Delitto Matteotti: «omicidio premeditato». Nei commenti della stampa dell’epoca

Giovedì 3 luglio 1924, il quotidiano La Stampa espresse forti riserve sulla validità del rimpasto ministeriale, che sarebbe dovuto servire per rasserenare l’arroventato clima politico.

Altresì, rivolse tutte le preoccupazioni più serie al violento linguaggio adoperato da alcuni capi fascisti e per il manifesto del Direttorio fascista contro le Opposizioni, in cui «si condannava l’«isolata violenza», riservandosi il diritto di scatenare quella organizzata e collettiva».

«La notizia principale, ormai autorevolmente accertata, è che la sezione d’accusa ha mutato il primitivo titolo di reato — che era di «privazione della libertà in persona del deputato Giacomo Matteotti» — in quello di «omicidio premeditato», che apparì dopo le indagini della magistratura.

La luce più fosca si proietta su quell’ambiente dell’Ufficio Stampa alla Presidenza del Consiglio, donde risulta, fino ad ora, essere scaturito il delitto Matteotti. E poiché questo appare collegarsi con altri della cosiddetta «Ceka», per cui la magistratura sta raccogliendo i documenti a fin d’indagarne i legami – risultati ben gravi, per le alte sfere fasciste e governative. E sempre, meglio risulta la gravità senza precedenti di una rete e di un’organizzazione delittuosa, penetrante così addentro e così in alto.

Emilio De Bono (1866 – 1944)

La magistratura, nella sua opera indefessa e coraggiosa, ha tanto più bisogno dell’appoggio della pubblica opinione, quanto più anormale — per motivi a tutti evidenti — è la situazione attuale di quel potere esecutivo, che pure dell’opera di giustizia è strumento indispensabile. Il generale De Bono è ancora a capo di un corpo armato che pure ha, o dovrebbe avere, funzioni di polizia, pertanto, dovrebbe essere — ma non è — alle dipendenze del ministro dell’Interno. Questi, che pur compie sequestri illegali di giornali, non ha ottenuto ancora (pure avendolo domandato da un pezzo, a quanto si dice) l’allontanamento del De Bono. Non sono, queste, condizioni del tutto anormali per quel potere esecutivo che dovrebbe essere il braccio fido e potente di quello giudiziario?

Italo Balbo (1896 – 1940)

Il telegramma della Milizia al Presidente del Consiglio. Il comandante generale della Milizia fascista, Italo Balbo, inviò un telegramma, nel quale «i comandanti, consoli, ispettori riuniti a rapporto, m’incaricano di esprimere al loro capo i sentimenti dell’assoluta devozione, che va fino al sacrifizio, sicuri interpreti di 90.000 camicie nere saldamente inquadrate in formidabili ranghi, che intendono costituire la guardia del duce e del fascismo».

Scrisse La Tribuna: «Il giuramento della milizia al Re sarà il primo atto che seguirà l’entrata della milizia stessa nei ranghi dell’esercito; ma, appunto per questo, è ancora prematuro poter dire quando tale cerimonia potrà avvenire. E’ noto che l’onorevole Mussolini, appena di ritorno dal suo viaggio in Sicilia, ebbe a comunicare, sia al Ministro della guerra sia al Comando della milizia, le linee generali del progetto che egli stesso aveva preparato per l’inquadramento della milizia nell’esercito. Da parte dei capi dello Stato Maggiore dell’esercito e della milizia si è continuamente lavorato d’accordo per risolvere le numerose difficoltà d’indole tecnica e morale sorgenti dall’esame ponderato del problema; diremo anzi, secondo quanto ci è stato da più parti affermato, che solo lo spirito di cordialità e di patriottismo di cui sono animati coloro ai quali fu devoluto questo difficile compito ha permesso di sormontare tutti gli ostacoli e giungere ad una soluzione da perfezionare solo in pochi dettagli, che certamente soddisferanno non solo direttamente interessati, ma — il che specialmente è della massima importanza — il paese tutto.

Vittorio Emanuele III (1869 – 1947)

Il giuramento al Re avverrà quindi certamente entro un limite di tempo brevissimo, ma sempre dopo che un atto del Governo abbia dato alla milizia quel carattere statale che essa sta per assumere».

