Anima mia,
ho ripreso, come faccio ogni momento, le tue fotografie prima d’uscire, e dopo averle guardate a lungo, le ho rimesse nel loro posto segreto, in uno scrigno chiuso.
Gli occhi, ti ho guardata negli occhi. Ti amo molto, ti amo in modo smisurato. Ti ricordi quando ci siamo incontrati la prima volta? Ti ho accompagnato all’uscita, e senza volere il mio braccio ti ha stretta alla vita che ho sentito svettare a quel mio contatto come un ramoscello di primavera. Avevi accettato che t’amassi, che la mia pazzia crescesse di giorno in giorno, che diventassi questa persona che non può più fare nulla senza averti presente negli occhi, e nel cuore, e in tutto il mio essere anima e corpo sangue, sempre, sempre, sempre. Non Ti senti chiamare, di continuo, anima, da quest’esule avvinto sempre più al desiderio d’approdare all’Itaca lontana, lontanissima?
Sei la mia sovrana e vorrei fare per Te qualsiasi cosa che possa esserTi gradita, e anche, se potesse farti felice, e invece so che renderebbe infelice, morire per te. La mia vita ormai per me non conta nulla, più non conta che quest’amore mio per te, impaziente, tirannico verso di me, ossessivo per me, terribile e dolcissimo, anima mia.
Mi dicevi che verrai a Parigi nel ’68. Avrò ottant’anni. Mi festeggeranno. (Strana usanza, festeggiano la gente quando è vicina a morire).
Come sarò felice di andare in giro con Te a Parigi.
Ma prima ci vedremo a São Paulo. Non vedo l’ora. Voglio rivederti, voglio rivederti. Non verrò che per Te. Ho tante cose da dirti. Hai tante cose da dirmi.
Posso baciarti?
Ungà
27/X/1966
alessandro di adamo 