Delitto Matteotti: il rimpasto governativo non soddisfa l’opinione pubblica

Vittorio Emanuele III (1869 – 1947)

I quotidiani del 1 Luglio 1924 si soffermarono soprattutto sul discorso, che il Re aveva pronunciato davanti alle rappresentanze dei due rami del Parlamento. Si evidenziò necessario ribadire come il valore del discorso si potesse meramente racchiudere al di sopra delle lotte politiche, poiché Sua Maestà non rivolse alcun invito ai partiti.

Cesare Sobrero su La Stampa annotò:

«Egli ha parlato alle Camere, prese nella loro entità collettiva e nella loro figura statutaria, non nelle loro divisioni interne e nella loro configurazione contingente. Ha parlato alle due Camere, e al di là di queste, al Paese, considerando tutti i suoi cittadini alla stessa stregua, sullo stesso piano, puramente e semplicemente come Italiani – raccomandando – il prospero avvenire della patria, la concordia necessaria nella riaffermazione dei valori nazionali ed umani.

Ribadì il ruolo dei partiti nel concretare l’azione politica, augurandosi che «i propositi, le parole, gli atti, necessariamente non identici, sgorghino in tutti da purità di cuore e da onestà d’intenzione».

Alfredo Rocco (1875 – 1935)

«Il Re si è trattenuto in breve colloquio coi deputati presenti domandando notizie sulle circoscrizioni che essi rappresentano alla Camera. L’onorevole Rocco, presentando al Re i vari deputati, gli ha presentato anche l’onorevole Farinacci. Il Sovrano, stendendo la mano al deputato di Cremona, ha detto sorridendo:

Roberto Farinacci (1892 – 1945)

— E chi non conosce l’on. Farinacci?… Lo conosco perché io, in questi ultimi tempi, ho girato un po’ l’Italia e naturalmente ne ho sentito parlare…

Conversando coll’onorevole Greco il Re lo ha interrogato sui fatti d’arme ai quali il deputato napoletano, che è colonnello di stato maggiore, ha partecipato.

Cogli altri deputati combattenti e mutilati che il Sovrano ha conosciuto durante la guerra e negli ospedali, la conversazione è stata quanto mai cordiale. E quale cordialità ha usato il Re coi membri del Senato.

Il Sovrano ha annunciato ai senatori che avrebbe inviato all’archivio del Palazzo Reale di Torino l’attuale suo discorso di replica, insieme a tutti gli atti che vi si riferiscono, cioè le relazioni tra la Corona ed i due rami del Parlamento.

— Le relazioni tra la Corona ed il Parlamento — ha voluto osservare un senatore — dimostrano la piena cordialità di intenti, che è sempre stata fra le due Camere, e la Maestà vostra.

Il Sovrano ha risposto: — E’ vero, la più alta aspirazione è che questi rapporti siano duraturi e si riaffermino anzi sempre più stretti in avvenire. I senatori hanno accolto con vivissimo compiacimento queste parole reali».

L’analista politico si soffermò sull’avvenuto rimpasto: Pietro Lanza di Scalea (PNF) fu nominato, al posto del dimissionario Federzoni, Ministro delle Colonie; il Liberale Alessandro Casati all’Istruzione sostituì il lodato autore della riforma scolastica Giovanni Gentile; il Liberale Gino Sarrocchi ai Lavori Pubblici al posto di Gabriello Carnazza; ed il Popolare Cesare Nava all’Economia in sostituzione di Corbino.

Insomma un rimpasto ampiamente insufficiente, che scontentò non poco l’opinione pubblica, concentrata sulla mancata soluzione del delitto Matteotti. Le Opposizioni annunciarono la volontà di abbandonare i lavori parlamentari, poiché la nuova compagine non rispecchiava la volontà del Parlamento. La Maggioranza rispose che il Governo avrebbe convocato presto le adunate della Milizia in tutte le città d’Italia, perché in una domenica di luglio, giurassero fedeltà al Re.

