Diario storico: 19 settembre 1919. La presa di Fiume nel commento dei giornali dell’epoca

Pietro Badoglio (1871 – 1956)

Attorno alla città di Fiume si formò una doppia cintura da parte di soldati italiani dirette dal generale Badoglio, che sorvegliavano altri soldati italiano. Ad alcuno fu ufficialmente concesso il permesso di transito, anche se qualcuno è riuscito a far penetrare notizie a Trieste.

Gabriele D’Annunzio (1863 – 1938)

Dopo un primo giustificato movimento di gioia, i fiumani si chiedevano quali sarebbero stati gli sviluppi. Si attendeva, a tal proposito, un incontro tra il Badoglio ed il Comandante, che giaceva in un letto a causa di una brutta influenza. Il Poeta si dichiarò comunque pronto ad un convito coll’inviato del Governo:

Se viene come amico, sarò felice di offrirgli l’ospitalità. Se viene per significarmi che è lieto dell’annessione di Fiume all’Italia e l’approverà, lo abbraccerò piangendo di gioia. Se però si presenta come rappresentante del Governo…

Il Generale dovrebbe convincersi i militi di Fiume a rientrare ordinatamente nei loro rispettivi reparti senza alcuna costrizione, affinché la disciplina torni tra i ranghi nel superiore interesse dell’Esercito stesso.

Mario Nicolis di Robilant (1855 – 1943)

Si diffuse la notizia che il generale De Robilant fosse stato fermato dagli arditi e condotto al Comando della piazza quasi in stato di prigionia.

Scrisse La Stampa il 19 settembre del 1919:

«Dopo cinque giorni, le dimostrazioni su succedono ancora alle dimostrazioni, i cortei, ai cortei, e le campane ad ogni momento tornano a suonare a distesa. D’Annunzio raccomanda la calma, cerca di frenare gli eccessivi entusiasmi, dice e ripete, che è necessario che la popolazione torni alle sue abituali occupazioni, e tutti gli fanno coro per dire che ha ragione, ma a tornare al lavoro nessuno si decide, e se il tumulto festoso per qualche ora ha tregua, riprende poi più clamoroso non appena un qualche campanaro improvvisato, per una ragione qualsiasi, si attacca alla corda di qualche campana.

Ogni squillo è accolto come un segnale di adunata, come la segnalazione di un pericolo. E tutti si precipitavo verso la Dante Alighieri, frementi di propositi combattivi. Con tanto turbamento di spirito e agitazione di cuore, pare quasi impossibile, non viene segnalato alcun incidente increscioso.

Si è parlato dell’assalto e della distruzione della redazione di un giornale croato di Sussak, il “Primorski Nóvine”, ma non è stata distrutta, è stata chiusa. Nell’ultimo foglio stampato era stata criticata con asprezza l’impresa dannunziana, e così gli arditi si recarono a Sussak e chiusero la tipografia e la redazione. Le chiavi sono state consegnate al Poeta.

Popolazione e militi si uniformano all’ordine del Comandante, che vuole che tutti siano rispettati, senza distinzione di nazioni e di partito.

In relazione agli ordini del Governo e allei disposizioni del generale Badoglio, il comandante del 26° Corpo d’armata, generale Gandolfo, ha fatto lanciare entro Fiume dei manifestini con i quali s’invitano gli ufficiali e soldati che hanno abbandonato i loro reparti per seguire il tenente – colonnello in congedo, Gabriele D’Annunzio, a presentarsi entro il 18 corrente alla linea d’armistizio, pena la denunzia di diserzione. E’ stata una pioggia di carta colorata che è caduta sulla città. I foglietti sono stati raccolti e letti con avidità ma se si deve credere alle voci che provengono da Fiume, poiché il fatto in se stesso era già noto, non vi è stato effetto di sorpresa.

Si è letto, si è commentato, ma niente più. D’Annunzio, nella serata ha ricevuto nel palazzo del Comando tutti gli ufficiali presenti città ed ha tenuto gran rapporto. In forma di conversazione egli ha chiarito agli ufficiali il significato dell’impresa e raccontato come preparò la spedizione, e riuscì ad eludere la sorveglianza delle autorità, ha dichiaralo poi che lasciava libero ciascuno di agire a suo intento, di restare cioè in Fiume con lui, o tornare ai propri reparti, e poiché nessuno manifestò il proposito di desistere dall’impresa e tutti riconfermarono il giuramento di essere pronti a dare la vita per la causa di Fiume. Licenziò gli ufficiali con queste parole:

«Io rispondo di voi con la mia testa, con il mio spirito, con tutto me stesso. La nostra è opera di rigenerazione».

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