Il mito delle Muse

Giove l’Olimpico si trasformò in pastore, per unirsi a Mnemosine, la dea della memoria, figlia di Urano e di Gea, da cui generò le Muse.

Pausania raccontò che al principio nacquero tre sorelle: Melete (la Meditazione), Mneme (la Memoria) ed Aoide (il Canto).

Esiodo (VII sec. a. C. – VI sec. a. C.)
Marco Terenzio Varrone (116 a. C. – 27 a. C.)

Esiodo fu il primo scrittore ad affermare che le Muse fossero nove e Marco Terenzio Varrone provò a significare tale numero. Egli raccontò che nella città di Sicione (dove si svolge anche il mito di Prometeo) si diede ordine a tre scultori di edificare nove statue, rappresentanti le Muse, da porre nel tempio di Apollo. La cittadinanza avrebbe acquistato le tre statue ritenute migliori, in rappresentanza dei tre diversi modi di cantare: polifonia, con accompagnamento di strumenti a fiato, con accompagnamento di strumenti a percussione. Gli artisti realizzarono delle statue meravigliose, creando imbarazzo nella giuria cittadina, che decise di comprarle tutte; ecco spiegato il motivo per cui le Muse diventarono nove. Secondo Varrone, le sorelle non sarebbero state generate quindi da seme divino, ma dalla bravura artigiana di professionisti umani.

Diodoro Siculo (90 a. C., – 27 a. C.)
Apollo del Belvedere (Musei vaticani)

Diodoro Siculo narrò di un’origine non umana ma divina. Osiride amava molto le arti, tanto da essere sempre in compagnia di virtuosi. Impose così alle sue nove figlie d’istruirsi nelle arti, perché potessero allietarlo.

Le nove sorelle furono affidate ad Apollo, che le educò sul monte Parnaso, stabilendo che la pace e la concordia regnasse nel bel collegio. Esse, in seguito, si unirono alla virtù ed al sapere, meritando la venerazione da parte di tutti gli uomini. Siccome furono generate da un dio fattosi pastore, si dimostra in tal modo come il bello debba essere ricercato nella natura.

Calliope

Ad ogni sorella è affidata un’arte: a Calliope, la poesia epica, grazie alla quale celebra le gesta degli eroi e degli dei.

Pierre Mignard – Clio (Museo di belle arti di Budapest) 

Clio, il canto epico, per cui, serbando la memoria del passato, narra la vita dei popoli. A partire dall’età ellenistica, fu preposta alla retorica ed alla storia. Era solitamente raffigurata giovane e coronata d’alloro; in una mano stringeva una tromba, nell’altra un rotolo.

Charles Meynier – Erato

Erato, della poesia amorosa e della danza; accompagna il sospiro degli amanti, interpretandone i desideri.

Euterpe

Euterpe, poesia lirica e dell’auletica; educa le anime nella rappresentazione di scene campestri.

Melpomene la tragedia; ella narra con ampie scene di terrore il comportamento scellerato degli uomini, macchiati di assassinii, commovendo per la virtù oppressa e l’innocenza insidiata. Indossa una maschera tragica, imbraccia la clava di Eracle, e ha normalmente il capo circondato da foglie di vite. Indossa i coturni, calzari degli attori tragici.

Charles Meynier – Polimnia
Giovanni Volpato – Melpomene

Polimnia, il canto sacro, la geometria, la danza; ispira l’oratore con accenti eloquenti, tesi ad infiammare l’uditorio. In una leggenda riferita nel Simposio da Platone, la reputa madre dell’Eros volgare, che si distinse dal celeste, figlio di Urania. Inventò la lira.

Jean Marc Nattier – Talia

Talia, la commedia; attraverso l’arte dell’ironia tenta di correggere i difetti degli uomini, smascherandone l’ipocrisia e rendendo insopportabile il malcostume.

Jean Marc Nattier – Tersicore

Tersicore, il canto corale e la danza; esalta il pregio degli affetti, elevando l’animo umano verso le vette olimpiche.

Urania

Urania, l’astronomia; investiga l’universo, e volge il suo sguardo al Principio e quindi fine di ogni sapere.

Esse sono rappresentate giovani, abbigliate modestamente, spesso con delle ali, che usarono, al fine di sottrarsi agli oltraggi di Pierio, re della Focide, al cui regno avevano chiesto asilo, per sottrarsi ad un periglioso temporale. Quando il re stava per agire, le sorelle volarono via, costringendolo ad inseguirle involandosi da una torre. Appena spiccò l’impossibile volo, si schiantò al suolo. La leggenda fu creata, allorquando un antico re della Focide volle bandire dal suo regno le arti, chiuse le biblioteche, e costrinse all’esilio i dotti ed i filosofi.

I greci dedicarono degli altari alle Muse, onorandole nel tempio, che fu eretto presso il monte Elicona. Il culto delle Muse all’interno nella tradizione pitagorica e, successivamente, in Platone ed Aristotele, dette origine al Museo, da intendersi quale luogo consacrato allo studio ed all’istruzione.

Nel mondo romano, furono spogliate del significato religioso ed inquadrate nell’invocazione dei poeti.

Dante Alighieri (1265 – 1321)

Anche Dante le invocò all’inizio del Secondo Canto dell’Inferno (vv. 7 – 9):

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;

o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,

qui si parrà la tua nobilitate

Ai versi 7 – 12 del Primo Canto del Purgatorio:

Ma qui la morta poesì resurga,

o sante Muse, poi che vostro sono; 

                                 e qui Caliopè alquanto surga,                                         

.

seguitando il mio canto con quel suono

di cui le Piche misere sentiro 

lo colpo tal, che disperar perdono.    

E nel Primo Canto del Paradiso, versi 13 – 15:

O buono Appollo, a l’ultimo lavoro

fammi del tuo valor sì fatto vaso,

come dimandi a dar l’amato alloro.

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