La cronaca politica. «Giornata turbinosa, nella quale si sono intrecciate le novità del mondo politico con quelle del campo giudiziario. Nelle prime campeggiano la nomina dei nuovi sottosegretari di Stato, il telegramma dei generali della Milizia fascista al duce, la rinunzia dell’onorevole Mussolini a partecipare alla Conferenza internazionale di Londra.

Benito Mussolini (1883 – 1945)

Nel secondo campo, spunta l’apparizione di una donna — «la contessa del Viminale» — nel quadro dell’affare Matteotti e la possibile correlazione tra l’affare Matteotti e l’affare Bergamini.

La “contessa” ha avuto protezioni altissime e deve conoscere molti retroscena di ciò che si è svolto negli ultimi tempi al Viminale. Non vi è stato processo di corruzione, di suo nome non sia comparso fugacemente.

Durante l’imperio di Cesare Rossi e di De Bono, questa donna ha saputo imporre la sua volontà nettamente. In Questura pervenne un dossier gravissimo a carico di questa strana donna per l’opera prestata durante la guerra per esonerare i combattenti validi. Le relazioni e le protezioni di questa donna sono innumerevoli: dalla spia, al delinquente volgare, dal biscazziere al generale, dalla cocotte d’infimo ordine alla dama eletta. Ogni amicizia era per lei un’arma, e si deve a questa novella Mata Hari (un tempo però faceva la spia a danno d’insospettabili ufficiali dei carabinieri e ufficiali della Milizia) se la banda dei biscazzieri è riuscita ad imporre un progetto così ignobile da suscitare la nausea e lo sdegno generale.

Questa femmina chiamata “la contessa del Viminale”, era amica di Cesare Rossi, di Volpi ed altre personalità che ancora godono fiducia. Anche lei sosteneva al Viminale che l’Opposizione doveva essere soppressa, che gli Unitari rappresentavano un pruno nell’occhio del Governo. Apparteneva alla banda del Brecche. Era amica di alti personaggi del Fascismo.

Come va che il magistrato non ha chiesto informazioni di questa donna che vantava di possedere il cuore, sempre tenero, di un personaggio non del tutto ancora liquidato? La banda del Brecche non è ancora stata dispersa. Troppi personaggi colpevoli, direttamente ed indirettamente, dell’assassinio vanno in automobile, frequentano il tabarin Bragaglia ed il Casino Valadier. Fino a quando?»

A proposito del rimpasto, La Stampa annotò l’aumento del numero dei sottosegretari, «premeditato al fine di moderare il largo malcontento esistente nelle sfere fasciste per le ripercussioni dell’assassinio dell’onorevole Matteotti sulle situazioni fasciste locali.

Dino Grandi (1895 – 1988)

«L’onorevole Mussolini ha cercato di trarre il migliore partito possibile dalla situazione, portando al potere un numero notevole di fascisti, specialmente giovani, e mettendo così, senz’altro, alla prova taluni elementi del suo partito a qualche mese appena di distanza dalla loro elezione; il che avrebbe costituito, in passato, uno scandalo. L’onorevole Mussolini non ha esitato ed elevava ad un posto di prim’ordine l’onorevole Dino Grandi, deputato di prima legislatura, già nominato appena eletto vice-presidente della Camera. A capo della lista viene posto come nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio — al posto di Acerbo — il deputato di nuova elezione conte Suardo, di nobile famiglia bresciana. E’ un giovane che si confida saprà farsi onore.

Il Consiglio dei ministri si riunirà per la prima volta lunedì, o martedì prossimo al più tardi. Si conferma che il presidente del Consiglio non ha alcuna intenzione di riaprire per ora la Camera, prima di tutto perché — dicesi nelle sfere ufficiose — non considera affatto opportuno di esasperare maggiormente la situazione attuale, data la secessione delle minoranze sull’Aventino, ed in secondo luogo perché il Governo dispone dell’esercizio provvisorio sino al 31 dicembre e può dunque fare a meno, per il momento, della Camera; la quale verrà, invece, riaperta in novembre. Il Governo conta nel frattempo di dare un forte impulso all’opera di normalizzazione, provocando così uno sboccamento delle minoranze.

