Diario storico 17 Settembre 1919. La presa di Fiume nel racconto dei giornali dell’epoca

Mercoledì 17 Settembre 1919, La Stampa aggiornò sulla situazione della città di Fiume.

«Da Fiume giungono qui notizie frammentate e incontrollabili. La censura compie un’opera di controllo per tutto quanto riguarda la citta di Fiume, che si trova come segregata dal resto del mondo. S’è proibito di telegrafare a Fiume e su Fiume. Numerose associazioni triestine avevano cercato d’inviare dispacci di plauso al nobile contegno della popolazione fiumana e a D’Annunzio. All’ufficio telegrafico avevano ordine di non accettarli e non li accettarono.

I giornali locali escono con larghi spazi bianchi nelle loro relazioni sui fatti di Fiume. E’ accertato soltanto che finora non sono avvenuti fatti dolorosi. La disciplina in città non è turbata da alcun atto di violenza. Il Consiglio nazionale benché nominalmente sciolto continua a funzionare tutelando la città da possibili disordini.

Da Trieste sono partiti numerosi rinforzi di carabinieri per fare un cordone alla linea d’armistizio presso Volosca e impedire l’affluenza di nuovi volontari. Ma giovani di Trieste, dell’Istria, del Friuli sono riusciti a raggiungere il Carnaro e ad unirsi ai volontari fiumani.

Da tre giorni i tricolori sventolano su tutte le case di Trieste e nelle vie, negli uffici, nei pubblici ritrovi non si fa che parlare di Fiume. Le supposizioni sulle conseguenze del gesto di D’Annunzio sono delle più svariate.

Frattanto il contegno calmo e sereno dei volontari fiumani, l’assenza dei conflitti a mano armata e di violenti disordini rasserenano gli animi».

L’ammiraglio Canova fu trattenuto a Fiume, dopo essersi recato nella città occupata, al fine di «tentare opera pacificatrice, intesa, ad evitare dolorosi incidenti. Nella notte scorsa quasi tutti i carabinieri, che erano a Fiume, sono rientrati nella linea di armistizio. Sono anche rientrati circa sessanta bersaglieri ciclisti.

Pietro Badoglio (1871 – 1956)

Il generale Badoglio ha diretto alle truppe della Venezia Giulia, da lui dipendenti, il seguente ordine del giorno:

«Ai quanti ufficiali e soldati, ubbidendo allo slancio del cuore, tendenziosamente illusi di agire col consenso del Governo e nell’interesse della Patria, hanno abbandonato il loro posto e si sono recati abusivamente in Fiume, incorrendo in gravissime responsabilità e creando uno stato di fatto che non può essere sanzionato e non dove essere tollerato.

Colla più profonda tristezza, quanti amiamo la Patria e l’Esercito, abbiamo visto per la prima volta alcuni tra noi dimenticare il proprio dovere, scordare il giuramento prestato e allontanarsi da quella profonda e sentita disciplina che è sempre stata vanto e onore dell’Esercito italiano. Questo dolore è tanto più sentito e tanto più grande è la riprovazione per l’atto inconsiderato in quanto che nei gravi problemi dell’ora presente il gesto di pochi non può sostituirsi all’autorità del Governo che solo può e deve guidare la Nazione verso i suoi destini.

Gli impulsi del cuore sono nobili e generosi, ma la via che essi tracciano non è sempre la migliore e la più breve. Un grande popolo come il nostro deve costruire il proprio avvenire con avvedutezza e con senno. Nessuno meglio di noi può sentire quanto siano cari il palpito e la voce dei fratelli non ancora redenti, ma parimenti nessuno meglio di chi appartiene all’esercito ha il dovere di non compromettere il frutto della vittoria e porre in pericolo l’avvenire e l’esistenza stessa della Patria.

Ufficiali e soldati che avete tante volte affrontato la morte, vinti dal sentimento del dovere, non dimenticate che la forza dell’esercito sta nella obbedienza; la disciplina e la fedeltà di tutti i reparti lascino isolata e facciano dimenticare l’episodio di Fiume. La Patria deve in ogni momento potere contare sopra il suo esercito come sul più sicuro sostegno di forza e di prestigio.

