefetto.

Naturalmente, il Presidente del Consiglio non avrebbe desiderato gli eccessi; ma nella stessa guisa che non riusciva ad ammettere le Opposizioni, nel suo discorso di avantieri egli parla, come di materiali per una Italia ideale, di quei migliori cittadini che non parteggiano e lavorano. Certo, sono utilissimi, ma in una generalizzazione italiana a questo genere, io sentirei — lo confesso — la triste ombra dei buoni popoli su cui contavano, fidenti soprattutto nel bastone austriaco, i Lorena, ed i Borboni.

La mancanza di discussioni politiche, anche vivacissime, è segno di morte per un grande paese. Machiavelli, su cui il presidente del Consiglio voleva fare una tesi di laurea, lo disse nelle Deche.

«Coloro che dannano le discussioni, mi pare che dannino quelle stesse cose che fecero libera e grande Roma».

Si è che il fascismo è uno stato d’animo, per natura letteraria transitoria, spiegabilissimo; ma senza teoria positiva di pensiero e quindi colla possibilità di sussistere solo in un’atmosfera di prestigio e di terrore indiscussi.

Il fascismo poteva combattere molte lotte, ma non poteva combattere una battaglia di critica intellettuale. Ed è questo, o Signori, che è stato il segnale della morte dell’onorevole Matteotti. Era il più ardente, il più appassionato, il più documentato, e fu soppresso. La discussione era impedita. I mandanti dell’assassinio si sbagliarono solo perché, constatata la tacita passività del Paese di fronte a tanti delitti, speravano, anche questa volta, di farla franca.

Invece l’Italia si svegliò inorridita e l’onorevole Matteotti, o signori, visse morendo.

Ma perché il sacrificio non sia vano per l’educazione morale del popolo nostro, che ha bisogno soprattutto, per elevarsi ancora, di sincerità e di giustizia, bisogna domandarsi che cosa vogliono dire certi organi del Presidente del Consiglio quando gridano: giustizia completa si, ma purché (come se nella giustizia potessero esservi dei… purché!) non si faccia il processo al Fascismo!

E chi può sapere a quale punto si fermerà l’allargarsi del cerchio fatale? Il Presidente del Consiglio non lo sa, perché egli si scusa dicendo che ignorava quello che scadeva intorno a lui, tra i gerarchi supremi del Fascismo dei quali due della pentarchia che ha scelto la Camera attuale sono in carcere, uno è dimissionario sotto gravi accuse ed il capo supremo della P. S. è stato rimosso.

Il Presidente del Consiglio ha anche detto avantieri che vorrebbe valorizzare il Parlamento. Ma come lo può se quelli che furono eletti malgrado tutte le violenze, si sono ritirati sul nuovo Aventino e non scendono nell’aula, il cui ingresso è vietato dall’ombra inulta di Matteotti?

La maggioranza è stata riunita ieri purché non parlasse, purché approvasse, ed ubbidisse militarmente.

Il “Popolo d’Italia”, tre o quattro giorni fa, irrideva a tale maggioranza perché rimaneva a Roma, perché intendeva occuparsi della cosa pubblica. E’ questo il concetto della vitale attività del Parlamento?

Si discute ora quanta parte della tragedia orrenda abbia l’affarismo e quanta impossibilità vi sia di sottostare ad una critica politica. Il quesito è vano. L’affarismo sorge sempre nei regimi di violenza, nei regimi incontrollati. Sono termini che si tengono uno all’altro. L’onda del delitto abbraccia accuse di affarismo, che non possono essere chiarite che da un’inchiesta parlamentare. Sino allora la coscienza pubblica rimarrà profondamente turbata anche da ciò.

Abbiamo avuto in questi giorni due dichiarazioni contraddittorie del Presidente del Consiglio. Il 14 giugno, accettando le dimissioni dell’onorevole Finzi, egli ne dava come causa, essere stato pronunziato a proposito del delitto il nome di costui. Il 17, in un comunicato ufficiale, dichiarava, invece, che le dimissioni erano motivate da cause senza relazione alcuna colla scomparsa — eufemismo quello del comunicato! — dell’onorevole Matteotti.

Ma come, nella situazione attuale, giungere ad un chiarimento completo, che solo l’inchiesta parlamentare può fornire?

Il Presidente del Consiglio ha, nel suo discorso, citato frasi minacciose di Serrati in un giornale russo. E’ vero che cotali frasi hanno qualche importanza come sintomo, sia pure lontano. Per la civiltà e la pace d’Italia le profezie moscovite devono essere ridotte a nulla. Ma ciò non si avrà dal semplice mantenimento dell’ordine, puramente esterno, senza base nelle profonde realtà dello spirito. Guai al risveglio del nostro popolo, se si continua a compromettere il santo nome d’Italia, tentando di identificarlo cogli interessi di casta e coi predomini di fazioni! Guai se milioni e milioni d’italiani, che sono tra quelli che sul Piave giurarono di voler rimanere padroni di casa loro, finimmo di sentirsi stranieri in Italia! I sentimenti popolari, non lavorando più all’aria aperta, tentano già di tornare allo stato di spirito delle antiche sette. E’ vero, sì, che il rendimento dell’operaio è maggiore, ma ciò è solo perché ci siamo allontanati dalla crisi e dalla stanchezza della guerra.

Non si tratta di sapere più che noi desideriamo, ma quello che è in realtà. Qual è il segnale dell’animo delle masse? Le voci più spaventevoli del più atroce scempio del corpo dell’onorevole Matteotti si propagano, senza i giornali, con una specie di orrore e di fervore mistici. Il corpo non si trova: e questo, per il popolo, è una conferma delle voci orrende. Sono lieviti che possono essere gravissimi. E’ follia pensare di domarli colla violenza. Mi scusi la temerarietà della parola follia il ministro onorevole Gentile, che nel suo discorso elettorale di Palermo ha sentenziato che ogni forza è forza morale, qualunque sia l’argomento adoperato, dalla predica al manganello.

Intanto, duri o non duri, si trasformi l’attuale Ministero (la cosa non riguarda l’Opposizione, la quale non ha da andare al potere). Io voglio confidare in chi sarà chiamato al potere nel rimpasto del Gabinetto che sarà più pensoso della patria che di sé; sentirà il sacro dovere di mantenere intatto, nella loro storica pienezza, certe riserve supreme, verso cui, in tanto sfascio di fittizie fiducie, la massa del popolo deve ancora rivolgersi fidente.

Queste riserve supreme possono un giorno rivolgersi, con vantaggio di tutti, a questo popolo. Può essere rischioso di chiedere loro di porsi a contatto con una sola frazione del Parlamento. Sarebbe questo un errore, che, sia pure in buona fede, trarrebbe la sua origine come il suo valore da un recente passato, da un folle concetto che è alla base della tragica avventura che attraversiamo: che, cioè, solo in una parte sia impersonata la Patria; che chi non pensa come quella parte sia un nemico della Patria. La Patria che salvammo sul Piave era, o signori, la patria di tutti».

Nella giornata di venerdì 27, le Opposizioni avrebbero chiamato i lavori ad astenersi per circa dieci minuti dal lavorare in ricordo del deputato ucciso.

In proposito intervenne anche il Direttorio generale della Confederazione delle Corporazioni fasciste, che «richiamando e confermando le disposizioni già impartite sin dal 21 corrente ai propri organismi dipendenti, considerando che la sospensione dal lavoro, salvo che per i pubblici servizi, per la durata di dieci minuti in commemorazione dell’onorevole Matteotti, indetta per la giornata di venerdì 27 corrente, debba avere esclusivamente un carattere di vivo e sentito cordoglio per il già deplorato delitto, come ha indicato il Presidente del Consiglio, invita tutti i propri organizzati a voler compostamente partecipare alla manifestazione stessa».

Filippo Turati (1857 – 1932)

Intanto febbrile era l’attesa per l’annunciata riunione di tutti i gruppi parlamentari d’opposizione al Governo, presieduta da Filippo Turati, da cui sarebbe stato pubblicato un documento, contenente «l’esame generale della situazione politica, prescindendo da qualsiasi dettaglio, senza formulare alcuna condizione precisa che sappia di patteggiamento parlamentaristico. La mozione verrà messa in votazione per alzata di mano, dopo di che la seduta — che si prevede non si protrarrà per oltre un’ora e mezza — verrà tolta».