I commenti della stampa. La Tribuna rilevò che il rimpasto «rappresenta un altro passo sulla via della normalizzazione». Il giornale osservò che «si è allontanato il ministro Carnazza per la parte da lui avuta, direttamente o indirettamente al finanziamento del «Corriere Italiano»; e l’uscita dal Gabinetto di Giovanni Gentile fu accolta dal giornale con queste parole:

«La riforma Gentile, che è destinata a scomparire col suo autore, era una di quelle pesanti superstrutture che si erano lasciate elevare dopo la marcia su Roma sul programma del fascismo, che aveva accumulato contro di esso larghe antipatie».

Al Corbino, il giornale attribuì più colpi tecniche che politiche, e poi concluse:

«La base del Ministero si allarga e dunque si rassoda. Una punta verso le democrazie, più vicine avrebbe forse contribuito a dare meglio la sensazione che si cerchi di favorire di attirare i lavoratori nell’orbita di una rinnovata azione di Governo. Non sono però in questo caso gli uomini che contano, e neppure i partiti a linee così sfuggenti, ma gli atti. Attendiamo il nuovo Ministero alla prova».

Il Mondo: «Il rimpasto appartiene esclusivamente alla cronaca politica. Diremo soltanto che vediamo partire con melanconia gli onorevoli Gentile e Carnazza».

In una nota politica il Mondo rilevò che al messaggio del sovrano:

«Tutti si assoggetteranno, indubbiamente, all’invocazione di concordia, che sola può dare all’Italia il frutto del sacrificio compiuto dai suoi figli caduti nella grande guerra. Ma non pochi rimpiangeranno che tale invocazione non sia giunta prima di oggi, quando ancora non si erano creato le cause di profondo dissenso e di amarezza, o cause persistenti di agitazione la cui eliminazione si presente tutt’altro che facile sul terreno dei fatti.

Ad ogni modo, noi abbiamo precisato e ripetiamo oggi che la concordia è impossibile tra armati e disarmati. Un appello alla concordia, che mostri di non vedere le armi rimaste in pugno ad alcuni cittadini contro tutti gli altri, rischia di essere nei fatti peggiore di un’irrisione.

Quanto all’esempio che le due Camere avrebbero dovuto, il Mondo osservò che «esse non potranno dimostrare nulla, se non saranno prima ripristinate le condizioni indispensabili per il loro funzionamento.

Aggiungiamo, con quella lealtà e fermezza che gli antichi costituzionali considerarono sempre un dovere assoluto verso la Corona e verso il paese, che è tempo ormai che il Governo del Re si decida senza ulteriori tentennamenti, e senza tentare di rovesciare sugli altri le responsabilità che su di esso gravano esclusivamente, a restaurare la Costituzione violata o manomessa; a disarmare i cittadini, a restituire alla vita pubblica e privata la libertà legale, cui tutti i nati d’Italia hanno un diritto innato ed inalienabile, che non può essere oggetto di mercanteggiamento o di superiori concessioni. Quando il Governo del Re non apparirà al paese infedele a questo fondamentale dovere, potrà esso avere il diritto di parlare agli italiani di concordia ed alle Camere di saggezza. Prima di allora, no. Chi è moroso di fronte al dovere proprio, lungamente trascurato, non ha diritto di farsi maestro di dovere agli altri, verso i quali è debitore».

Il Popolo accolse con profonda commozione la parola del Sovrano, pur notando come:

«A voler raccogliere con onesta e serena sincerità di spirito la parola sovrana, si rende necessario che noi facciamo presente ancora una volta che la concordia è resa materialmente e moralmente impossibile per il fatto stesso che prevalgono nella vita pubblica, anzi tendono ancora ad aggravarsi, quelle intollerabili condizioni che il partito dominante ed il Governo che lo rappresenta, hanno instaurato e sviluppato nel paese dalla marcia su Roma ad oggi.

E’ chiaro che in tali condizioni la parola del Sovrano, per essere feconda, deve essere particolarmente accolta e meditata da coloro ai quali essa deve suonare rampogna.