Generale BADOGLIO».

Francesco Saverio Nitti (1869 – 1953)

«La seduta di oggi, alla Camera si è aperta con nuove dichiarazioni dell’onorevole Nitti sulla questione di Fiume.

 “Il Governo, nella seduta di sabato scorso partecipò alla Camera tutte le notizie che fino a quel momento erano giunte sugli avvenimenti di Fiume; posteriormente ha comunicato ai giornali, per mezzo dell’Agenzia Stefani, tutte le altre notizie pervenute. Il Governo non nascose, nella seduta di sabato, il suo vivo senso di dolore. Esso temeva soprattutto che gli Alleati potessero credere, anche per un momento solo, che l’azione del Governo non fosse molto amichevole e credeva suo dovere di togliere qualunque prevenzione in questo senso.

Vi sono doveri di probità da Governo a Governo a cui non si può, non si deve venir mai meno, e le sue parole ed il suo contegno, nella seduta di sabato, si devono riferire alla profonda e sincera preoccupazione, che era in lui, che si potesse un momento solo credere che il Governo venisse a mancare alle sue dichiarazioni ed alla lealtà dei suoi impegni. Ora, poiché consta che ad alcuni, se non a molti, dei soldati che si sono recati a Fiume, era stato anche detto che il Governo non vedeva male questo avvenimento, era necessario tagliar corto nel modo più chiaro ed esplicito a queste dicerie che, se facevano torto al Governo, facevano torto anche a tutta l’Italia.

Abituato alla più grande moderazione, vuole togliere ogni dubbio sull’atteggiamento del Governo. E’ lieto di constatare che la sincerità delle sue dichiarazioni è stata apprezzata dai Governi alleati, i quali non solo non hanno fatto nessuna protesta, ma ci hanno dichiarato di considerare la questione come questione di ordine interno dell’Italia, che questa dovrà risolvere colla fermezza e la moderazione necessarie. Quindi quello che a taluno, non sa se in buona fede, poté parere da parte sua eccessiva durezza, ha ricevuto un riconoscimento dalla solenne dichiarazione degli Alleati, i quali, nella probità della sua condotta, hanno visto la prova che il Governo italiano desiderava mantenersi fedele ai suoi impegni ed a quelli che costituiscono le norme fondamentali dei suoi rapporti internazionali.

A coloro poi che hanno voluto esagerare alcune cose e ricordare Garibaldi ed Aspromonte, deve far considerare che Garibaldi fu un uomo di una statura di gran lunga superiore a tutte le nostre stature; era a capo non di soldati dell’esercito regolare d’Italia, ma di volontari liberalmente costituiti e non capitanati da ufficiali del Regio Esercito, e ricorda che Garibaldi, per la salvezza d’Italia, fu affrontato dai soldati d’Italia e ferito.

Ciò dimostra che il Governo attuale, lungi dal meritare rimprovero di nervosità e di eccessività, come alcuni in buona fede, altri in mala fede affermano, ha agito non solo con moderazione, ma con una tolleranza che potrebbe forse un giorno essergli rimproverata; esso ha compiuto soltanto il suo dovere e lo ha compiuto in tutta lealtà.

Non ha oggi fatti nuovi da comunicare alla Camera oltre quelli che la Camera già conosce. Gli è stato chiesto quali provvedimenti intenda di adottare e la fertile fantasia di amici e di avversari ha già ideato una serie di progetti e di atti che il Governo avrebbe compiuto o sarebbe in via di compiere. La verità è che finora egli si è limitato a consultare i generali e gli uomini che si sono resi benemeriti dell’Esercito, dal generale Diaz al Duca di Aosta; tutti gli hanno espresso il loro vivo dolore per quanto è accaduto ed il Governo ha ben fatto alcuna cosa la quale non abbia trovato il pieno consenso di coloro che avevano le più delicate responsabilità.