L’onorevole Mussolini, nel frattempo, non abbandonerà Roma, per dedicare tutte le sue cure alla situazione interna, quanto mai delicata: la presenza dell’onorevole Mussolini a Roma è considerata indispensabile, se si pensa alla bufera che scoppiò nello stesso campo fascista, durante il viaggio in Sicilia del presidente del Consiglio, quando cioè non era ancora avvenuto il delitto Matteotti. Negli ambienti ufficiosi si tiene quindi a spiegare che è unicamente per dominare la situazione interna che l’onorevole Mussolini rinunzia ad andare a Londra e non già perché egli ritenga di trovarsi a disagio di fronte ai capi di Governo dell’Inghilterra, della Francia e del Belgio».

I commenti della stampa. Il Popolo d’Italia, giornale fondato da Mussolini: «Non parlino di pace coloro che rovesciano ogni giorno la loro bile sul movimento fascista; non parlino di normalizzazione coloro che proclamano la guerra santa al fascismo. Il fascismo sino a quando sarà attaccato, contrattaccherà ed avrà diritto di contrattaccare. Colui che lavora nel silenzio di palazzo Chigi non c’entra. Non si approfitti della pazienza fascista. Sono venti giorni che si resiste, colla pazienza di San Francesco, alla più vergognosa ondata sovversiva e cagoiarda. Il fascismo egregi signori, è sempre formidabilmente vivo, ve ne accorgerete».

Replicò Il Popolo: «Questo pezzo del “Popolo d’Italia” contiene un vero e proprio ultimatum all’Opposizione, il quale si manifesta in una forma che non potrebbe essere più chiara: il terrore, che certe sfere dirigenti fasciste hanno, ormai, di fronte agli inesorabili sviluppi della luce e della giustizia. Notevole il fatto che il pezzo fu telefonato da Roma, ciò che autorizza a credere che sia stato, per lo meno, ispirato. Ma le intimidazioni e le minacce dell’organo personale del presidente del Consiglio riguardano non tanto l’opposizione, quanto i poteri costituiti, a cominciare dal Re per finire alla Giustizia, che sono i soli che hanno qualche cosa da temere dai folli attacchi degli organi fascisti».

L’Idea Nazionale commentò: «E’ perfettamente chiaro che chi ha normalizzato sino ad ora è il fascismo; che chi ha legalizzato è il governo. Tutto lo sforzo pacificatore è stato fatto sinora da noi; tutto lo sforzo per ricondurre la situazione alla normalità è compiuto da noi, dai nostri uomini, dal governo, dai nostri personaggi responsabili, dal partito, da Mussolini anzitutto.

Si deve anzi dire che il massimo sforzo che il fascismo sta compiendo in queste settimane è uno sforzo pacificatore, dall’annunziata costituzionalizzazione della Milizia al rimpasto ministeriale ed alla sostituzione dì tutti i sottosegretari; dalle circolari al provvedimento del nuovo ministro degli Interni, a proposito dei lievi episodi di violenza verificatisi; dal messaggio sovrano alle rigide istruzioni ai segretari provinciali fascisti; dai piccoli e maggiori segni appare chiaro che noi, ed esclusivamente noi, stiamo compiendo sforzi pacificatori».

L’Impero sostenne che il fascismo dovesse «ben stringere le file e cacciarne tutti i falsi amici – che definì – cannibali», proponendo la cacciata di Tullio Giordana, direttore della Tribuna; Paolo Scarfoglio, del Mattino, e Tommaso Monicelli, direttore del Resto del Carlino.

La cronaca giudiziaria. «Sul prosieguo dell’istruttoria, si sa che nel pomeriggio di ieri venne interrogato per la seconda volta uno dei fratelli Catarchi di Ronciglione, affittuario delle barche.

Stamane gl’inquirenti si sono recati a Regina Coeli per interrogare l’ultimo arrestato giorni or sono a Milano, Amleto Poveromo. L’interrogatorio dell’imputato, che prima di oggi non era comparso dinanzi ai magistrati, è durato oltre due ore. Su di esso si mantiene il massimo riserbo, giacche gli istruttori sfuggono completamente a qualunque tentativo di abbordaggio da parte dei giornalisti.

“La Tribuna” afferma che risulta però in modo certo che sono imminenti deposizioni di cospicue personalità, anche politiche, dalle quali l’istruttoria trarrà nuovi elementi di prova e di preciso accertamento di responsabilità.

