Un precursore di Gluck: Tommaso Traetta

Nella produzione teatrale di Tommaso Traetta, si evidenzia una forte evidenza formale rispetto agli schemi melodrammatici della Scuola napoletana, in cui la linea melodica primeggiava, degenerando, spesso, in folli acrobazie canori a svantaggio della verità drammatica.

Giovan Battista Sammartini (1700 – 1775)
Antonio Vivaldi (1678 – 1741)

Egli avviò così la riforma gluckiana, da una parte, e preluse, dall’altra, al nuovo dramma musicale romantico dell’Ottocento italiano e tedesco. Il suo sinfonismo non fu estraneo alle correnti musicali di Sammartini e Vivaldi, pur modellandosi sugli schemi della Scuola di Mannheim, da cui sarebbe derivati Haydn ed il sinfonismo tedesco. 

Del progresso strumentale, tanto inviso al Metastasio, che lo avrebbe definito strepito e stravaganza, Traetta se ne servì, applicandolo a fini drammatici e non certo per una nuova estetica della sinfonia pura.

Nell’Opera veneziana secentesca, l’elemento meraviglioso e coreografico prevalevano sull’aspetto musicale, sottoposto ancora al dominio dell’opera – recitativo fiorentina ed, in parte, preludente alla costituzione del recitativo melodico. 

Alessandro Scarlatti (1680 – 1725)

L’Opera napoletana, iniziata con Provenzale e affermatasi con Alessandro Scarlatti, si modellò nell’espressione duale del Recitativo, indicato nel seguire il movimento dell’azione drammatica, e dell’Aria, incaricata di accogliere l’effusione lirica della vita sentimentale e dell’anima musicale del primo Settecento. Alessandro Scarlatti evidenziò una netta separazione tra il Recitativo secco, un declamato uniforme e rapido sostenuto dal cembalo, e il Recitativo stromentato, che si rivelava quale declamato melodico più espressivo, accompagnato dall’orchestra. Subito dopo Scarlatti, i compositori, assecondando anche i sentimenti del pubblico, si concentrarono nell’effusione lirico – sentimentale dell’Aria, trascurando il Recitativo, che si sarebbe ridotto in una scialba sequenza di note senza alcun gusto melodico, aprendo le porte alla tirannia del virtuoso, vero idolo del pubblico, a cui interessava ammirarne le preziosità tecniche a pieno svantaggio del costrutto drammatico. L’Aria settecentesca, seppur spericolata nell’esibizione vocalistica, svilupperà il lirismo vocale, così come la Sonata ed il Concerto settecentesco creeranno il lirismo strumentale, dal quale è nata l’espressione musicale moderna.

Il fenomeno melodrammatico investì il pubblico italiano, sempre incuriosito e voglioso di novità, sicché a Venezia si contavano sette teatri; a Napoli cinque ed in quasi tutte le città italiane fioriva l’opera musicale, richiamando l’attenzione dell’intera Europa, che ospitava i nostri cantanti e compositori, i quali avrebbero formato i musicisti nazionali. 

Carlo Broschi detto Farinelli (1705 – 1782)

Ad Amburgo, principale centro musicale tedesco, Reinhard Keiser, fondatore dell’opera nazionale, subiva l’influenza degl’italiani; in Spagna, Farinelli calmava gli eccessi di Filippo II; in Russia, l’opera italiana trionfava grazie ai lavori di Galuppi, Traetta, Pasiello e Cimarosa; Purcell riconosceva la superiorità della scuola italiana.

In Francia, invece, si delineò il confronto tra l’opera francese e quella italiana.

Giovanni Battista Lulli (1632 – 1687)

Dopo il tentativo del fiorentino Lulli, che seguiva l’estetica dei fiorentini, differenziandosene grazie al gusto della tragedia classica di Corneille e di Racine, l’opera musicale si distinse da quella italiana nell’estrema accentuazione del convenzionale e del falso, apparendo come una sequela di arie, balli e declamati dalla mancanza d’unità estetica. 

Grazie a Jean Philippe Rameau si presentò un dramma musicale serio in grado di competere con quello ormai dominante degl’italiani.

Jean Philippe Rameau (1683 – 1764)

La sua riforma riguardò non tanto il progresso del dramma musicale, quanto lo sviluppo del linguaggio musicale, arricchito nei suoi elementi armonici e strumentali. Il declamato assunse un’intonazione più austera, seguendo l’espressione del testo, ma nell’abbandono lirico netta sarebbe l’influenza italiana. In Francia, i suoi lavori furono contrapposti ai lavori italiani; egli fu combattuto dagli stessi Enciclopedisti, favorevoli all’opera del Belpaese, poiché ritenevano la produzione del Rameau sovraccarica di preziosità tecniche ingombranti. Quando nel 1752, fu organizzata a Parigi, dalla compagnia di Eustachio Bambini, La serva padrona di Giovan Battista Pergolesi, la polemica divenne ancor più aspra colla netta divisione tra Buffonisti ed Antibuffonisti, che avrebbe causato il definitivo crollo dell’opera di Rameau.