Il generale Badoglio, per cui tutti abbiamo grande il senso della riconoscenza come uno di coloro che hanno maggiormente contribuito alla vittoria d’Italia, ha avuto l’incarico di provvedere nei modi che riterrà più convenienti nella sua coscienza di cittadino e di soldato; egli farà quello che crederà più opportuno ed il Governo lo seconderà.

Cadono dunque tutte le stolte dicerie messe in giro in buona fede da alcuni, in malafede da altri. Non avrebbe da aggiungere altro. Non è infatti il momento di giudicare questi fatti; forse non è neanche senza pericolo il parlarne ma deve rivolgere una preghiera ai deputati ed a tutti coloro che possono agire sul Paese: ognuno ha il suo intimo sentimento di superbia e di vanità. Egli ad una sola cosa tiene: che i provvedimenti presi a favore dei combattenti d’Italia (i soli che abbiano avuto un’efficacia, quale essa sia) siano stati tutti da lui ideati, proposti ed attuati.

Ciò gli dà un certo diritto alla simpatia di coloro che hanno combattuto. Ora deve rivolgersi a tutti coloro in cui ha avuto fede, ai combattenti, a tutti quelli che hanno lottato e pregarli di aiutare l’opera del Governo per togliere a questo incidente ogni asprezza e soprattutto per far sentire che la più rigida disciplina del dovere guidare tutti in quest’ora difficile. L’Italia è in un momento non facile».

Intanto il Consiglio Supremo, composto dalle maggiori potenze europee, riunito a Parigi, dichiarò il caso di Fiume di non competenza.

Commentò La Stampa: «Questo, checché se ne pensi, è il primo risultato tangibile dell’avventura dannunziana. Il Consiglio Supremo, per la prima volta, ha compreso che non si può vociferare al di sopra e al di fuori della realtà. Oggi, anche coloro che figurano più ostili, riconoscono che il fatto sopraggiunto ha impostato il problema adriatico su una base interamente nuova, che richiede un nuovo e più accurato, più prudente esame.

Ma, mentre fino a ieri tutti si sentivano autorizzati ad ergersi a giudici, oggi il mondo diplomatico, preso alla sprovvista dal fatto così essenzialmente antidiplomatico, preferisce lavarsene le mani e lasciarlo ai soli interessati diretti, agli italiani. La prima sorpresa è passata e se qualcuno continua a parlare di commedia, i più sono ormai convinti che l’ora della commedia, anche se ci fu, è passata. Coloro i quali poi furono più avversi alle nostre rivendicazioni, a quattr’occhi ci confessano che la colpa della situazione odierna ricade tutta su Wilson, il quale avrebbe dovuto, dicono essi, cogliere al volo la proposta Tardieu così leggermente accettata da Orlando. In luogo del fatto compiuto odierno avremmo oggi di fatto compiuto di Fiume indipendente».

I commenti sulla stampa estera. L’«Homme libre» parlò di panitalianismo, dichiarandosi convinto che Nitti avrebbe proceduto al «nettoyage».

«Le declamazioni liriche che D’Annunzio continua a riversare su di noi, non resisteranno davanti alla materialità di questo fatto: Roma manterrà la disciplina nel paese. Si ha nettamente l’impressione — conclude il prudente articolista — che la maggior parte dei giornali della Penisola sentono la necessità di predicare la moderazione e invitano gli esaltati, che hanno seguito «il gesto geniale», ad abbandonare una «causa indifendibile.

In questa circostanza il discorso del Presidente del Consiglio a Montecitorio è di una dignità composta che contrasta notevolmente con le scapigliate escandescenze del poeta megalomane.

Per evitare all’Italia l’immeritata umiliazione di un intervento, il Consiglio Supremo ha deciso di lasciare il Gabinetto di Roma solo giudice delle misure da prendere pel ristabilimento dell’ordine. Non dubitiamo che vi riuscirà senza indugio è che sanzioni severe ed esemplari saranno prese centro coloro che hanno letteralmente tradito l’Italia ribellandosi contro la sua volontà, contro i suoi disegni, contro la sua firma.

Bisognerà poi che si finisca con questa irritante questione di Fiume: D’Annunzio sia restituito alla sua lira. Al Consiglio degli Alleati rimarrà da fissare le sorti della città».

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