Oggi all’ufficio della Sezione di accusa sono stati ripresi gli interrogatori dei testimoni. Ha fra l’altro deposto una telefonista, quella addetta, nei giorni consecutivi alla sparizione dell’onorevole Matteotti, alle comunicazioni del “Corriere Italiano”.

Amerigo Dumini (1894 – 1967)

Finalmente anche il Dumini avrebbe trovato un difensore nell’avvocato Giovanni Baselli, che officiato dalla famiglia dell’imputato, avrebbe, si dice, accettato la difesa, di fiducia.

Giovanni Marinelli (1879 – 1944)

Si ha notizia che l’imputato Giovanni Marinelli, si trova in questi giorni in stato di profondo abbattimento. Egli fino al momento dell’arresto, aveva gravemente risentito fisicamente e moralmente del fatto. Adesso, unico fra gli arrestati, dimostra uno straordinario accasciamento. La stessa “Tribuna” dà poi la seguente informazione:

«Una persona, di cui non siamo autorizzati a fare il nome, chiamata a deporre, sembra che abbia riferito precise circostanze a carico dell’austriaco Trinschelvalde. Questa persona, abitante noi pressi della casa dell’onorevole Matteotti, sorprese la sera precedente al delitto un giovane, che erano l’austriaco in attitudine sospetta. La qual cosa finì col fargli tale impressione da avvicinare lo sconosciuto e chiedergli cosa egli facesse. Questi, messo alle strette, avrebbe confessato che era lì per servizio di polizia, esibendo un foglio che portava l’intestazione dell’Ufficio stampa del Ministero degli Interni».

Il Mondo, nel suo articolo di fondo, affermò: «La fiducia nei magistrati era ed è scossa dal lungo periodo di violenze tollerate, giustificate ed esaltate, senza che alcuna resistenza venisse dagli organi dello Stato, che hanno completa autonomia nella tutela della legge o nell’opera della sua applicazione di fronte a tutti contro tutti. Il popolo italiano ha potuto constatare le deficienze degli istituti e le debolezze degli uomini preposti alla loro direzione durante un lungo periodo di quasi due anni ed ha potuto, in piena crisi politica e morale, come quella prodotta dall’assassinio, dell’onorevole Matteotti, constatare altresì come gli organi preposti alla difesa sociale e giuridica, non solo non si coordinino, ma contrastino tra di loro.

Nessuna prova può essere data di questo gravissimo male più completa di quella emersa nella prima settimana delle indagini per l’assassinio dell’onorevole Matteotti.

Nessuno può e vuole dimenticare quella settimana di equivoci, di contraddizioni e di esitazioni, durante la quale la direzione generale della P. S., sostituendosi arbitrariamente all’autorità giudiziaria, iniziava indagini e dava ordini, interrogava testimoni e sequestrava documenti senza che nessuno dei funzionari che si prendevano tanta pena, avesse la veste di ufficiale giudiziario; giorni assai tristi, durante i quali al Questore di Roma non veniva lasciata l’autonomia e non venivano dati ordini, mentre le prove del delitto erano sottratte ed i colpevoli principali, prendevano il largo, per sottrarsi del tutto alle responsabilità o per prepararsi comodi alibi e solide trincee difensive.

La fuga e la costituzione di Cesare Rossi rappresentano un punto troppo oscuro, perché l’opinione pubblica possa acquietarsi in quella assoluta fiducia che taluni vorrebbero imporle, dopo che ai magistrati vennero sottratte le prove genuine e dopo che fu possibile ad esecutori e mandanti, fiancheggiati da una vasta rete di favoreggiatori, di continuare a tenere il campo, non solo liberi, ma minacciosi, come possono dimostrare più che a sufficienza le violenze pubbliche e private, compiute anche in questi giorni, e l’opera di vasta intimidazione che in città e provincia si intensifica, a dispetto di ogni proclamata normalizzazione».

«Come già vi informammo, ieri ed oggi le ricerche del cadavere dell’onorevole Matteotti intorno al lago di Vico e nel lago stesso, non sono state più riprese. Ad esse, risultate inevitabilmente inutili, le autorità hanno creduto di dover mettere un punto fermo. Nulla, assolutamente nulla, si è trovato, e nulla era lecito sperare che si potesse più trovare. Duecento carabinieri per venti giorni hanno esplorato il territorio circostante il lago. Non fu piccola fatica. Si è trattato di battere metro per metro una zona di 40 Km. quadrati. Coloro che seguirono queste esplorazioni affermano che non vi è possibilità che il cadavere vi sia celato. Ogni aiuto, ogni consiglio fu sfruttato. Parteciparono alle ricerche i boscaioli, i pastori, le guardie campestri, gli abitanti del luogo. Ognuno di essi conosceva un punto sospetto, un ricettacolo introvabile, un nascondiglio leggendario, e tutti furono visitati con scrupolo e minuziosamente.

