Mercoledì 2 Luglio 1924 l’apertura de La Stampa fu dedicato al cambio al vertice della Milizia:
«A titolo di cronaca raccogliamo la voce che a succedere al generale De Bono, al comando della Milizia, sarà nominato il generale Gastone Rossi, attualmente comandante la Divisione di Cagliari».
La cronaca politica. La lista dei sottosegretari sarebbe stata comunicata in tarda serata. Probabilmente Dino Grandi sarebbe stato nominato agl’Interni o alla Presidenza del Consiglio; Lanza di Trabia al Ministero della Guerra.
«I nomi degli altri candidati probabili sono quelli, già segnalati, degli onorevoli Cantalupo alle Colonie, Mazzini all’Economia nazionale, Sipari alla Marina, Baldini Giuliano all’Istruzione, Caprino alla Giustizia.
Quanto al rimpasto ministeriale, si è precisata oggi maggiormente quella prima impressione di delusione che già si era manifestata ieri. Alcuni deputati fascisti, stamane a Montecitorio, interpretavano il rimaneggiamento del Ministero come un riconoscimento di debolezza da parte del Governo ed esprimevano l’opinione che dalla crisi sia uscito svalorizzato il Partito Fascista, tanto che tre ministri fascisti sono stati sostituiti da tre persone non fasciste. Si attende perciò con accentuato interesse, da parte della maggioranza, la nomina dei sottosegretari; restando pertanto assodato che il rimpasto ministeriale non ha trovato buona accoglienza neanche nel campo ministeriale.
Con estrema prudenza e sensibilità, il Vaticano seguiva con estrema apprensione le notizie provenienti da Roma. «Il cardinale Gasparri, dopo aver tenuto a battesimo il Partito Popolare, dopo averne vigilato con paterna benevolenza le prime mosse e aiutato con efficacia operosa la propagazione fortunosa, non ha mai cessato di nutrire la più tenace e serena fiducia nelle possibilità del suo programma e nell’immancabilità del suo avvenire. Il cardinale Gasparri è uomo che sa magistralmente la convenienza delle sagaci ritirate — che in concreto equivalgono talora ad abbandonare le proprie creature al loro periglioso destino — e l’opportunità delle parziali concessioni — che di fatto significano a volto inattese sconfessioni. Ma la sua anima è sempre col Partito Popolare, probabilmente ora più che mai».
Anche la Civiltà Cattolica si mantenne fedele al programma e alla tattica del Partito Popolare; «le più alte gerarchie della Compagnia hanno cercato di stringere proficui vincoli di collegamento col governo fascista».
I commenti della stampa. Il Popolo diede la notizia secondo cui il 6 luglio avrebbero avuto luogo «nei vari centri dell’Italia delle adunate della Milizia nazionale e di personalità fasciste. In tale occasione si rinnoverebbero le manifestazioni di riscossa e di rivendicazione già avvenute a Bologna ed a Bari ed abortite a Roma.
Si prepara forse la nuova Bastiglia? Ecco il punto in cui attendiamo l’opera dell’onorevole Federzoni. Pertanto i cittadini onesti, ove le adunanze stanno per avvenire, si guardino con ogni cura dagli agenti provocatori, che non mancheranno dii tentare qualche giuoco diversivo».
Il Mondo rilevò come «la minaccia prospettata dai giornali fascisti di una “rivoluzione rossa” ha tutte le caratteristiche di un bluff, se si pensa alla serietà ed alla compostezza con cui le masse operaie hanno partecipato alla commemorazione dell’onorevole Matteotti.
Il tentativo cade miseramente nel nulla per un’altra ragiona fondamentale. Il movimento bolscevico del dopo guerra non fu un fenomeno esclusivamente italiano, bensì dell’Europa intera. Specialmente in Inghilterra, ebbe manifestazioni preoccupanti, forse più che in Italia, eppure l’ordine è ritornato in quella nazione, senza alcun bisogno di minaccia specializzata contro la sovversione comunista e senza neanche bisogno dell’entrata in campo di quelle squadre d’azione che il fascismo costituì, quando già si erano fatti molti passi verso la normalizzazione».
Il giornale denunciò altresì il «il linguaggio con cui il fascismo più responsabile conferma il suo spirito di sopraffattrice intransigenza ed i suoi criteri faziosi, per cui la normalizzazione non può essere concepita se non come una docile servitù dei cosiddetti vinti di fronte ai presunti vincitori. E come è logicamente e moralmente lecito a certa stampa fiancheggiatrice di fare appello ai sentimenti di concordia dell’opposizione, quando tale è la risposta che nelle sfere ufficiali del fascismo viene data al messaggio del Re?».