La Maggioranza garantì che lunedì 30, il Presidente del Consiglio avrebbe fornito la lista dei nuovi Ministri.

«Sul tema del rimpasto ministeriale si continua ad affermare che degli attuali ministri resterebbero solo Federzoni agli Interni. De Stefani al Tesoro, Di Giorgio alla Guerra, Thaon di Revel alla Marina. Uscirebbero dal Gabinetto: il ministro Carnazza, la cui attività è stata in questi ultimi tempi assai vivamente discussa; Gentile, ben noto per la sua riforma scolastica; e Corbino, la cui opera non ha suscitato molto entusiasmo. Si ignora se rimarranno gli onorevoli Oviglio e Ciano; ma non è improbabile che quest’ultimo passi ad un altro dicastero.

Riguardo ai nomi di eventuali candidati alla successione, negli ambienti politici ne circolano in gran numero. Si parla di Ricci, di Sarrocchi, di Codacci-Pisanelli, di Paratore, di Gasparotto, di Cavazzoni, di Soleri, di Tofani, di Fedele, di Cian, di Solmi, di Giulio Baldini.

“La Tribuna” raccoglie la voce che si farebbe perfino passi per indurre l’onorevole Giuffrida ad entrare nel Gabinetto. Dei sottosegretari si afferma, pressoché alla unanimità, che non ne rimarrebbe nessuno. Uscirebbe quindi dal Ministero anche l’onorevole Acerbo, barone dell’Aterno».  

La cronaca politica. Il Partito Socialista Italiano riunì i vertici, che pubblicò il seguente documento:

«Il delitto Matteotti non va considerato a sé, ma come un anello di una lunga catena di violenze e delitti, a cui il fascismo deve, in mancanza di spontanei consensi, di aver potuto prendere e tenere il potere.

La responsabilità del Governo, e specialmente del suo capo, nel delitto, non risulta soltanto dal fatto che gli esecutori ed i mandanti furono reclutati nelle più alte sfere governative, ma nell’indirizzo generale di una politica i cui aspetti salienti sono stati: un linguaggio provocatorio ed intimidatorio, un’azione illegale a lato della più reazionaria pressione legale, la soppressione della pubblica libertà e dei diritti elementari della libertà di organizzazione, l’impunità costante dell’illegalismo squadrista, anche quando ha assunto forme mostruose di massacro del proletariato, come a Torino ed a La Spezia.

In queste condizioni, il Paese deve reclamare il processo al regime, come primo atto di giustizia e riparazione deve esigere le dimissioni del Governo, lo scioglimento della Camera del 6 aprile, della milizia del Partito; mentre alla loro volta i partiti che sono gli interpreti politici della rivolta morale della opinione pubblica, devono a questo fine indirizzare la loro azione.

La Direzione del Partito Socialista Italiano, udita a questo proposito la relazione del rappresentante del gruppo parlamentare socialista del Comitato delle Opposizioni, l’approva dichiarando che l’ulteriore partecipazione del gruppo del partito a questa intesa, resa impellente e giustificata dalla necessità di riconquistare al Paese le condizioni di vita civile va subordinata alla messa in stato di accusa del Governo, con il rifiuto dei gruppi parlamentari di opposizione a qualsiasi collaborazione e patteggiamento con il Fascismo, anche nella forma più indiretta, quale sarebbe la partecipazione ai lavori di un Parlamento che il Fascismo intende far sopravvivere nella forma per mascherare di fronte al mondo la propria dittatura.

