Dobbiamo distinguere tre momenti cruciali nel grande atto della conversione di Francesco.
Nell’autunno del 1204, sentì il desiderio di una nuova vita dopo la lunga malattia patita.
Tommaso da Celano, nella Vita prima S. Francisci, scrisse che un giorno sentì il bisogno di uscir di casa, dopo il lungo periodo della convalescenza, e così si portò su un sentiero fiorito, che conduceva in campagna. Anziché provar gioia per quel contatto colla natura, il suo cuore fu invaso da tanti pensieri oscuri ed una voce gli sussurrò: «Ricordati Francesco che sei polvere ed in polvere ritornerai».
Nella primavera del 1205, desideroso di diventar un perfetto cavaliere, si arruolò sotto la bandiera di Gentile della Pagliara, che con altri compagni avrebbe desiderato raggiungere nelle Puglie, senonchè, quando furono giunti a Spoleto, Francesco si ammalò e ricevette una seconda e più potente chiamata, che lo costrinse a rientrare in Assisi. Iniziò così il percorso finale verso la conversione. Detto addio ai suoi amici con un pranzo solenne, si recò a Roma, per scambiare i suoi abiti con un accattone, quindi si fermò sui gradini della basilica di S. Pietro, per chiedere l’elemosina per amor di Dio.
Provando naturale avversione verso i lebbrosi, incontrato uno sventurato lungo la strada, si avvicinò per donargli l’elemosina e gli baciò la mano.
«Il Signore diede a me Frate Francesco così incominciare a far penitenza, perché essendo io nei peccati, troppo mi pareva amaro vedere i lebbrosi, ma esso Signore mi condusse fra loro ed io feci misericordia con quelli. E ciò che mi pareva amaro mi fu tosto convertito in dolcezza dell’anima e del corpo».
Nel Testamento, rivelò che fu Dio ad ordinargli di entrare nella vita religiosa e non l’uomo, perché vivesse secondo la forma del Vangelo.
Mentre pregava davanti al Crocifisso di San Damiano, sentì il Cristo: «Francisce, vade et repara domum meam, quae, ut cernis, tota destruitur».
Rientrò in casa ed, approfittando dell’assenza del babbo sottrasse dalla cassa dei denari. Tornato che fu da un lungo viaggio, Pietro seppe del misfatto, e ricorse presso il tribunale della città, perché potesse rientrare in possesso della somma rubatagli ed obbligare il figlio a rinunziare alla futura eredità. I giudici si sentirono quasi obbligati a dar ragione al derubato, essendo – oltretutto! – uno dei principali benefattori della città. Dopo che fu stabilito il giorno del processo, fu inviato a Francesco l’araldo, perché gli comunicasse la comparsa davanti al tribunale civile, ma egli rispose: «Per grazia di Dio, io mi trovo nella piena libertà dei suoi servi, quindi non ho nulla a che fare con i magistrati».
L’araldo non insistette, poiché Francesco era stato consacrato al servizio divino, per cui un’eventuale processo sarebbe dovuto essere istruito dal Vescovo. Pietro Bernardone allora si vide costretto rivolgere all’autorità religiosa, che intimò a Francesco di restituire per intero la somma sottratta; ed Egli ubbidì.
Il racconto presenta un forte contrasto colle cronache dell’epoca, che proveremo a spiegare. Come si può esser certi che Francesco, prima della completa rinuncia ai beni paterni, fosse chierico, quando i Tre Compagni indicarono l’anno 1209 quale inizio dell’Ordine Minore?
Secondo la testimonianza di Bonaventura, Francesco sarebbe stato tonsurato precedentemente, ma ciò contrasterebbe notevolmente con quanto affermato dai Tre Compagni.
E poi chi fu a tonsurarlo? Non più il Sommo Pontefice, ma il Vescovo Guido, il quale però sapeva che Francesco non intendeva affatto diventare un chierico regolare, né canonico, né prete. Non avrebbe potuto procedere all’Ordine un giovane spiantato, e che non avesse ricevuto il giusto insegnamento dottrinale, poiché gli Ordini erano concessi a quei candidati dalla specchiata vita, vinti da una pietà fervente e soprattutto dotati della necessaria istruzione, per affrontare la predicazione.
Se Francesco fosse già stato ordinato, il cardinale Colonna, parente prossimo del Vescovo Guido, avrebbe rimandato il drappello dal Vescovo diocesano, perché ricevesse la tonsura dal medesimo, che l’aveva data al capo spirituale.
I Tre Compagni scrissero che tutto il gruppo fu tonsurato a Roma; S. Bonaventura scrisse che tutti i frati laici accompagnatori ricevettero la tonsura.
Nel 1209, Francesco d’Assisi, accompagnato dai suoi fratelli, si recò nell’Urbe in udienza da papa Innocenzo III per l’approvazione della Regola. Secondo San Bonaventura, in quell’occasione il Romano Pontefice ordinò delle piccole corone (tonsure) per i frati accompagnatori, mentre la leggenda dei tre Compagni asserì che «ricevuta la benedizione del Vicario di Cristo e dopo che questi ebbe data la tonsura al beato Francesco e agli altri undici frati, come il detto Cardinale (Giovanni Colonna) aveva procurato, volendo che tutti e dodici fossero chierici, lasciarono la città».
Ed iniziò così una storia, che ancora oggi entusiasma l’uomo.