La Macchia Grossa fu frugata in ogni suo recesso, da parte a parte.  Cinque cani poliziotti, due dei quali addestrati efficacemente dalla scuola di polizia scientifica, e tre inviati da un canile del Veneto, con istruttori tedeschi, seguirono ogni pista che fu possibile ritrovare attorno al lago. Agli animali furono dati ad annusare alcuni indumenti personali dell’onorevole Matteotti, che furono richiesti ed ottenuti dalla sua famiglia. I cani, se dettero qualche indicazione di seguire una pista, lo fecero — come testimonia stasera un redattore del “Giornale d’Italia” tornato anche in questi ultimi giorni sui luoghi — soltanto nella località detta dell’Albero Tondo, che alimentò poi l’equivoco con Monte Rotondo, nella zona in cui venne trovato il bavaglio che servì, o doveva servire, ai sicari, e dove fu trovato quel fazzoletto su cui non si è ancora fatta la luce necessaria e che sarebbe molto probabilmente, secondo anche altri indizi, la zona in cui sarebbe sostata l’automobile nel suo primo arrivo del martedì sul lago di Vico, quella in cui sarebbe stato provvisoriamente deposto il cadavere e poi ritratto il giorno seguente e forse persino l’indomani, giovedì sera, quando, cioè, si ebbe conoscenza della enorme risonanza del fatto sull’opinione pubblica.

Le poche tracce che potevano ritrovarsi ancora al venerdì, di quella deposizione del cadavere, e certamente quella della sua successiva rimozione, furono, come sappiamo, di proposito svalutate o addirittura sommerse, al punto che venti giorni di ricerche intensive non aggiungono un solo capitolo a quell’incartamento giudiziario.

Le poche tracce che potevano ritrovarsi anche al venerdì, di quella deposizione del cadavere e certamente quelle della sua successiva rimozione, furono, come sappiamo, di proposito svalutate o addirittura sommerse, al punto che venti giorni di ricerche assidue e intensive non aggiungono un solo capitolo a quell’incartamento indiziario. Certo, il cadavere non fu mai, né sotterrato, né nascosto nel bosco che circonda il lago. Se questo fosse avvenuto anche attraverso le precauzioni più minuziose, o si sarebbe scoperto il cadavere, o si sarebbero ottenute deposizioni facili sulle attività necessarie a quella scomparsa. Ecco perché man mano che andava consolidandosi, per l’esperienza, la convinzione di quella impossibilità, furono accentuate le ricerche sul lago. Esse presero tre forme diverse, seguirono tre metodi differenti: esplorazioni con barche, osservazioni con aeroplani, scandagli del fondo. Diciamo subito che tutte e tre queste operazioni si limitarono necessariamente ad una zona estremamente limitata del lago, e cioè a un centinaio o poco più di metri intorno alla sponda. Se si pensa che il lago di Vico ha una superficie di circa 12 chilometri quadrati, si comprenderà subito quanto relativo sia il risultato di questo ricerche.

Gli aviatori, i pescatori ed i vigili, esplorarono, difatti, quella zona prospicente alla sponda, in cui trovansi profondità variabili fra i 3 ed i 700 metri. A questo limite di profondità giunge la massima capacità degli strumenti di esplorazione. Al di là rimane un mistero, un mistero protetto da parecchi chilometri di superficie, sotto la quale, nonché un cadavere, potrebbero esserne sommersi cento. Il fondo è ricoperto da una fittissima vegetazione di alghe, le quali crescono in un fondo limaccioso e fangoso. Un cadavere rinchiuso in un sacco o in una qualsiasi custodia, e assicurato da pesi, qualora sia sceso ad avvinghiarsi in quelle alghe e in quella melma, in un ambiente di perfetta calma quale è quella offerta dalle profondità subacquee del lago, non ritornerà mai alla superficie e nemmeno del palombari riuscirebbero nell’intento.