II Partito Socialista Italiano riafferma anche in questo momento nella loro integrità i propri principi fondamentali di partito, di lotta di classe e di rivoluzione sociale. Esso non può, in linea di massima, abbandonare l’opposizione contro l’insieme della classe borghese e dello Stato che ne è l’espressione; ma nelle condizioni attuali reputerebbe tradimento dei più impellenti doveri verso il proletariato, se non approfittasse di un conflitto che si manifesta in seno alla stessa borghesia, e se non tenesse conto che nello sviluppo della lotta politica vi è la definitiva soluzione socialista e nello sviluppo dell’azione sindacale vi è l’ulteriore conquista del lavoro e l’indispensabile difesa ad oltranza delle conquiste già realizzate, e che costituiscono quel patrimonio di civiltà e libertà e quelle garanzie di ordine morale e giuridico già acquisite con le precedenti rivoluzioni.

Entro questi limiti, senza impegni che vadano oltre al fine contingente della lotta contro il Fascismo, la Direzione del Partito approva l’azione delle sezioni che spontaneamente, o sotto la pressione di masse anelanti alla fine della dittatura sanguinaria, hanno aderito localmente ai comitati di opposizione.

Alla vigilia della commemorazione di Giacomo Matteotti la direzione del Partito Socialista Italiano invita il proletariato ad attenersi disciplinato alle disposizioni impartite dalla Confederazione generale del lavoro e a conferire alla manifestazione un inequivocabile carattere di monito contro chi si illudesse di poter ancora far ricorso alla violenza contando sull’inerzia delle masse lavoratrici.

Rivolge un appello ai compagni perché sia intensificato rapidamente il lavoro di organizzazione del Partito, in maniera da essere pronti a tutte le evenienze allo svolgimento ulteriore della lotta, che renderà necessario l’intervento tempestivo delle masse operaie».

Arturo Labriola (1873 – 1959)

Il deputato socialista Arturo Labriola dichiarò al Giornale d’Italia:

«Abbiamo detto che dal Parlamento saremmo rimasti lontani finché non erano rimosse le cause da cui è dipeso il misfatto, e non si creeranno condizioni di lavoro parlamentare normali per l’opposizione. E’ un grande problema costituzionale: esiste o non esiste il principio della responsabilità ministeriale? Il capo dello Stato non risponde costituzionalmente, ma deve rispondere il capo del Governo per gli errori, le colpe, i crimini dei suoi ufficiali di fiducia, si capisce: di fronte alla fiducia del Parlamento.

Benito Mussolini (1883 – 1945)

Ora, se l’onorevole Mussolini vuole costituzionalizzarsi, deve cominciare col riconoscere il principio della responsabilità ministeriale.

C’è la maggioranza, è vero, che gli conserva la sua fiducia, ma questo significa evidentemente che la maggioranza ha un vizio in corpo. Probabilmente la spiegazione è questa: stavolta non è stata la maggioranza a formare un governo, ma il governo a formare, se non tutta, una grossa, la più grossa parte della maggioranza; ed allora il problema si sposta dalla Camera agli elettori.

Vogliamo che la maggioranza ci dia un governo suo, un proprio governo, col quale le opposizioni, che restano all’opposizione e non si accomodano col governo, possano avere rapporti normali. Abbiamo sentito dire che nella maggioranza ci sono 200 comparse. Quindi ci sono anche 150 attori di cartello. Possibile che fra loro non ci sia da scegliere? Se poi nessuno di costoro volesse, che ci possiamo fare? La responsabilità sarebbe della maggioranza. Invece dicono che toccherebbe a noi. Ci ammoniscono di pensarci e di badare alle conseguenze.

Quali conseguenze? Il fascismo ci ha preso tutto. Ora non abbiamo più cosa da perdere. Forse la nostra incolumità fisica. Ma l’ultima maniera di rendersi degni della memoria di Divagno e di Matteotti è di non far entrare nelle nostre decisioni un peso di una simile preoccupazione. Gli uomini, se non sono così buoni, non sono nemmeno così cattivi come appaiono».

Un comunicato dell’Obbedienza massonica di Piazza del Gesù. «Bisogna che tutti i fratelli si dedichino concordi all’opera di pacificazione degli animi, turbati ed agitati dai flutti delle incomposte passioni di parte, ispirandosi a quella visione superiore e serena che è conforme alla natura stessa ed alle tradizioni dell’ordine. I fratelli nostri, che diuturnamente lavorano ad edificare templi alla virtù e a scavare profonde prigioni al vizio, sono stati naturalmente i primi a deplorare l’orrendo delitto, cui torbide passioni trascinarono alcuni gregari di una parte politica.

