Il tempo dell’autarchia alimentare

Il 18 novembre 1935, entrarono in vigore le sanzioni economiche deliberate dalla Società delle Nazioni, per punire l’Italia fascista dalla guerra scatenata in Etiopia il 5 ottobre. Fu così assunto il blocco delle merci in entrata ed uscita dal nostro Paese, con particolare cura nell’evitare quei beni necessari alla prosecuzione della guerra come il petrolio, l’acciaio e il carbone.

Anche l’Italia canzonettara, nei versi di E. A. Mario (autore della “Leggenda del Piave”) commentò sarcasticamente la decisione delle potenze estere:

Giacché la “Lega delle Nazioni”

vuol regalarci le sanzioni,

giacché la Lega contro coi s’ostina,

sopporteremo con disciplina,

cantando allegramente una canzon:

Noi tireremo diritto;

l’amore di patria non fu mai delitto…

Se il fante in guerra va senza paura

chi resta a casa stringe la cintura:

anche il digiuno, in questo caso, è salutar!

Benito Mussolini (1883 – 1945)

Le sanzioni motivarono l’organizzazione di una massiccia propaganda di massa da parte del Regime, che richiamò all’orgoglio patriottico tutti i cittadini italiani, invitati a consumare italiano, in rispetto di ciò che il Duce aveva dichiarato in un discorso del 2 ottobre del 1935.

«Alle sanzioni economiche opporremo la nostra disciplina, la nostra sobrietà, il nostro spirito di sacrificio».

Il popolo italiano fu costretto a risparmiare, a non sprecare; il Regime qualificò la massaia (come confermato nel “Decalogo della piccola italiana”) «la prima responsabile del destino di un popolo».

Sul Corriere della sera del 31 ottobre, si chiarì: «La donna è la regolatrice di questi consumi, come madre di famiglia, come massaia, come arbitra della parte delle spese nel bilancio domestico».

Il 10 novembre fu costituito a Varese il Comitato femminile, che pubblicò, qualche giorno dopo, il manifesto, che si apriva colle seguenti parole:

«Una per tutte, tutte per una, nel nome santo d’Italia e agli ordini del DUCE».

Dobbiamo riconoscere molto felici i propositi; ma il 10 novembre la Cronaca Prealpina di Varese scrisse:

«Alcune signore hanno, proprio in questi giorni, fatto larghi acquisti di profumi esteri. I loro nomi ci sono perfettamente noti e, se non li pubblichiamo oggi, è soltanto per…pietà. Ma, sappiano le su non lodabili signore, che se “il fatto” dovesse ripetersi, non avremmo più pietà. Donna avvisata…».

Achille Starace (1889 – 1945)

Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista, diramò una nota, nella quale si chiedeva il consumo di carni nazionali: pollo, montone, pecora, coniglio e soprattutto pesce. Per l’assunzione di proteine si rammentava il consumo di formaggi, cereali e legumi.

Il chimico Emilio Sernagiotto chiarì i principi della nuova dieta mediterranea:

«Ridurre l’uso della carne nel bilancio medio dei cibi alla metà, sostituendola integralmente per tre o quattro giorni della settimana coi derivati del latte, dando la preferenza ai formaggi grassi o medi, nei quali, il rapporto tra proteine e grassi si avvicina di più a quello che troviamo nella carne.

E’ opportuno, per non viziare gli organi digerenti, alternare, in giorni successivi, l’uso di alimenti a base di carne coi latticini e colle paste alimentari ricche di glutine».

La Tribuna illustrata scomodò la religione cattolica, la quale «proibisce l’uso di carni due volte alla settimana ed in determinati periodi dell’anno».

Purtroppo le nuove direttive erano indirizzate ad un popolo, che aveva già ben poco da mangiare.

Lidia Morelli, autrice del volume «Le massaie contro le sanzioni», spiegava come riciclare gli avanzi e suggeriva l’uso degli acini tostati, per ottenere un surrogato del caffè.

Si moltiplicarono le pubblicazioni dei ricettari, in cui dei cuochi consigliavano come creare nuovi piatti gustosi, utilizzando solo prodotti italici.

L’«odiato tè inglese» doveva essere bandito; gl’italiani potevano sostituirlo con degl’infusi di erbe come la melissa, la salvia, la menta, la camomilla, il «profumato e squisito carcadè, fiore scarlatto e carnoso che viene largamente prodotto nelle nostre Colonie».

Per la merenda, si consigliava arance, il vermut piemontese, accompagnati dal biscotto nazionale al posto dei wafer.

Il Regime s’impegnò a riformare il vocabolario culinario, ripulendolo dai termini stranieri, in nome della purezza della lingua italiana; alcol sarebbe diventato alcole; amaro al posto di bitter; ponce anziché punch; il termine inglese beefsteak lo si italianizzò in bistecca.

La Domenica del Corriere, in un articolo del 24 novembre 1935, appoggiò la bonifica della lingua italiana dalla presenza d’inutili anglicismi (battaglia quanto mai attuale):

«Alle inique sanzioni che ci colpiscono, giova opporre anche le nostre controsanzioni linguistiche. L’occasione è straordinariamente propizia. L’Italia sa e può fare da sé anche in questo campo. Ogni italiano deve dimostrare al mondo, oggi più che mai, di sentire altamente la dignità della propria lingua».

Anche la Società Dante Alighieri rimarcò necessaria la difesa degli usi e costumi nazionali dall’invasione delle parole straniere.

Le sanzioni caddero il 14 luglio del 1936.

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