Mentre il Maestro si apprestava a comporre l’Aida, ricevé la proposta da Francesco Florimo, direttore della Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, di dirigere l’importante istituto musicale in sostituzione di Saverio Mercadante, scomparso il 17 dicembre 1870.
Il 4 gennaio del 1871, Verdi così rispose:
«Carissimo Florimo.
Io ho casa, interessi, fortuna in questi paesi; come potrei abbandonare tutto per venire a stabilirmi in Napoli? So bene, che io avrei molta libertà per andarmene quando lo volessi; ma io non lo vorrei.
Voi tutti dite, che il vostro Conservatorio ha bisogno di una riforma. Non voglio sapere se questo sia vero, ma so che io vorrei (e Io vorrei fermamente) che gli studj fossero fatti a modo mio; e per riuscire a questo sarebbe necessaria una occupazione ed una sorveglianza continua. […]
La proposta, se ha lusingato il mio amor proprio, ha lasciato altresì nel cuore grandissimo il dispiacere di non poter accettare. Ringraziate i vostri colleghi, e dite loro che faccio i più sinceri voti onde possiate trovare un uomo che possa degnamente occupare quel posto. Non importa sia celebre o no.Basta che sia dotto, senza essere troppo pedante. Non dubitate: l’allievo che avrà genio e sarà ben iniziato nei misteri dell’arte farà anche quello che il maestro gli avrà potuto insegnargli».
In una lettera, inviata il giorno seguente, il Compositore tornò sull’argomento. Ribadendo la sua costernazione, causata dalla rinuncia a sì importante incarico, perché «colle mie occupazioni, colle mie abitudini, coll’amor mio alla vita indipendente, mi sarebbe impossibile di sobbarcarmi ad un impegno così grave.
Voi mi direte: E l’arte?
— Sta bene; ma io ho fatto quanto ho potuto, e se di tratto in tratto posso fare qualche cosa, bisogna che io sia libero da qualunque altra preoccupazione. Se ciò non fosse, immaginate s’io non sarei fiero di occupare quel posto dove sedettero fondatori di una scuola Scarlatti, e poscia Durante e Leo.
Verdi era stato allievo di Vincenzo Lavigna, a sua volta scolaro di Nicola Zingarelli, il maestro di Bellini; quindi anch’egli si riconosceva figlio della grande scuola napoletana.
«Mi sarei fatto una gloria di esercitare gli alunni a quei studj gravi e severi, e in un così chiari, di quei primi padri».
Il Maestro insisté sulla forza del passato, guardando con lo stesso interesse verso soluzioni innovative. Ricordiamo che avrebbe poi composto l’Otello ed il Falstaff tratte da Shakespeare, in cui il genio si apre verso una nuova concezione compositiva col tramonto definitivo delle forme chiuse.
«Avrei voluto porre, per così dire, un piede sul passato e l’altro sul presente e sull’avvenire (che a me non fa paura la musica dell’avvenire); avrei detto ai giovani alunni:
«Esercitatevi nella Fuga costantemente, tenacemente, fino alla sazietà, e fino a che la mano sia divenuta franca e forte a piegar la nota al voler vostro. Imparerete così a comporre con sicurezza, a disporre bene le parti ed a modulare senz’affettazione.
Studiate Palestrina e pochi altri suoi coetanei. Saltate dopo a Marcello e fermate specialmente la vostra attenzione sui recitativi.
Assistete a poche rappresentazioni delle Opere moderne, senza lasciarvi affascinare né dalle molte bellezze armoniche ed istromentali né dall’accordo di settima diminuita (che il Maestro userà assai per descrivere i dilemmi di Desdemona), scoglio e rifugio di tutti noi che non sappiamo comporre quattro battute senza una mezza dozzina di queste settime».
Un bravo musicista deve esser colto di letteratura e quindi di scienze umanistiche.
«Fatti questi studj, uniti a larga cultura letteraria, direi infine ai giovani: Ora mettete una mano sul cuore; scrivete, e (ammessa l’organizzazione artistica) sarete compositori.
In ogni modo non aumenterete la turba degli imitatori e degli ammalati dell’epoca nostra, che cercate, cercano, e (facendo talvolta bene) non trovano mai».
Molto interessante anche il programma, che il Maestro avrebbe indicato agli studenti di canto.
«Nell’insegnamento di canto avrei voluto pure gli studj antichi, uniti alla declamazione moderna. Per mettere in pratica queste poche massime, facili in apparenza, bisognerebbe sorvegliare l’insegnamento con tanta assiduità, che sarebbero pochi, per così dire, i dodici mesi dell’anno».
Oggi accade che giovani con alle spalle pochi anni di studio sono invitati a debuttare.
Quindi la chiosa finale:
«Auguro troviate un uomo dotto sopratutto e severo negli studj. Le licenze e gli errori di contrappunto si possono ammettere e son belli talvolta in teatro: in Conservatorio, no.
Torniamo all’antico: sarà un progresso».