Il 9 Luglio del 1924, il Governo, guidato da Benito Mussolini, annunciò la soppressione della libertà di stampa in Italia, provocando una decisa levata di scudi da parte degli operatori del settore.
Il provvedimento colpì profondamente l’opinione pubblica, che ne rilevò l’evidente contrasto colle parole pronunziate dal Capo del Governo, che prometteva il massimo sforzo per il ripristino dell’attività legale dopo il tragico episodio legato all’uccisione di Giacomo Matteotti. Il Governo intendeva così imbavagliare l’Opposizione, dopo che ad essa aveva garantito la necessità di applicarsi in nome di quanto previsto dalla Costituzione.
Il provvedimento del Regime riprendeva, reinterpretandolo, l’editto sulla stampa del 26 marzo 1848, promulgato dal fondatore della Costituzione italiana, Re Carlo Alberto,ventidue giorni dopo lo Statuto, di cui esso sarebbe stato parte integrativa. Infatti l’articolo 28 dello Statuto del Regno dice:
La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi»; e la legge è, appunto, l’editto 26 marzo 1848.
L’articolo 1° dell’editto riafferma: «La manifestazione del pensiero per mezzo della stampa e di qualsivoglia artificio meccanico atto a riprodurre segni figurativi, è libera: quindi, ogni pubblicazione di stampati, incisioni, litografie, oggetti di plastica e simili, è permessa, a che si osservino le norme seguenti.
E le norme che seguono (in 88 articoli) sono tali e tante che consentono di «reprimere» tutti i possibili «abusi» della stampa, come vuole l’articolo 28 dello Statuto: repressione affidata al magistrato, con l’applicazione delle leggi penali, ossia a mezzo del potere giudiziario, che — sempre secondo lo Statuto del Regno — è potere indipendente da quello esecutivo:
«La Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici ch’Egli istituisce».
Il decreto del Governo alterava sostanzialmente l’Editto, perché concedeva al Potere esecutivo la capacità di intervenire:
Articolo II°. Il prefetto della provincia ha la facoltà, salvo l’azione penale ove sia il caso, di diffidare il gerente di un giornale o di una pubblicazione periodica:
a) se il giornale o pubblicazione periodica con notizie false o tendenziose rechi intralcio all’azione diplomatica nei rapporti coll’estero, o danneggi il credito nazionale all’interno od all’estero, o desti ingiustificati allarmi nella popolazione, ovvero in qualsiasi modo turbi l’ordine pubblico;
b) se il giornale o pubblicazione periodica con articoli, commenti, note, titoli, illustrazioni o vignette, ecciti a commettere reati o all’odio di classe o alla disobbedienza alle leggi o agli ordini delle autorità, o turbi la disciplina degli addetti a un pubblico servizio, o favorisca interessi di Stati, Enti o privati stranieri a danno di quelli nazionali, ovvero vilipenda la patria, il Re, la real famiglia, il Pontefice, la religione dello stato, le istituzioni, i poteri dello Stato, o lo Potenze amiche.
Articolo III. Il prefetto della provincia ha facoltà, con suo decreto, di dichiarare decaduto il gerente responsabile e di ricusare il riconoscimento di un nuovo gerente del giornale, o della pubblicazione periodica, il cui gerente o i cui gerenti siano stati per due volte, nello spazio di due anni condannati a pena restrittiva della libertà non inferiore ai 6 mesi per un qualunque reato commesso a mezzo della stampa; ovvero siano stati, per due volte nello spazio di un anno, diffidati.
Le reazioni politiche. Negli ambienti parlamentari, si notò la stranezza di un decreto, chiuso in un cassetto per un anno, fosse stato tirato fuori, per pubblicarlo sulla Gazzetta Ufficiale. Un deputato fascista, dissidente dichiarato, ritenne incostituzionale il decreto, per cui avrebbe a breve fondato un giornale a Roma, per disobbedire a tutte le prescrizioni.
La Direzione del Partito Liberale ribadì il principio della libertà di stampa, invocando la temporaneità e la scrupolosa legalità nell’applicazione del decreto, che la vulnera.
Le reazioni della stampa. Il Consiglio direttivo dell’Associazione della Stampa di Roma deliberò:
«Veduto il decreto sulla stampa, col quale, in contrasto con lo spirito della nostra legge statutaria, si affida all’insindacabile giudizio di merito dell’autorità politica un procedimento che può condurre alla soppressione presso che immediata di un giornale o di una pubblicazione periodica; riservando a quando ne sia il caso ogni decisione sulla questione della nomina di un rappresentante della classe giornalistica nelle Commissioni.
Riafferma solennemente il principio ed il diritto della libertà di stampa, limitato solo dalla legge e solo reprimibile dal magistrato, ed in cui tutti i Consigli direttivi e tutte le assemblee dei soci, composti queste e quelli da uomini delle più diverse parti politiche, concordarono sempre esplicitamente e tenacemente; e rivolge vivo appello ai giornali ed ai giornalisti italiani perché da un’azione solidale risulti in modo imponente quale sia il pensiero ed il sentimento della stampa nazionale su questa fondamentale questione».