Il Nuovo Paese: «Il rimpasto è troppo ristretto e troppo privo di significato politico, perché non rappresenti una delusione per l’opinione pubblica. Già prima si riteneva che il Governo dovesse essere adeguato alla situazione sorta dalla rinnovazione dell’assemblea elettiva. Questo adeguamento era da concepirsi prima del delitto Matteotti, come una trasformazione totale o quasi del Gabinetto. E’ evidente che dopo questi venti giorni, che possono valere venti anni, una sostituzione di tre ministri e l’acquisto di uno nuovo, in conseguenza dell’abbandono degli Interni da parte dell’onorevole Mussolini, non debba essere ritenuta soddisfacente.
Il discorso alla maggioranza e al Senato, la parola della Corona, il rimaneggiamento ministeriale, chiudono comunque il periodo dei tumulti e dei colpi di scena, e iniziano quello di una ordinata ripresa del gioco politico. Ciò non significa che tutto sia superato e normalizzato, ma soltanto che si sono poste le condizioni pregiudiziali per la possibilità della normalizzazione. Una volta ancora però è necessario che le opposizioni definiscano il loro obbiettivo politico. Se esse conservano il loro programma massimo di rovesciare il Governo di forza, in blocco e a breve scadenza, noi crediamo che esse non giungeranno che a creare una situazione di paralisi e incertezza, il cui sbocco rimarrà un punto interrogativo per tutti. Se tengono conto invece che l’onorevole Mussolini nel suo discorso alla Camera, richiamandosi a dichiarazioni fatte nella stessa sede anteriormente, riteneva, prima del delitto Matteotti, di considerarsi giunto quasi al termine della sua fatica e al compimento della sua opera, le opposizioni potranno trovare in questa nota le direttive inspiratrici».
Il clerico-fascista Corriere d’Italia: «Il rimpasto ministeriale non ha corrisposto pienamente a quello che doveva esserne lo scopo, poiché ne sono rimasti fuori i rappresentanti della Sinistra ministeriale ed in particolare quelli della pattuglia giolittiana; e questa lacuna ha senza dubbio ridotto il significato e la portata del rimpasto, che dovevano derivargli appunto dal fatto che la maggioranza parlamentare venisse precisata ed accresciuta intorno alla nuova compagine ministeriale Tuttavia, i quattro nuovi ministri rappresentino, per lo meno… un indice di parlamentarizzazione».
Il Messaggero: «La trasformazione della compagine ministeriale si può considerare nulla più che un episodio dell’attuale preparazione alle nuove opere enunciate dall’onorevole Mussolini. Tre ministri, per differenti ragioni discussi, sono stati allontanati dal loro posto. Gli uomini che ne prendono la successione in questa ora grave per tutti, sono degni e laboriosi, seppure non appaiono formidabili. Ma gli uomini si giudicano dalle opere. La nazione aspetterà, dunque, di giudicare i nuovi ministri dalle loro nuove opere che dovranno inquadrarsi nelle, linee che l’onorevole Mussolini ha precisamente fissato nelle sue ripetute dichiarazioni».
Lunga fu l’analisi dell’Osservatore Romano, organo della Santa Sede.
«Notiamo subito che dei fatti attesi, alcuni sono in funzione di causa ed altri di effetto. Ai primi appartengono la parola, l’esempio, l’opera diretta dei poteri responsabili e dei dirigenti di parte; ai secondi le conseguenze di questo nuovo spirito, al cui complesso programmatico e disciplinare pretendere che questi si avverino nel volgere di pochi giorni e di poche settimane è assurdo. Invocare invece che quelli non si indugino, ma si manifestino prontamente, senza tergiversazioni, è precisare l’urgente necessità da cui dipende la soluzione stessa della delicatissima situazione.
Ora crediamo doveroso constatare obbiettivamente come la parola, l’esempio, l’opera diretta dei pubblici poteri e dei dirigenti fascisti, potrebbero e dovrebbero essere più solerti e più sensibili delle responsabilità gravissime, più consone alle promesse ripetute e solenni.
Il comunicato dell’Ufficio stampa del Partito Fascista, dopo la mozione dell’Opposizione; il linguaggio degli organi più accreditati ed influenti, di quelli soprattutto su cui l’opinione pubblica crede di scorgere il pensiero e la penna dei collaboratori autorevoli del Governo; le parole celebranti le nuove adunate di parte, suonano ancora ira e minaccia, si abbandonano ancora a quel fraseggiare, che voleva essere forse accademico nei tempi andati, ma si risolse invece, nella torbida mente dei disperati e dei criminali, in un eccitamento al delitto, inteso come un bel gesto spicciativo, forse anche come un atto meritorio per quel l’idea che i capi esaltavano e difendevano con tanta pericolosa violenza di parole.
