Lettera di Marsilio Ficino a Nicolò Degli Albizzi «Sulla vera ricchezza»

Marsilio s’interroga sul vero valore della ricchezza, chiedendosi chi sia davvero il ricco: colui che può comprar tutto ciò che vuole oppure colui che può saper tutto ciò che vuole. Mentre la conoscenza non è sottoposta a depauperamento, la ricchezza invece è oggetto della fortuna, e quindi facilmente perdibile.

Quindi la pronta esortazione alle giovani generazioni, perché si allontanino dal piacere e dalla superbia. Il piacere, infatti, consisterebbe solo nella conquista della verità, seppur lo studio si presenti come ostacolo quasi invalicabile, poiché è simboleggiata da una cavità oscuro – saturnina, dentro la quale si nasconde l’oro del vero. Anche Pitagora considerava la conoscenza riflesso della luce solare, e non di una misera lanterna.

L’allievo deve essere sollecito nel riconoscere che lo studio non possa mai dirsi concluso, per cui l’impegno assume il carattere del servizio, che, in quanto tale, dura per tutta la vita. Socrate dichiarò sempre ai suoi allievi di esser certo di non sapere, costringendosi sempre sulla via della ricerca.

Solone, celebre politico ateniese, vissuto tra il VII ed il VI secolo a. C., non si tenne mai pago del saputo, continuando così a studiare per la durata dell’intera esistenza.

Bisogna poi circondarsi d’uomini dotti, al fine di evitare la frequentazione con chi non sa, da cui non possiamo imparare, e tra cui pensiamo di essere colti.

Quindi un ultimo invito a non voltarsi mai sulla strada della conoscenza, per non perdere, come accadde ad Orfeo, la profondità del giudizio. Avanti, sempre.

Mio carissimo

Hai mai udito, Nicolò mio caro, quel proverbio, che dice niente esser più dolce, che ‘l guadagno? Dimmi, un poco, chi è quello huomo, che veramente guadagna?

Mi dirai, colui, che acquista quello, che ha da esser suo, e io ti dico, che altra cosa non possiamo dire nostra se non la scienza, e tutte l’altre cose sono della fortuna, e in sua potestà. E però lascia, che certi huomini da pochi, e di basso ingegno habbiano invidia a li ricchi. Dico a quelli ricchi, de li quali le casse sono ricche, e abodanti d’oro: ma l’animo è povero, e solo cerca di immitare gli buoni e dotti huomini, e di quelli sia emulo, che hanno fatta la mente loro simigliante a Dio.

Ammonisci a quelli scolari, che insieme con teco a gli studij attendono, che schifino, e fuggano Scilla e Cariddi, cioè gli allettamenti de’ piaceri, e quella pestifera infiammatione della mente, che fa che noi più tosto habbiamo opinione di sapere, che veramente sappiamo. Fa che eglino si ricordino, che quello al fine sarà vero piacere, che nella più alta parte de l’anima allhora finalmente si caverà dal vero degno thesoro della verità. Il che gli avverrà quando eglino haveranno lasciatole vane ombre de i piaceri per cagione di imparare la scienza.

L’albero della scienza, quantunque a molti paia, che gli habbi le radici se alquanto amare; produce però frutti soavissimi.

Fa ancora che si ricordino, che non si può dire d’haver mai fatto troppo in una cosa fin che non s’è fatto a bastanza, né si può dire, che coli habbi bastevolmente imparato, che ancora di qualche cose dubita. E questo è pur vero, che fin che viviamo sempre dubitiamo onde tanto habbiamo a perseverare ne l’imparare quanto ci dura la vita. E dobbiamo immitare quel sapientissimo Solone, il quale fino a l’ultimo, e estremo punto della sua vita, cercava, e si sforzava ogni hora di imparare qualche cosa.

Né di ciò ci dobbiamo meravigliare, sapendo, che egli d’altro non si nutriva che del cibo della verità; al quale altro non fu il morire che il passare d’una vita in un’altra migliore. Né può mai morire colui, che di nutrimento immortale si pasce.

Allora fu Socrate da l’oracolo d’Apollo sapientissimo giudicato, che egli cominciò chiaramente e palesemente a confessare e dire a ciascuno che egli nulla sapeva.

Phitagora comandò a gli suoi discepoli, che si specchiassero a uno specchio, che non havesse la sua chiarezza da un lume di lucerna, ma da lume del sole. Percioché altro non è la fiamma, e scintilla d’una lucerna, che un animo non ancor ben dotto e intelligente, e del lume del Sole è la dottissima mente d’un sapiente huomo.

Quando adunque alcuno vorrà considerare e vedere la figura de l’animo suo, non pratichi con gl’ignoranti, ma con li dotti, e così chiaramente discernere quanto egli habbi acquistato, e quanto ancora ci resti.

Nel pascere l’animo dobbiamo imitare i ghiotti e i golosi, e gli avari, li quali sempre hanno l’animo intento a quel che resta.

Ma che bisogna dire? Il Maestro vero della vita nostra Christo Giesù, disse, che quello aratore di premio non era degno che indietro si rivoltasse. So ancora, che tu sai la storia di colei, che per questa medesima cagione di rivoltarsi in dietro fu convertita in una statua di sale. Hai ancora potuto udire, che allhora Orfeo, perdé Euridice; cioè la profondità del giudicio, quando egli indietro mirando si rivoltò. Da poco e vano è quel cacciatore, che va indietro et non seguita sempre inanzi. Sta sano.

Marsilio Ficino

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