Nella nostra serenità e indipendenza da ogni partito, riaffermiamo dunque ancora una volta che l’impero della legge deve di necessità escludere qualsiasi violenza e prepotenza partigiana, di pochi o di molti, e che tutti gli eccessi, tutti i delitti, da qualunque parte provengano, debbano essere severamente repressi e puniti. Però alla riprovazione ed alla rigorosa condanna giuridica del delitto è pregiudizievole, per le sorti della Nazione, aggiungere o sostituire violente reazioni illegaliste o inconsulti moti popolari, che ad ogni costo devonsi scongiurare. Poiché alla Magistratura è liberamente affidata la ricerca e la punizione dei colpevoli e l’onore del Paese, si lasci ad essa svolgere serenamente il suo compito.

Gli iniziati, i quali devono osservare gli eventi con forte e pacato animo e con intelletto superiore, sanno che, se non è purtroppo possibile riparare al delitto rendendo la vita all’estinto, è d’uopo evitare che i generosi impulsi del sentimento possano cagionare mali ancor più grandi, traendo alla rovina la Patria».

I commenti della stampa. Il Mondo rilevò «il sapore di tragica ironia che ha il fatto che proprio uno fra gli imputati dell’assassinio, già intransigentissimo socialista del basso Polesine, scagliasse in altri tempi i suoi fulmini nei Congressi provinciali del partito contro il giovane pallido e pensoso, che non credeva all’arbitrio della storia, e che cercava di addestrare il proletariato alla comprensione armonica del diritto e del dovere, a concepire le finalità socialistiche non già come un prodotto di volontà, ma come un fatale sbocco dell’evoluzione sociale.

Oltre la massa operaia più vicina di chiunque alla memoria della vittima nobilissima, tutti gli uomini liberi, quanti vogliono che l’Italia conservi le sue grandi tradizioni nel mondo, parteciperanno collo spirito alla commemorazione. L’Italia ha bisogno di uomini che sappiano vivere e vivano per una fede.

La patria non può uscire diminuita dal crimine, perché di fronte alla bassezza morale dei mandanti e dei sicari, che non hanno origine, pur bestemmiando troppo spesso il nome sacro della patria gloriosa, si aderge circonfusa dall’aureola dei martiri dalla fierezza ancestrale dell’assassinato, che è figlio d’Italia e quindi il crimine non può gettare un’ombra sull’estimazione degli altri.

Per noi l’ucciso riscatta ed aumenta la nostra fama di popolo civile, che offre ancora olocausti sanguinosi all’altare della libertà».

Il Corriere d’Italia avvisò che, «qualora le minoranze continuassero a svolgere un’azione intesa a ostacolare l’andamento dei lavori parlamentari, il Governo non esiterebbe a chiedere al Senato e alla maggioranza e agli organi molto più in alto poteri di ordine costituzionale intesi a fronteggiare il presunto ostruzionismo. Il Governo farebbe cioè approvare una legge sulla obbligatorietà dell’esercizio del mandato parlamentare.

Occorre anche notare che si affermava stamane che i propositi di pacificazione dell’onorevole Mussolini non siano stati troppo favorevolmente accolti da quel gruppo di deputati fascisti, cui fa capo la corrente estremista del partito.

Vero è che ciascuno si dichiara ossequente alla volontà espressa dal duce, ma non si potrà non rilevare che fra i propositi pacificatori enunciati dal governo per bocca dell’onorevole Mussolini e l’atteggiamento assunto da taluni esponenti del fascismo estremista vi sono notevoli contrasti. Da questi non si ricusa difatti quell’offerta di pace compiuta dall’onorevole Mussolini agli avversari, ma non si esita a formulare le più chiare minacce qualora gli oppositori non disarmino».

 L’Impero definì «pazzesco, delittuoso, il tentativo di rovesciare il Gabinetto e disfida gli oppositori a non tentare la prova.