Se il cadavere di Matteotti si è impigliato fra quella folta vegetazione, il fondo verde del lago sarà forse per sempre la sua tomba».

Il Roma intervistò l’onorevole Cesare Forni a proposito degl’implicati nel delitto Matteotti.

Conosco il Marinelli, il Rossi, il Dumini, il Volpi e qualche altro di minore importanza. il primo è un individuo di una mediocrissima mentalità. Non parliamo di ingegno. E’ un individuo taciturno, chiuso che pare abbia paura di svelare la sua miseria intellettuale parlando. E’ solo furbo.

Furbo come il Rossi, il quale è riuscito a raggiungere un posto di primissimo ordine al Viminale maggiormente per… colpa mia. Le dirò infatti che fui proprio io, in qualità di comandante della milizia dell’Alta Italia, a mandarlo a Roma nella famosa giornata in cui Mussolini fu chiamato dal Re a comporre il Ministero, con un foglio d’ordine in cui lo facevo figurare come ufficiale di collegamento e contro il desiderio di Mussolini stesso, il quale aveva imposto al Rossi di rimanere a Milano. Il Rossi venne a trovarmi a casa e mi pregò che lo salvassi mandandolo vicino al duce, nei giorni in cui doveva comporre il Ministero. Aderii. Quel volpone, una volta a Roma, riuscì a piazzarsi al Viminale.

Il Dumini è un criminale della peggior specie; un degenerato.

Quello che mi ha colpito molto è la compartecipazione del Volpi. Conoscevo costui come un violento, un acceso, ma mi sembrava che avesse un fondo ottimo. Aveva un sorriso bonario, aperto e nulla lasciava trapelare della sua malvagità. Mi accorgo solo ora della sua grande forza di simulazione, della sua ipocrisia.

Aldo Finzi (1891 – 1944)

L’onorevole Finzi non lo ritengo capace di far uccidere, ma lo ritengo un affarista senza scrupoli. Il suo silenzio, in queste ore di angoscia per il paese, mi ha malamente e fortemente impressionato. Perché io mi pongo questo dilemma: o Finzi è complice, e allora il suo silenzio si comprende (in tal caso il magistrato non dovrebbe tardare a provvedere), o è innocente e allora dovrebbe parlare perché certamente di cose egli ne sa parecchie. In queste tristi ore i silenzi sono crimini».

Interrogato sulla sua aggressione, avvenuta il 12 marzo 1924 presso la stazione di Milano ad opera di alcuni squadristi.

«La mia aggressione fu preparata a Roma dalla triade Rossi-Marinelli-Giunta».

«Giunta?»

Francesco Giunta (1887 – 1971)

«Proprio lui. La cosa desta sorpresa? Invece a me sorprende come quel signore sta a piede libero, come ancora copra l’importante carica di vice-presidente della Camera e come ieri sia stato ricevuto al Quirinale.

Pochi giorni prima della mia aggressione, l’onorevole Giunta segretario generale del partito fascista, inviava una circolare ai fiduciari provinciali del partito della Lombardia e del Piemonte, ordinando loro di rendermi la vita impossibile. Sono riuscito a procurarmi una di queste circolari per mezzo di amici fidati e la conservo scrupolosamente. Le dirò di più. Nella detta circolare vi è un inciso il quale dice:

«Conformemente agli ordini impartiti dal capo del Governo e duce del fascismo ai prefetti, si ordina, ecc., ecc. ».

Io escludo però che vi sia una complicità dell’onorevole Mussolini perché ritengo ancora oggi che l’onorevole Mussolini fosse completamente estraneo e all’oscuro della manovra dell’onorevole Giunta, il quale, altre volte, aveva abusato del nome del duce.

La Ceka fu regolarmente costituita nel febbraio del 1924 dai membri del direttorio del Partito Fascista, che aveva un capo in Giunta e forse fu anche frequentata da qualche membro del Governo.

 L’associazione aveva ramificazioni in tutti i principali centri d’Italia e aveva assoldato pessimi elementi, pessimi temperamenti di sicari, molte volte scelti fra i più accesi e squalificati ex-arditi del popolo.

Non ho mai dubitato che il generale De Bono fosse legato da rapporti intimi a Rossi, Marinelli, Giunta e compagni».

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