L’Idea Nazionale difese in pieno il provvedimento: «Le deliberazioni del Consiglio dei ministri sono molto semplici e tendono soltanto a raggiungere un ritorno di consapevole tranquillità nel paese, sul quale si è esercitata impunemente una campagna di stampa di cui non ripeteremo l’apprezzamento.
L’applicazione del già deliberato regolamento delle disposizioni sull’editto della stampa è il minimo che si possa fare per cominciare finalmente a porre un freno alla licenza, sconosciuta negli altri paesi, di cui la social-democrazia nostrana vanta la libertà.
Oggi incominciamo da questo minimo l’opera necessaria dopo che, soppresso il sequestro preventivo, fu consentita alla stampa ogni più assurda licenza. Noi attendiamo che le deliberazioni del Consiglio dei ministri attestino sovrattutto la volontà, di difesa dello Stato, che ha ispirato il governo, senza della quale anche la lettera della legge non ha valore».
L’Epoca, vicino al pensiero dei combattenti: «Non ci nascondiamo la gravità dell’odierna deliberazione. Avremmo desiderato che non si ponesse mano ad alcun provvedimento eccezionale e che ogni giornale, con pieno senso di responsabilità, sapesse distinguere libertà da licenza, distinzione non sempre facile anche per l’autorità preposta all’esecuzione di leggi regolatrici della libertà di stampa. Questo senso della responsabilità, che non tutti i giornali mostrano di possedere, dovrà trasmettersi all’autorità politica.
I Prefetti hanno una grave difficoltà da domani, dovendo, per essere giusti, sottrarsi in ogni maniera ad influenze locali e giudicare con criteri giuridici e politici delle cose lecite e di quelle illecite. Hanno a loro fianco, è vero, delle Commissioni composte da due magistrati, nonché un rappresentante della stampa; ma non hanno l’obbligo di seguirne il parere, onde basteranno due atti di diffida, nello spazio di un anno, per arrivare alla soppressione di un giornale.
II provvedimento lo accogliamo con senso di disciplina e non senza mortificazione, e con lo schietto augurio di prossimo ritorno a condizioni normali di vita».La Tribuna: «Un anno fa il decreto sulla stampa non poteva avere giustificazioni; oggi il decreto ha un riferimento preciso ad una situazione eccezionale, e ciò ci fa ritenere che si tratti di misure di carattere provvisorio. Noi comprendiamo che a questo punto, e soltanto allo scopo di valersene per l’opera di normalizzazione che si è proposta, il governo abbia fatto ricorso al regolamento dell’anno scorso. Noi abbiamo fiducia nel governo, nelle persone che lo compongono. Riconosciamo che esso soltanto ha tutti gli elementi di una situazione complessa, che ci sfugge nei particolari, ma non abbastanza perché non ne sentiamo l’estrema gravità, e siamo anche disposti a cedere per un momento su questioni di principio purché la calma non sia turbata: il regolamento tornerà al più presto con essa agli atti per le sue disposizioni, almeno, di carattere politico.
Non crediamo alla possibilità di disciplinare la stampa se non con l’educazione e il costume. La stampa è, come espressione del pensiero, per sua natura libera e incoercibile. Ogni legge sulla stampa può diventare arma politica nelle mani di un governo fazioso.
Questo regolamento, in ispecie si presta ad azioni e vendette politiche, e l’unico credito che gli si può fare dipende dagli uomini che sono chiamati ad applicarlo e alla eccezionalità della situazione. Oggi è forse un male necessario. L’importante è che sia adoperato come cauterio sulle ferite per guarirle e non per aprire nuove piaghe».
Il clerico-fascista Corriere d’Italia, dopo aver accennato allo stato di tensione fra sovversivi e fascisti in alcune zone d’Italia ed alla necessità di sedare gli animi, soggiunse:
«Il Governo ha creduto necessario in questo campo tirare fuori dal cassetto dove era stato racchiuso con i sette sigilli dell’approvazione del Consiglio dei ministri di cui faceva parte l’onorevole Colonna Di Cesarò, come ministro delle Poste, il famoso decreto sulla stampa. Avremmo preferito francamente che non ve ne fosse stato di bisogno.
Il decreto insieme a disposizioni mature nella coscienza di tutti i galantuomini, ne contiene altre che potrebbero, in mano dei prefetti, risolversi in arma di persecuzione politica creando una sperequazione di trattamento fra giornali amici e giornali nemici del Governo».
