Attila fu rappresentato a Venezia il 17 marzo 1846. Esso fu composto in un periodo condizionato soprattutto dal non sempre perfetto stato di salute del Maestro, tantoché egli stesso avrebbe ricordato, qualche anno dopo (1851):
«…in un letto quasi morente diedi parola di finire l’«Attila» e lo finii».
L’Attila sarebbe rimasta una delle opere più compiute dell’intero arco creativo giovanile del Verdi: «Oh il bel soggetto» scriveva al poeta Ferretti, annunciandogli la composizione del lavoro.
Il Bussetano raccomandò a Francesco Maria Piave, incaricato della stesura del libretto, di procurarsi il dramma originale del romantico tedesco Zacharias Werner, per ricreare il colore del germanesimo primitivo. Il libro quindi passò nelle mani di Temistocle Solera, perché redigesse scene maggiormente grandiose, più adatte, secondo il Maestro, alla complessità del soggetto, ma giunto all’ultimo atto, il librettista partì per la Spagna abbandonando il lavoro, causando la perdita di fiducia e stima da parte di Verdi, che fu costretto a ripiegare nuovamente sul Piave, onde concludere la storia.
Attila fu concepita – a nostro avviso – nel segno della quantità, piuttosto che del cesello, cui saremo abituati colle opere future. L’ispirazione denuncia un deciso arretramento rispetto ad Ernani e I due Foscari, poiché non vi è traccia di un reale volontà di superare lo schema Recitativo – Aria, in cui comunque il Maestro abbondò in vitalità melodica ed impeto ritmico travolgente. Verdi volle distinguere il materiale tematico, affidato ai cori e marce marziali riservati ai guerrieri barbari, da quello veemente di veri e propri inni patriottici, caratterizzati dai personaggi di Foresto ed Ezio. Creò oasi di gentile affettuosità per Odabella («Oh! Nel fuggente nuvolo», e nel terzetto dell’ultimo atto, «Te sol, te sol quest’anima»).
Nella seconda parte del Prologo, una terribile tempesta si conclude, quando spunta il sole sulla deserta laguna, dove sorgerà Venezia, che il Maestro descrisse con un ambizioso intermezzo sinfonico a carattere descrittivo. Per i finali d’atto, il Compositore costruì due giganteschi concertati, rappresentanti il fulcro dell’opera, ben lontani dalla lezione rossiniana, in cui avevano valore esclusivamente musicale e di moralità conclusiva. Nello svolgersi del Pezzo, l’azione procede, descrivendosi, in ultima analisi, quale scena drammatica.
Nel Primo Atto, si celebra lo storico incontro di Attila con papa Leone, seppur descritto – forse per ragioni di censura – come un vecchio romano, il quale riesce a fermarlo sotto le mura di Roma. E’ evidente qui il voluto contrasto tra le marce dei barbari ed il coro di voci bianche impegnato in un inno religioso.
Nel Secondo Atto, assistiamo alla densa trama d’interessi drammatici e di passioni contrastanti; il concertato finale sembra anticipare la Scena del banchetto di Macbeth, nonostante l’oggettiva debolezza drammaturgica.
«Li amici miei vogliono che questa sia la migliore delle mie opere; il pubblico questiona: io dico che non è inferiore a nessuna delle altre mie. Il tempo deciderà».