I signori dell’opposizione, meditando sulle responsabilità immani che si assumono persistendo nella loro astensione decideranno, ne siamo certi, di non tentare la prova. Tuttociò viene detto per carità di patria perché il fascismo è in piedi più di prima e impazienza e fremente di azione, e basterebbe un cenno del suo capo per fargli sferrare la seconda ondata, ancora più terribile domani per la lunga compressione».

Il Giornale d’Italia: «Le opposizioni debbono guardarsi dal commettere l’errore dell’astensione. Essa non può significare che rinunzia meditata, che non può essere assunta da chi si proclama costituzionale. Con ciò non intendiamo chiedere che l’opposizione liquidi se stessa.

In un regime come il nostro l’opposizione è insopprimibile ed utile, ma è tale appunto in quanto eserciti la sua funzione, principalissima quella del controllo del potere esecutivo. Ora, a tale funzione essa verrebbe meno se il giorno — non sappiamo se prossimo, anzi speriamo possa esser saggiamente ritardato — in cui l’assemblea legislativa sarà riconvocata, persisterà nell’assenteismo.

No, il paese che ha dato ai suoi eletti la funzione di rappresentarlo impone loro di combattere in Parlamento; non ha chiesto loro gesti faziosi, ma un’azione conseguente e costante, specie nell’ora di difficolta per tutti».

Roberto Farinacci (1892 – 1945)

Roberto Farinacci sul Cremona Nuova. «Mussolini ha posto tutti gli avversari con le spalle al muro.

Noi vogliamo fare un supremo sforzo. Vogliamo rimanere fedeli agli impegni assunti di fronte al Duce e al paese, vogliamo rimanere inermi per qualche tempo. Siamo convinti però che tempo perso. Gli stessi che oggi, in buona invocano, pare, pace, saranno i primi ad invocare dal fascismo la ripresa della sua azione salutare».

I commenti della stampa estera. Il Journal si occupò delle conseguenze patite a seguito della scomparsa di Matteotti: «L’istruttoria che i giudici svolgono molto attivamente più serrata e più efficace di quella dei giornali fa meno rumore e non agita, a ogni momento, un fatto clamoroso o un nuovo nome. Le cose non possono seguire il ritmo accelerato di certe impazienze. Esse debbono svolgersi in forme obbligatorie.

Anche politicamente le cose si trovano a un punto morto. Mussolini ha ripetuto, dinanzi ai deputati della maggioranza, accentuandolo, il suo discorso al Senato: egli fa alla opposizione offerte così importanti che corrispondono al diretto abbandono del fascismo o almeno del mussolinismo. Molte persone, anzi, In Italia, si domandano che cosa resterà di fascista in un regime perfettamente legale e parlamentare, ma la maggioranza dei deputati italiani applaudendo caldamente le parole di Mussolini sembra dare a queste un senso chiarissimo.

Insomma Mussolini offre ai suoi avversari una tregua e l’unione sacra. Accetteranno essi? Si potrà, forse, farsi un’idea chiara intorno a ciò dopo la riunione privata che i partiti della minoranza debbono tenere venerdì, ma in ciò, come nella azione giudiziaria tutto non sembra destinato a diventare pubblico allo stesso tempo e certi negoziati possono molto utilmente svolgersi fuori della scena.

Mussolini ha solennemente invitato gli avversari a valutare le sue offerte e a risparmiare al paese nuove scene di guerra civile».

L’inviato speciale del Petit Journal: «In due giorni il dittatore italiano ha pronunciato due discorsi. Siamo dunque entrati nella fase politica della crisi provocata dall’assassinio dell’onorevole Matteotti. Ma è giocoforza constatare che questi due discorsi non hanno portato quella chiarezza, quella tranquillizzazione che l’opinione del Paese richiede. L’impressione è che questa incertezza della situazione politica si prolungherà durante qualche tempo parallelamente all’istruttoria giudiziaria, che è ancora lontana dall’aver dato tutti i suoi risultati, né concessioni che Mussolini ha annunciato e la promessa assai vaga di tornare alla legalità non hanno fatto alcuna impressione sull’opposizione che resta sulle sue posizioni e attende lo sviluppo degli avvenimenti.