Benito Mussolini (1883 – 1945)

Resta poi inteso che il cosiddetto rimpasto ministeriale, preannunziato. con grande clamore di frasi, come principio di una nuova era del Governo, non costituisce per noi alcuna peculiare garanzia. Se ne sono andati alcuni uomini logorati dall’esercizio del potere, direbbe l’onorevole Mussolini, ma non è ben chiaro in che senso si debba intendere il potere in un modo affatto distinto. A sostituire costoro si sono messi alcuni valentuomini della maggioranza, figure assolutamente di ordinaria amministrazione. La compagine ministeriale è dunque immutata nella sua essenza politica, e noi oppositori non possiamo farle alcun credito particolare. Ci riserviamo pertanto di vedere all’opera il Governo, specie in confronto del suo partito, che per gli atteggiamenti anarcoidi e rivoltosi, tuttora in atto, costituisce un pericolo, prima che per i partiti di opposizione, per le stesse istituzioni e per le sorti del paese».

Il Giornale d’Italia, commentando il rimpasto, ribatté sull’impegno assunto dal Governo per normalizzare la vita italiana:

«Della sincerità delle promesse non è lecito dubitare. Sono parole di uomini ordinati e corrispondenti al loro interesse politico. Ma potranno mantenerle? Occorre che con altrettanta sincerità e con spirito di sacrificio se ne persuada il partito, cioè gli uomini che lo hanno creato, e coloro che non l’hanno capito e non vogliano capirlo.

Ad ottenerla, l’onorevole Mussolini dovrà adoperare tutta la sua virile e tenace energia, poiché non dagli avversari, ma dagli amici, che egli reputava più fidi, gli sono derivate le più fiere amarezze; onde molti hanno potuto dubitare che la sua forza sia un mito cui la realtà non corrisponde. Il fascismo deve persuadersi che esso non è, come troppo si è detto, una religione in nome della quale i fanatici possono scomunicare e sopprimere ogni altra fede. Riconosca che il liberalismo ed il socialismo sono tendenze insite nella nostra civiltà e che nella nostra costituzione sociale sono insopprimibili».

L’Osservatore romano commentò il discorso del Re:

«La parola di esecrazione per l’atroce delitto, di appello alla riconciliazione ed alla concordia degli animi, espressa dal capo dello Stato, sanziona quelle pronunciate fin qui da quei poteri, da quei giornali, da quei cittadini autorevoli, i quali tutti auspicarono per il bene superiore della nazione una pacifica e perciò graduale sicura soluzione della crisi, che è di risanamento, di ordine, di ripristino della autorità della legge.

Fummo tra i primi in questo augurio, perché in ogni crisi politica noi guardammo sempre e dovunque all’infuori di ogni corrente, di ogni anche giusta critica, di ogni nostro spiegabile interesse di parte, alle ripercussioni sociali dirette le quali possono frustrare le pur migliori intenzioni, impedire le mete più salutari, preparare nuovi danni, nuova sfiducia, nuove agitazioni. Fummo tra i primi per fede e per abito, avendo sempre scorto nell’ordine, anzitutto, nella prudente evoluzione per quanto risoluta e radicale, la salvaguardia di un diritto naturale alla compagine sociale, e cioè di non essere compromessi e travolti in conflitti che non possono sconvolgere la vita prima ancora di riformarla. E questo ripetiamo sempre ed ovunque, in Italia e fuori, di fronte a qualsiasi regime costituito, a qualsiasi pensiero dominante, anche se non partecipe e persino contrario principio religioso e sociale cui ci ispiriamo costantemente fedeli all’indole ed alla stessa della Chiesa».

Filippo Turati (1857 – 1932)

L’intervista a Filippo Turati. L’onorevole Turati concesse un’importante intervista ad un redattore del Popolo sul tema: «Fascismo, popolarismo e social-democrazia».

«Il fascismo assomiglia in questo momento a quel decrepito infossatore di Alfredo De Musset che canticchiando, scavava la propria fossa per sotterrarsi colle proprie mani. La canzone che esso canta per darsi coraggio o fare che altri creda al suo coraggio, è cosi stridula e macabra, che fa pensare ad un Miserere-mei, intonato su di un’arietta di Offenbach. Ma in questo momento l’Italia, ripiegata su se stessa e pensosa dei suoi destini non mi pare davvero che abbia voglia di accodarsi ad un carnevale in gramaglie o, meglio, ad un funerale truccato da ballo in maschera». 