Tommaso Traetta fu educato alla scuola di Francesco Durante e quando presentò i suoi primi lavori presso il Teatro San Carlo, giudicò importante Ippolito e Aricia non contraddire eccessivamente i desiderata del pubblico napoletano. Finalmente, fu chiamato a confrontarsi nei maggiori teatri europei, dove diede libero sfogo al suo fervido ingegno nella restaurazione del teatro drammatico italiano.

Carlo Innocenzo Frugoni (1692 – 1768)

Quando fu invitato a Parma da Filippo I, Infante di Spagna, in qualità di Maestro di cappella della Corte, egli pensò ad una riforma del melodramma, che non attuò nell’Ippolito e Aricia, su testo dell’abate Frugoni, rappresentata nel 1759, al fine di seguire i gusti del momento e le predilezioni dell’Intendente francese di corte, Guillaume du Tillot, il quale meditava, secondo il conte Rezzonico, d’introdurre tutte le forme teatrali di Francia in Parma. Infatti, quando Traetta presentò, nello stesso anno, il Solimano, fu rappresentato anche il Castor et Pollux di Rameau. 

Francesco Algarotti (1712 – 1764)

Il librettista si dimostrò sensibile alle nuove idee ed alle esigenze estetiche del compositore; rivelò in una lettera del marzo 1759, inviata all’Algarotti:

«Ho già scritti due atti della nostra opera, con qual fatica e con qual struggimento di testo io non vel posso dire abbastanza. Traetta, maestro di musica che ora gli va modulando se me mostra assai contento. Restano ancora tre atti e vogliano le favorevoli muse che possa vedere il termine. Avrei bisogno del vostro aiuto, ed allora potrei sperare bene nell’esito».

Caterina Gabrielli (1730 – 1796)

L’opera andò in scena nel maggio del 1759 presso il Teatro Ducale, per cui furono scritturati cantanti assai famosi, tra cui Caterina Gabrielli, che avrebbe poi seguito Traetta nelle sue peregrinazioni estere. Informò l’Algarotti il librettista Frugoni:

«Il teatro è sempre pienissimo. La musica è divina e divinamente canta e rappresenta la Gabrielli. Gli altri attori tutti fanno assai bene la loro parte. Le decorazioni sono magnifiche».

Nel 1760, fu la volta de I Tindaridi, sempre su libretto del Frugoni, rifacimento del Castor et Pollux di Rameau, che vide il trionfo dell’italiano sul francese, secondo quanto registrò il conte Rezzonico.

Il successo dell’Ippolito parmense raggiunse le principali città europee e così il 4 novembre 1762, andò in scena a Mannheim la Sofonisba, in cui lo svolgimento dell’azione è seguito con rara maestria compositiva e spirito teatrale, seppur in assenza ancora nel rinnovamento del teatro tragico.

Il 4 ottobre 1763 un nuovo grande successo con l’Ifigenia in Tauride presso il teatro Schönbrunn di Vienna.

Nel 1763, Traetta lasciò la corte parmense a seguito della morte di Filippo di Borbone, per dirigere il Conservatorio Ospedaletto di Venezia; sul finire del 1768, si trasferì a Pietroburgo in qualità di direttore di cappella della corte di Caterina II.

Sarebbe morto a Venezia, all’età di 52 anni, nel 1779.

Traetta fu animato da vero spirito precorritore, figlio probabilmente del mutamento radicale dello spirito, che doveva determinarsi con lo scoppio della Rivoluzione francese. Egli sentì concezioni d’arte assai elevate, contrastanti con la mollezza settecentesca, trovando accenti di drammaticità potente. Fornì così al melodramma una nuova vita, preparando l’avvento di una nuova era, meritandosi, a tutto diritto, uno dei più significativi precursori italiani di Gluck, il quale avrebbe dimostrato di possedere idee chiare per scopi precisi. Molti furono, in verità, gl’italiani, che si accorsero della degenerazione del melodramma; Benedetto Marcello ne riassunse vivacemente i tratti ne Il teatro alla moda (1720); Francesco Algarotti si espresse in contenuti assai simili a quelli di Gluck, il quale fu servito di libretti adatti alla riforma da Raniero Calzabigi. Niccolò Jommelli propose nei suoi lavori importanti ed interessanti cambiamenti nell’uso delle modulazioni, che risultarono piuttosto ardite; ideò strane combinazioni armoniche, per cambiare il gusto dei napoletani, che non gli perdonarono le innovazioni.

Johann Adolphe Hasse, il caro sassone, tedesco di nascita ma italiano di formazione, essendo stato allievo del Porpora a Napoli, inaugurò un’espressione teatrale, che ritroveremo nelle opere di Gluck.

Traetta fu l’ultimo segmento, che portò addirittura il melodramma alle soglie della riforma gluckiana.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo:
search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close