Oggi, come ieri, si ripete un abito di pensiero e di oratoria contro persone e partiti, per cui si continua ad arricchire ancora quella fatale crestomazia di frasi aggressive, che potrebbe costituire il libro galeotto di molti delitti.
Occorre, almeno dopo le molte tragiche esperienze, convincersi di questo: che ogni parola è una miccia accesa tra tanti fermenti di passioni politiche, tra tante sfrenate abitudini di violenza; e chi scrive e parla, sapendo di esercitare un’autorità ed un’influenza laddove più fervono gli istinti e tace la ragione, deve sapere misurare, frenarsi, tacere, perché tutto, anche il minimo fiore retorico, può essere frainteso ed interpretato come una licenza, un’esortazione; tutto, anche le intenzioni — semplicemente, ammonitrici e polemiche — del ministro degli Interni nel telegramma al senatore Frassati, di fronte al quale la parte sana dell’opinione pubblica lo avrà giudicato soltanto intempestivo, ma le correnti più insofferenti ed audaci vi potevano leggere, se non altro, una spiegazione delle loro gesta, rianimate così da una certa gagliardia d’i impresa politica, laddove non era se non il preciso reato comune di violazione di domicilio per tentata violenza personale ad un cittadino. E tutto ciò è tanto più grave e degno della vigile attenzione, quanto più, accanto al rifiorire letterario dell’antico stile, rifiorisce qua e là l’antica malvagità aggressiva dei peggiori, come a Torino, così a Bologna, così a Milano, così pure a Palermo, senza spiegazioni di sorta e senza motivazione di pretesto.
In una cattedrale, durante una funzione eucaristica, mentre era esposto il Santissimo, un gruppo di elementi fascisti recò grave offesa alla fede ed al culto nella sua più alta e solenne espressione. Non sappiamo quali responsabilità ed in quale modo siano state accertate. Vogliamo pensare che le autorità avranno fatto ormai il loro dovere, secondo gli impegni assunti dal Governo.
Ma è impossibile non rilevare che, oltre questa azione repressiva, non può più tardare una rassicurante attività preventiva, quale la trasformazione del preponderante spirito di violenza; la rieducazione apolitica per il rispetto reciproco e per la pacificazione; cioè, di quel parlare, di quell’eccitare, di quell’agire semplicemente, cosicché appaia ben chiaro come, sulle dolorose rovine di un regime di violenza, non si tollererà mai più ne propositi, né audacie, né impunità di azioni criminose. La repressione, il libero corso della giustizia, la condanna pronta ed inesorabile, sono e restano un’altra condizione, un altro presupposto necessario della normalizzazione. Il male seminato dall’impunità — non abbiamo bisogno di illustrarlo, noi che lo denunziammo incessantemente — lo snida la cronaca sanguinosa di questi giorni. Ma l’estirpazione dei suoi tossici frutti, non basta se il seme inavvertitamente si getta ancora a germogliare tra le spine di questo angoscioso momento politico. Essa impedirà almeno quella prova dei fatti, che per gli uni è promessa e per gli altri atti decisivi, e per il paese elemento indispensabile di definitivo giudizio».
La cronaca giudiziaria. «Non si nasconde negli ambienti del Palazzo di Giustizia che le indagini subiscono una fase di arresto, procedendo lentamente. Troppi elementi fanno si che la Giustizia non sia messa in condizione di fare luce completa su questo orribile delitto, che tanta indignazione ha suscitato nell’opinione pubblica. Ma da molti si spera che la sagacia dei due magistrati che presiedono le indagini riesca a dissipare tutti i veli e presto si giunga ad una ricostruzione completa dell’orribile delitto, con l’inesorabile sanzione contro tutti i colpevoli.
Sembra che gli arrestati comincino a perdere la speranza che dal di fuori si pensi a salvarli, e ognuno pensa ai casi suoi.
Il Viola è già, si assicura, in questo stato d’animo. Egli ha già detto qualche cosa. Ma è troppo poco. Dopo di lui anche gli altri seguiranno il suo esempio».
Intanto la sezione di accusa rubricò a carico dei presunti autori materiali «dell’assassinio del Matteotti il reato come «omicidio premeditato».
Pare intanto che la Sezione di accusa sia venuta a conoscere la esistenza di un altro esecutore materiale, del delitto. Si tratterebbe di un operaio fascista, che più che il lavoro amava vagabondare nel suburbio.