Richiesto quindi se creda il fascismo stia per esaurirsi l’onorevole Turati ha detto:

«Moralmente, senza alcun dubbio; potrei dire che, moralmente, lo era sin dalle origini, poiché, pure con tutta la riverenza per la pleiade di libri ed opuscoli onde lo onorò la fecondità dei suoi sedicenti ideologici, e la bontà da cavalieri antichi degli stessi suoi avversari, io ho sempre ignorata profondamente, come penso abbia sempre ignorato esso medesimo, che cosa veramente, come pensiero, sia il fascismo, movimento e non partito, come veridicamente si definì da se stesso; ossia materia senza spirito, la cui azione è costituita nel capovolgere e distruggere, nel giro di un breve quinquennio, quella lista di programma tendenziale che aveva drappellato come suo atto di nascita (ed in proposito è in corso di stampa un volumetto documentario del nostro povero Matteotti), programma che si era fatto prestare dai nostri partiti per ritorcerlo audacemente contro di noi, radunando le da noi prevedute delusioni, i malcontenti ed appetiti del dopoguerra, per lanciarli sul cadavere del bolscevismo, che la crisi economica ed il buonsenso italico stavano seppellendo che i precursori del fascismo avevano, essi soprattutto, suscitato in vita e che noi avevamo sempre combattuto a viso aperto. Materialmente è un altro paio di maniche; anzi numerose altre paia di maniche e di saccocce, lo quali non si vogliono (è naturalissimo) o aspirano ancora a riempirsi. Quindi dacché nessuno dei medici autorizzati ha il coraggio e la pietà di apprestargli quelle iniezioni di morfina, che sono un dovere in questo caso, si è facili profeti aspettandosi altre convulsioni più o meno preagoniche ciascuna delle quali, peraltro, non farà che affrettarne e assicurarne la fine. L’importante è che delle nostre masse nessuno si presti ad aiutarle, tenendo in gran riserva anche le più legittime impazienze, poiché il giuoco avversario di cercare o provocare fra qualche generosa impulsività per rianimarsi e rinsaldarsi è troppo visibile ad occhio nudo».

La cronaca giudiziaria. «Secondo l’odierna edizione del Sereno, la confessione dei principali autori si è avuta senza alcun confronto. Ma i confronti si sono iniziati oggi, in carcere.

II primo è stato quello fra il Dumini ed il Volpi. Finora il Dumini ha riversato tutta la responsabilità sul Volpi. Questi ha accusato esplicitamente il Dumini di aver premeditato ed organizzato il delitto e di avere, col concorso del Poveromo e del Mazzola ed altri, distrutto il cadavere.

Oggi è stato interrogato in carcere il Poveromo, arrestato venerdì a Milano. I magistrati, dopo aver stabilito la premeditazione e l’organizzazione del delitto, penseranno al nuovo grave compito di stabilire le responsabilità dei mandanti.

Marinelli avrebbe confessato di aver somministrato in più riprese, ingenti somme del partito agli esecutori del delitto, per ordini verbali ricevuti.

Chi avrebbe emanato questi ordini? Forse il commendator Cesare Rossi?

Il Marinelli avrebbe anche fatto comprendere che il cadavere sarebbe stato fatto sparire per ordine superiore. Se questa dichiarazione non controllata è vera, un dilemma si impone: o gli assassini, dopo aver soppresso la persona fisica del deputato Matteotti, hanno avuto cura di farne sparire le spoglie, o queste, ricuperate, sono state sottratte per iniziativa e per mezzo di persone che gli avvenimenti hanno dimostrato coinvolte nelle criminali imprese della banda del Viminale.

Sicché s’impone alla magistratura di elevare a carico dei provenuti anche l’imputazione di soppressione e di sottrazione di cadavere.

Le conseguenze di una tale rubrica dei reati eliminano quelle preoccupazioni di indole giuridica e costituzionale che sono venute affacciandosi in questi giorni. Fino a che il cadavere dell’onorevole Matteotti non sia restituito al culto della famiglia, il reato permane, e chi ne sia indicato responsabile in queste condizioni è legittimamente considerato in flagranza di reato, ed anche se senatore o deputato può essere arrestato pur senza ordine del Senato e senza il previo consenso della Camera.

