In questo importante documento del giovane Savonarola, confessa al babbo la necessità di diventar religioso, al fine di evitare le follie del mondo. Egli stesso sembra disperatamente atterrito di dover essere parte delle sporcizie del mondo, e quindi intravede nel rigore della vita religiosa l’unica condizione, per sfuggire dal male.
Savonarola evidenzia una visione fortemente manichea, poiché – secondo lui – il mondo sarebbe dominio del male, mentre il silenzio del convento preserverebbe il bene. Una visione che determina il nero dal bianco, non riuscendo a percepire, neppur lontanamente, che le due realtà sarebbero – a nostro avviso – le due facce della medesima realtà, non potendo l’una privarsi ontologicamente dell’altra.
Il futuro frate si perizia di consolare il babbo dall’inevitabile dolore ch’egli proverà causa il distacco, raccomandandogli di pensare al bene dell’anima, che lo condurrebbe fuori dal mondo.
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Honorande Pater mi. Io non dubito ch’e vi duole assai de la partita, et tanto più quanto io mi son partito ocultamente da vui; ma io voglio che intendiate l’animo mio et la volontà mia per queste littere, a ciò che vi confortati, e che intendiati che io non mi so mosso così puerilmente, come alcuni si credeno.
E prima da vui voglio, come da homo verile e sprezatore de le cose caduce, che più tosto voi siati sectator de la verità che de la passione, come fanno le feminule; e che vui iudicate secondo lo imperio de rasone, se io doveva fugire il seculo et seguir questo mio preposito.
In primis, la rasone la quale me muove ad intrar ne la relegione è questa: prima, la gran miseria del mondo, le iniquitate deli homini, li stupri, li adulterii, li latrocinii, la superbia, la idolatria, le biasteme crudele, ch’el seculo è venuto a tanto che più non si trova chi facia bene; dove io più volte il dì io cantava questo verso lacrimando: Heu fuge crudeles terras, fuge litus avarum1. E questo per che io non potea patire la gran malitia di cechati populi de Italia; e tanto più, quando io vedea le virtute esser spente al fondo, e i vitii soblevati. Questa era la magior passion che io potesse havere in questo mondo; per la quale cosa io pregava ogni giorne messer Iesu Christo che me volesse levare da questo fango; e così faceva continuamente oratione piccolina con grandissima devotione a Idio, dicendo: notam fac mihi viam2 in qua ambulerò, quia ad te levavi animam meam3. Hor Idio, quando a lui ha piaciuto, per sua infenita misericordia, me l’ha mostrata; et io l’ho riceputa, ben ch’io sia indegno di tanta gratia. Risponditime adoncha: non è gran virtute de uno homo a fugir le sportitie e le iniquitate del miser mondo, per voler vivere come rationale e non come bestia fra li porci. Et etiam non seria stata una grande ingratitudine la mia, ad haver pregato Idio che mi mostri la via drita per la quale io ho a caminare, et lui essendosi dignato di mostrarmela, e poi che io non l’havesse acceptata?
Oimè! lesu mio, più tosto mille morte, che contra di te io mai sia ingrato per tal modo. Si che, dulcissime pater, più tosto haveti da rengratiar messer Iesu, che da pianger; il quale ve ha dato uno figliolo, e dippoi ve l’ha conservato fina alli XXII anni assai bene; e non solamente questo, ma anchora si è dignato de farlo suo meli tanto cavaliero.
Oimè! non reputati gran gratia havere un figliolo cavaliero de Iesu Christo? Sed, ut breviter loquar4: o vero che voi me amati, o vero non so ben che non diresti che non me amati.
Se adoncha vui me amati; con sit ch’io habia due parte, cioè l’anima e ’l corpo, o vero che più amati el corpo o l’anima: non poteti dir el corpo, per che vui non mi amaresti, amando la più vile parte di me. Se adoncha più amati l’anima, per che non cerchati anchor lo bene de l’anima? Che certo voi doveresti iubilare, e far gran festa di questo triompho.
Sciò ben però, che non si puoi far che la carne non doglia alquanto; ma la se vole refrenare da la ragione, presertim da li homeni sapienti e magnanimi come sete voi.
Non credeti voi ch’el me sia sta gran doglia a separarne da vui? Certo, io voglio che me crediati; che già mai, doppoi ch’io son nato, non hebbi magior dolor né maggiore afflitione di mente, vedendome abandonare il proprio sangue, et andare fra giente ignota, per far sacrifitio a Iesu Christo del corpo mio, e per vendere la mia propria voluntà ne le mane di coloro che mai, non conobbi: ma, dippoi, ripensando che Idio mi chiama, e che lui non se sdegnò fra nui vermicelli farsse servo; non serìa mai tanto ardito, che io non mi inclinase alla sua voce dolcissima e tanto pia: Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reffician vos: tollite iugum meum super vos5.
Ma per che sciò che voi di me vi lamentati, che così ocultamente sia partito, e quasi fugito da vui; sapiati che tanto era il mio dolore e la passion ch’io sentiva dentro di core, dovendomi partire da vui, che se io ve lo havesse manifestato, io credo veramente che inanzi che io me fuse partito da vui, il me seria crepato il core, et haveria impedito il mio pensiero, il mio acto: si che non v’è meravigliati se io non ve lo dissi. È vero ch’io lassai certe scripte de dietro da li libri che sono apogiati alla finestra, le quale vi davano noticia di fatti mei. Vi prego, adoncha, padre mio caro, che poniati fine a li pianti, e che non me vogliati dare più tristeza e più dolore, ch’io me habia; non per dolore di questo ch’io ho fatto, ché certo io nol revocaria, se io credesse de venire maggiore che non fu Cesaro; ma pur per che anchora io son di carne come vui, e la sensualità repugna alla rasone, di che il mi convien combatere crudelmente, a ciò ch’el diavolo non mi salti sopra le spalle; e tanto più, quanto io sento di vui. Presto passarono 3 questi giorni ne i quali el male è frescho, e doppo spero che vui et io seremo consolati in questo mondo per gratia, e poi ne l’altro per gloria. Altro non resta, se non ch’io vi prego che vui, come virile, confortati mia maire la qualle io prego insieme con vui, che mi donati la vostra benedictione; et io sempre pregarò fervente menteper le anime vostre.
Ex Bononia, die XXV aprilis, 1475.
Io ve ricomando tutti li miei fratelli e sorelle, ma specialmente io ve ricomando Alberto, che vui il faciati imparare; perché il vi seria gran carcho e gran pecato, se lo lassasti perdere il suo tempo.
Hieronymus Savonarola
Filius vester
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(1) Eneide, Canto III, v. 344. (Fuggi le terre crudeli, fuggi la spiaggia avida!)
(2) Salmo 142; 8 (Fammi conoscere la via)
(3) Salmo 24; 1 (A te ho elevato la mia anima)
(4) Ma per parlare brevemente.
(5) Matteo 11; 28 – 29 (Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi)