Il sonetto fu composto il 29 settembre 1830. Esso ubbidisce alla rima ABBA – BAAB – CDC – DCD.
Belli ricorda un’antica usanza propria del popolo romana, ricordata – tra l’altro – nel film «Il marchese del Grillo» con Alberto Sordi. Quando si assisteva ad un’esecuzione, il più anziano, dopo che il boia mostrava la testa mozza del condannato, schiaffeggiava il più giovane, perché ricordasse la fine dei delinquenti. Un invito perentorio, insomma, a non commettere alcun tipo di reati.
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Er giorno che impiccorno1 Gammardella,
Io m’ero propio allora accresimato.
Me pare mo2, ch’er zantolo3 a mmercato
Me pagò un zartapicchio4 e ‘na sciammella5.
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Mi’ padre pijjò ppoi la carrettella6,
Ma pprima vorze7 gode l’impiccato:
E mme tieneva in arto inarberato8,
Discenno: “Va’9 la forca cuant’è bbella!”
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Tutt’a un tempo ar paziente mastro Titta10
J’ appoggiò un carcio in culo, e ttata11 a mmene12
Un schiaffone a la guancia de mandritta13.
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“Pijja14,” me disse, “e aricordete bbene
Che sta fine medema15 sce sta scritta
Pe’ mmill’antri16 che sso’ mmejjo de tene”.
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(1) impiccarono
(2) ora
(3) il compare, l’uomo protagonista del sonetto
(4) un giocattolo che salta grazie a degli elastici
(5) ciambella
(6) la botticella romana trainata da un cavallo
(7) volle
(8) spazientito
(9) vedi
(10) il boia
(11) papà
(12) me
(13) destra
(14) prendi
(15) medesima
(16) mille altri
(Il giorno che impiccarono Gammardella / Io mi ero proprio allora cresimato. / Mi pare ora, che l’amico al mercato / Mi pagò un saltapicchio e una ciambella.
Mio padre prese la botticella, / Ma prima volle godere dell’impiccato: / E mi teneva in alto spazientito / Dicendo: “Guarda la forca quanto è bella!”
Tutto ad un tratto al paziente mastro Titta / gli diede un calcio al culo, e papà a me / Uno schiaffone a la guancia destra.
“Prendi”, mi disse, “e ricordati bene / Che questa fine stessa è scritta / Per mille altre persone che sono meglio di te”)