Le notizie date da vari giornali sulla vita dei detenuti nel carcere di Regina Coeli hanno provocato da parte dell’autorità e del direttore del carcere stesso, misure di rigore davvero eccezionali. Gli agenti della custodia incaricati di sorvegliare i detenuti, implicati nel delitto Matteotti, non possono più uscire dal carcere. Il direttore stesso, cav. Magri, eseguisce di giorno e di notte improvvise ispezioni. La vigilanza è così stretta e rigorosa che gli stessi detenuti ne sono rimasti profondamente impressionati.

Terminati gli interrogatori degli imputati che si trovano detenuti a Regina Coeli per rispondere o come esecutori materiali, o come mandanti, raccolte le deposizioni dei vari testimoni, il commendator Del Giudice e il commendator Tancredi hanno sentito il bisogno, ai fini dell’istruttoria, di chiedere alcuni schiarimenti alla vedova Matteotti, e per evitare alla sventuratissima signora, che si trova ancora in stato di grande depressione; il fastidio di recarsi a Palazzo di Giustizia, i due magistrati la fecero avvertire che sarebbero andati ad interrogarla al suo domicilio. Infatti nel pomeriggio, i due magistrati inquirenti, accompagnati dal cancelliere e da alcuni agenti investigativi, si recarono in visita. La signora, su richiesta del giudice, riconfermava la sua volontà di costituirsi parte civile, nell’interesse dei figli minorenni, contro tutti, in qualsiasi modo avessero partecipato all’assassinio del marito come mandanti o esecutori.

La signora Velia Matteotti, nulla naturalmente ha potuto dire sulla sparizione del marito. Essa ha dichiarato che la sera del 9 giugno, verso le ore 16, il marito era uso ritornare a casa e siccome tardava a rincasare iniziò a preoccuparsi.

Telefonò alla Camera per chiedere agli amici se l’avessero visto il marito, ed avendo avuto risposta negativa la sua agitazione aumentò e passò ore terribili di angoscia, avendo uno strano presentimento.

Si rivolse poi all’onorevole Modigliani legato al marito da fraterna amicizia, ed il mattino dopo si recò in Questura per denunciarne la scomparsa. In Questura, si sapeva già della sparizione del Matteotti.

La vedova Matteotti ha reso la sua deposizione piangendo quasi ininterrottamente. Ha supplicato che si faccia il possibile per rintracciare il cadavere, per non togliere a lei ed ai figli di pregare sulla tomba del caro estinto. Si è infine dichiarata fiduciosa che la giustizia possa punire i colpevoli del delitto».

I commenti della stampa estera. Le Temps si occupò del discorso, pronunciato da Mussolini «ha voluto dimostrare che egli personifica l’indipendenza e la grandezza d’Italia, e che gli stranieri attaccano il fascismo unicamente per indebolire l’Italia stessa. L’onorevole Mussolini ha torto — scrive il grande organo repubblicano. — Gli stranieri non confondono niente affatto il fascismo che ingiuria con l’Italia che essi amano. Ma questo appello xenofobo aveva già echeggiato, giorni prima, alla grande manifestazione fascista di Bologna», dove parlò Dino Grandi.

«Noi dubitiamo che quel grido di odio arrechi un vantaggio apprezzabile all’onorevole Mussolini. Non possiamo naturalmente trascurare le manifestazioni fasciste, poiché esse non sono indifferenti agl’interessi del nostro paese, ma non ci lasceremo turbare da esse, e sarà con grande calma che seguiremo gli eventi dell’Italia. Quando l’onorevole Mussolini avrà aggruppato i suoi nuovi collaboratori, si dovrà esaminane il problema che deve fronteggiare, ed il modo nel quale egli lo risolverà. E’ allora che converrà guardare anche alle altre soluzioni suggerite al Senato dagli oratori dell’opposizione, di un opposizione che non ha bisogno di essere numerosa per essere grande. Per il momento accontentiamoci di segnalare le difficoltà immediate che l’onorevole Mussolini deve sormontare».

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