Il Giornale d’Italia espresse intera l’amarezza per il provvedimento preso:
«…se si deve fare ancora un sacrificio sull’altare della patria esso per lo meno serva a qualche cosa. Se è vero che i sovversivi hanno ripreso l’offensiva non soltanto contro il governo fascista ma anche contro i poteri dello Stato e contro la pace, è altresì vero che la stampa fascista ha, dal suo lato, seminato i germi della discordia e della guerra civile con pubblicazioni poco meno che manicomiali. Il Governo dice di volere, con la riesumazione del provvedimento sulla stampa, ricondurre un po’ tutti alla moderazione e alla calma. Lo attendiamo all’opera, e sovratutto aspettiamo all’opera l’onorevole Federzoni che abbiamo salutato con piacere Ministro degli Interni per il galantomismo politico e personale che gli riconosciamo, e dal quale attendiamo che l’applicazione del decreto sulla stampa sia fatto con senso di vera equità e col solo scopo di preservare la pace pubblica in questo agitatissimo drammatico periodo, e con l’intento di tornare, una volta raggiunto il fine supremo della pacificazione, a quella libertà di stampa che è una delle migliori conquiste dei paesi civili.
Si possono fare sacrifici per sottrarre il paese ai pericoli che lo minacciano e per evitare che il progressivo infiammarsi dell’ambiento produca una situazione irreparabile; si può anche piegarsi a necessità supreme come hanno fatto i migliori di parte liberale; ma spetta al Governo di dimostrare che effettivamente persegue un piano di normalizzazione verso tutti gli estremi e non soltanto verso tutti i suoi avversari. Per esempio, noi vogliamo sperare che i provvedimenti sulla milizia e sul generale De Bono non abbiano a tardare e che si esca dal chiuso della concezione fascista per dare realmente al paese la sensazione che si mira alla sua pacificazione e non all’interesse politico di una fazione.
Il Governo, a nostro avviso, avrebbe meglio agito invertendo l’ordine dei provvedimenti e dando così l’impressione che si vuole disarmare l’estremismo fascista non meno pericoloso della ripresa di attività dei comunisti e del socialismo. Aspettiamo dai prossimi Consigli di ministri annunci meno amari.
Il liberalismo italiano conosce la via nel sacrificio e dell’abnegazione, ma a patto che questa e quello servano veramente agli interessi supremi del paese».
Vivacissima fu la protesta della stampa di opposizione.
Il Mondo accusò la stampa fascista della responsabilità di «eccitare e fuorviare l’opinione pubblica. Le ragioni delle proteste acquistano maggiore rilievo di fronte alla situazione politica alla quale la stampa può e deve recare un notevole contributo di chiarificazione, svolgendo con piena libertà ed entro i limiti segnati dalla legge i suoi compiti d’indagine e di controllo, specialmente in relazione alla vasta e difficile opera dell’autorità giudiziaria, compiti che noi abbiamo assolto e continueremo ad assolvere con la coscienza di un dovere che investe, oltre e più di un problema giudiziario e politico un problema di onore nazionale.
Il provvedimento sulla stampa è quanto mal sproporzionato alle esigenze della situazione che ne reclama ben altri; ed è tale nel suo spirito, nella sua evidente finalità, da dimostrare sempre più come la sfiducia espressa nella dichiarazione delle Opposizioni l’opera normalizzatrice e legislatrice del Governo, poggiasse su di un’esatta valutazione dell’effettiva volontà e capacità del governo stesso.
Mentre si invoca il ripristino severo della legge contro chi ne spezza i limiti e non vuole subirne i freni, il governo risponde con la limitazione della libertà della stampa, limitazione, si noti, che non si ebbe il coraggio di attuare un anno fa».
La Sera, quotidiano filofascista milanese, si accodò alle vivaci proteste dei giornali d’opposizione, notando come sarebbe stato corretto lasciare «al pubblico l’impressione di una stretta di freni che non ci sembra affatto necessaria, perché la pubblica opinione si sta assestando ed avviandosi per la strada del ragionamento obbiettivo.
Inoltre il provvedimento servirà certamente di pretesto all’opposizione per sostenere che il Governo ha in animo di coartare la libertà di stampa imbavagliando i giornali per proprio tornaconto politico. Noi sentiamo che ciò non può essere, perché, nonostante la gravità della situazione creatasi nei giorni susseguenti il delitto Matteotti, il Governo non pensò in quel momento di dare vigore al decreto, ma lasciò la massima libertà di pubblicazione».
Nei circoli giornalisti si notò come l’Osservatore romano fosse l’unica testata non colpita dal severo provvedimento, grazie al «regio decreto 19 ottobre 1870 N. 5961, stampandosi nella tipografia esercita per uso e consumo del Sommo Pontefice non sottostà agli articoli 51 e 53 dell’Editto sulla stampa, articoli che impongono la consegna della prima copia di ogni stampato all’Autorità giudiziaria per la constatazione che lo stampato stesso non violi le disposizioni contenute nella legge sulla stampa».
Fu il primo, deciso passo verso la dittatura.