Ci consta pure che sono state ordinate perquisizioni presso una persona nota nel mondo politico fuori di Roma. Questa perquisizione pare sia in relazione con la permanenza per qualche giorno in una città dell’Italia centrale di uno degli imputati.
Amerigo Dumini era ancora senza difensore: «Tutti gli avvocati da lui scelti hanno rifiutato l’incarico, come quelli nominati di ufficio dalla Sezione d’accusa. Oggi l’Accusa doveva provvedere ad un’altra nomina, e si spera che questa potrà essere definitiva. Certo la figura del Dumini è delle più fosche in questo processo. Contro di lui si accumulano molte accuse per tanti reati commessi.
Il Mondo rilevò come sulla figura del Dumini si attestassero molte accuse di «omicidi, le più sanguinose aggressioni in Italia e fuori d’Italia, in città e in paesi e sarebbe sempre passato impunito e spavaldo fra le maglie della polizia. Ripetiamo che i delitti sarebbero molti.
I soggetti passivi delle aggressioni apparterrebbero alle più diverse classi sociali, alle più lontane tendenze politiche, avrebbero abitato grandi città e piccoli paesi. Su tutti sarebbe piombato indisturbato e protetto il Dumini e la sua banda, e allora i casi sono due: o il Dumini e la sua banda erano chiamati da un punto all’altro d’Italia o qualche ras locale, la cui autorità aveva bisogno di sanguinose esecuzioni; o il Dumini era inviato in missione da Roma e munito di un vero e proprio salvacondotto dell’omicidio.
In un caso o nell’altro, l’indagine non può fermarsi nella constatazione del reato al solo Dumini; deve andare più in là, alla ricerca di quel mandato generale dell’aggressione e dell’eccidio, all’identificazione dei mezzi materiali e dei mezzi politici che dovettero essere forniti al Dumini per l’espletamento delle sue scellerate missioni».
Sull’omicidio Matteotti, rintuzzò Il Mondo:
«E’ chiaro che la rete delle responsabilità si allarga. Nessuno dei delitti commessi dal Dumini, è nato dal nulla: ha avuto sempre un punto di partenza politica e sempre è stato seguito da una valutazione politica che equivaleva ad una giustificazione morale e ad una vera e propria patente di non imputabilità; solo così si spiega che non un solo prefetto di una sola provincia, né l’autorità giudiziaria di un solo distretto, siano rimasto passivi, inerti innanzi ai feroci misfatti commessi dal Dumini.
Presso tutte le autorità politiche e giudiziarie del Regno, da un capo all’altro d’Italia, esistono processi iniziati pro-forma e rapidamente chiusi per insufficienza di indizi, mentre la voce pubblica conclamante indicava mandanti, esecutori, complici e fatti politici precedenti, destanti ragioni di sospetto. Chi ha imposto alle autorità di polizia di sottrarre alla magistratura gli autori e la prova di reato?
L’onorevole Mussolini ha, in una sua autoapologia, prendendosela con la stampa liberale, affermato come solo il giovedì dopo il rapimento si parlò di ipotesi di delitto. Ora noi più volte, esaminando le precise responsabilità del generale De Bono come direttore della Pubblica Sicurezza abbiamo posto in rilievo come la polizia conoscesse dal martedì la scomparsa dell’onorevole Matteotti e come sia imputabile di grave responsabilità chi, fino al giovedì, occultò al Ministro degli Interni la gravità del misfatto e consentì la fuga di molti, autori e complici, favorendo altresì la distruzione della prova, il cadavere insepolto, la più atroce accusa in questo campo di responsabilità.
Se il giovedì soltanto si cominciò a parlare di ipotesi di delitto (si noti, ipotesi) come si spiega che il giovedì stesso sera il Dumini fu arrestato come autore? Si conosceva l’autore e si parlava ancora del l’ipotesi.
Chi impartì l’ordine di arrestare il Dumini e mentre faceva arrestare il Dumini lasciava via libera a Cesare Rossi e Filippelli?
Il magistrato non ha su questo punto da domandare nulla a nessuno?
E’ una domanda più seria e importante che non si creda, mentre su Dumini piovono denunce e denunce di delitti, non accompagnate dalla ricerca dei mandanti e dei complici necessari e non necessari, appartenenti alla organizzazione centrale della banda criminosa.
La magistratura agisca. L’opinione pubblica non si è addormentata, e non si addormenterà».
«Le indagini per le ricerche del cadavere dell’onorevole Matteotti non hanno dato ancora alcun risultato. Una nuova fase delle ricerche sarebbe stata determinata, come dicevamo sabato, da alcune vaghe ammissioni da parte degli imputati.
Le indagini sono continuate con lena per tutta la giornata di ieri.