Luigi Albertini (1871 – 1941)

A questo proposito la risposta data nel discorso Mussolini dal senatore Albertini è significativa, essa è singolarmente moderata. Albertini riconosce lealmente i meriti del dittatore e sottolinea, che la sua complicità personale non è in questione, ma fa con tanta maggior forza il processo al regime e mostra la contraddizione flagrante che esiste tra la promessa di tornare alla legalità e la pretesa di mantenere le milizie a servizio del potere.  E’ infatti un segreto di Pulcinella che se la milizia fosse disarmata, tutte le difficoltà politiche sarebbero risolte in 24 ore.

L’opposizione sembra decisa a rifiutare ogni partecipazione ai lavori parlamentari fintantoché la questione della milizia non sia risolta in modo soddisfacente».

La cronaca. Nonostante i continui interrogatori, cui gl’inquirenti sottoposero gl’imputati dell’efferato delitto, non si ottennero che pochi risultati, e comunque mancò una confessione piena. Anche le ricerche della salma del deputato socialista non portarono ad alcun ritrovamento.

Amerigo Dumini (1894 – 1967)

La Tribuna: «Nessuno, per lo meno, ha detto cose di certa importanza, ai fini di portare alla luce nel mistero. Il Dumini, anzi, avrebbe negato che la famosa valigia, quella sequestrata alla stazione, e l’altra all’Hotel Dragoni, e nelle quali furono trovati indumenti insanguinati, la forbice insanguinata, il pugnale, il coltello da caccia, la catena, i lucchetti, fossero sue. Alle contestazioni del magistrato avrebbe risposto che non sa nemmeno di chi fossero le valigie, e che certo furono potate nella sua camera d’albergo da persone che gli volevano male. Anche gli altri indiziati resistono tenacemente nelle loro primitive posizioni».

Il Giornale d’Italia scrisse che «l’ex capo ufficio stampa del Ministero dell’Interno, Cesare Rossi, mantenne davanti al magistrato inquirente un contegno spavaldo, come il Dumini, il quale sembrerebbe sicuro dell’impunità, comportandosi – anche lui – in modo audace. Scrisse una lettera alla famiglia, per invitarli a prenotare una casa per la villeggiatura, sicuro che sarebbe stato scarcerato in prossimità delle ferie».

Al volger della sera, il Procuratore generale della Corte d’Appello, Crisafulli, ed il Sostituto Procuratore, Tancredi si sottoposero ad alcune domande, rivolte dagli organi di stampa.

Eccellenza, può dirci se sia ormai specificata la rubricazione del delitto nei riguardi dell’omicidio premeditato o associazione a delinquere, ora che la prova generica è raggiunta?

Non so nulla di quanto mi dite. Quello che posso affermare con certezza è che finora la sezione d’accusa sta accertando soltanto i fatti, procedendo ad interrogatori, confronti sopralluoghi. Dopo accertate le circostanze di fatto, potrà procedere soltanto alla rubricazione dei reati e al loro nomen juris. Ma di questo finora non si è fatto nulla, poiché appunto dopo accertati i fatti, si potrà stabilire con precisione di che cosa si tratti e quali modifiche potranno in seguito apportarsi nella specificazione del reato e delle responsabilità nei riguardi dei singoli imputati. Perciò, in merito alla rubrica dell’associazione a delinquere non si può dire nulla.

Aldo Finzi (1891 – 1944)
Emilio De Bono (1866 – 1944)

Verranno interrogati al più presto l’onorevole Finzi e il generale De Bono?

Se si è proceduto all’interrogatorio di un gran numero di testimoni, i quali più o meno possono aver avuto rapporti col delitto, non è improbabile che venga anche il turno del senatore De Bono e l’onorevole Finzi. Del resto, fra giorni è probabile che le autorità inquirenti possano fornire anche alla stampa qualche notizia precisa, e ciò potrà avvenire specialmente in merito alla rubricazione di omicidio premeditato. Altro per il momento non posso assolutamente dire.

La signora Clelia Matteotti si costituì presso la Corte di Appello di Roma parte civile nel procedimento contro Amerigo Dumini ed altri

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