Nella seconda metà del XV secolo, Firenze era forse la città più progredita ed evoluta d’Europa, grazie alla pacifica convivenza d’importanti famiglie di mercanti e banchieri, che l’avevano realizzata ricca e feconda. La città era anche sede del Rinascimento, l’importantissima corrente culturale, che avrebbe mutato profondamente la vita, non solo degl’italiani, ma anche dell’Europa.
I Medici, agiata famiglia fiorentina di banchieri, fondata da Cosimo detto il Vecchio, nonno del Magnifico, ritornato dall’esilio, meritato perché vittima designata da alcune famiglie, consolidò il patrimonio familiare, e con esso la supremazia del proprio casato senza mai ricoprire cariche pubbliche. Egli affidò ad uomini di sua completa fiducia il controllo del sistema tributario e la creazione di nuove magistrature. Si rivelò anche un fecondo mecenate, trasformando Firenze nella culla dell’arte e del pensiero.
A mano a mano che il potere cresceva, cresceva anche l’insofferenza delle altre famiglie fiorentine, tra cui i Pazzi, la cui attività di banchieri e di commercianti era in netta concorrenza coi Medici. Entrambe le arrembanti ed avide famiglie auspicavano di aprire dei rapporti economici colla Santa Sede.
Alla morte di Cosimo, avvenuta nel 1464, il potere passò nelle mani del figlio Piero il gottoso, il quale non si rivelò abile quanto il padre, tantoché nel 1469, alcune centinaia di sostenitori della casata si radunarono, per appoggiare la candidatura di Lorenzo in sostituzione dell’incapace Piero.
L’anno dopo, il Magnifico individuò il più pericoloso ostacolo al suo governo nella famiglia dei Pazzi, cui segretamente impedì la possibilità di accedere alle cariche pubbliche.
Nel 1476, i Pazzi concessero un ingente prestito a papa Sisto IV, per consentirgli di finanziare la campagna militare, con cui il nipote, Girolamo Riario, intendeva conquistare la contea di Imola, entrando apertamente in contrasto colla famiglia governante.
Il pontefice tolse il monopolio del commercio di allume, fissante per la tintura dei panni, ai Medici affidandolo ai Pazzi e procedette colla nomina, nel 1477, di Francesco Salviati ad arcivescovo di Pisa, in attesa di inviarlo a Firenze. Lorenzo e gran parte della popolazione fiorentina protestò l’avvenuta nomina, tanto da irritare il pontefice, che minacciò la scomunica.
Domenica 26 aprile 1478, l’appena nominato cardinale Raffaello Sansoni Riario della Rovere, nipote del papa, celebrava una messa in Santa Maria del Fiore alla presenza dei nomi più blasonati della società fiorentina. Lorenzo De Medici, in compagnia del fratello Giuliano, erano tra i presenti.
Quando fu il momento dell’Elevazione, Bernardo Bandini Baroncelli trafisse Giuliano, mentre Francesco Pazzi lo finiva colla spada. Nella baruffa, perse la vita Francesco Nori, che difendeva Lorenzo, rimasto ferito ad una spalla, il quale trovò sicuro rifugio nella sacrestia insieme ad Agnolo Poliziano. Il feritore sarebbe poi scappato a Bisanzio, ma – per sua sfortuna – fu riconosciuto, consegnato alle autorità fiorentine ed impiccato. Fu ritratto da Leonardo in un celebre schizzo, mentre penzolava da una finestra del Palazzo del Bargello.
Il piano era fallito, ma i congiurati speravano di trovare fertile alleanza presso il popolo fiorentino, ch’era in forte agitazione per il tragico accaduto. Jacopo Pazzi, accompagnato da alcuni sodali, si diresse in Piazza della Signoria, sicuro che sarebbero accorse le milizie dell’alleato pontefice, Sisto IV, principale nemico dei Medici. Intanto giunse voce che i Priori, i rappresentanti del consiglio della Signoria fiorentina, non avrebbero concesso l’appoggio ai congiurati. Diedero anche ordine di catturare l’arcivescovo di Pisa, Francesco Salviati, uno dei principali cospiratori, per impiccarlo; stessa sorte toccò a Jacopo Bracciolini, figlio dell’umanista Poggio.
La folla si scagliò contro il moribondo Francesco Pazzi, che fu prelevato a forza dall’abitazione e trascinato a Palazzo della Signoria, ed anche lui meritò la stessa sorte dei congiurati.
Insomma, i cittadini s’erano dichiaratamente schierati dalla parte della famiglia medica.
Lorenzo inviò allora una lettera a Bona Sforza, reggente del duca di Milano per conto di Gian Galeazzo Maria, chiedendo aiuti militari atti a fronteggiare l’eventuale vendetta delle truppe pontificie.
«Illustrissimo Signore,
mio fratello Giuliano è stato assassinato e il mio governo è in grave pericolo.
E’ il momento di accorrere in aiuto del vostro servitore Lorenzo. Inviate quante più truppe possibile perché fungano da scudo e baluardo del mio Stato».
Le indagini individuarono nella famiglia dei Pazzi il principale artefice del fallito complotto, che comunque sancì la fine della vecchia Repubblica fiorentina, dominata da un’oligarchia familiare, e segnò la nascita del Principato.
Nei mesi successivi al grave attentato, furono giustiziati tutti coloro che appoggiarono i Pazzi; e trovò la morte anche Giovanni Battista da Montesecco, il condottiero che aveva condotto in città l’arcivescovo Salviati, ed aveva incontrato il papa, per organizzare la congiura.
Furono confiscati i beni della famiglia cospiratrice, che passarono ai Medici, e fu ordinata la damnatio memoriae colla cancellazione da ogni documento pubblico dei Pazzi.
Prestò le indagini, condotte fuori dalla Signoria, evidenziarono l’alleanza tra papa Sisto IV ed il re di Napoli, Ferrante d’Aragona, per indurre la Repubblica di Siena ed il duca di Urbino, Federico da Montefeltro, d’intervenire a sostegno dei cospiratori.
Il papa protestò allora vivacemente, perché la Signoria aveva trattenuto il cardinal – nipote Riario della Rovere in Firenze, violando così l’immunità ecclesiastica, per ciò comminò la scomunica ai responsabili di sì grave atto. Tutta la città fu colpita dall’interdizione ai sacramenti.
Grazie allo sfortunato evento, in cui perse la vita Giuliano, la famiglia De Medici poté rinsaldare il suo potere su Firenze. Francesco Guicciardini vergò:
«Questo tumulto fu di pericolo assai a Lorenzo di perdere e lo stato e la vita, ma gli dette riputazione ed utilità, che quello dì si può chiamare per lui felicissimo […] ed in effetto si insignorì in modo dello Stato, che in futuro rimase liberamente ed interamente arbitro e quasi signore della città, e quella potentia che insino a quello dì era stata in lui grande ma sospettosa, diventò grandissima e sicura».
L’8 aprile 1492, Lorenzo morì, ed un anno dopo l’aristocrazia fiorentina tramò contro il figlio Piero, il quale non mostrò di possedere l’abilità politica del defunto padre. Nel 1494, fuggì coi suoi fratelli da Firenze, dopo aver aperto le porte a Carlo VIII, re di Francia, che stava conquistando la penisola. I Pazzi riacquistarono l’antico prestigio, grazie ad un documento, approvato dal nuovo governo, che giustificava la cospirazione quale atto «pensato per la brama di libertà per il popolo fiorentino».
Nel 1512, i Medici rientrarono a Firenze.