Giuseppe Verdi da «I Copialettere». «Ancora sugli studi musicali»

Cesare Correnti (1815 – 1888)
Lauro Rossi (1810 – 1885)

All’inizio del 1871, quando il Maestro era intento alla composizione di Aida, il Ministro della Pubblica Istruzione, Cesare Correnti, offrì al Verdi la Direzione del Conservatorio di Napoli. Il Bussetano educatamente rifiutò l’incarico, poiché valutava l’incarico incompatibile con le sue esigenze primarie di compositore. Il Ministro, ritenendo assai importante la figura del Maestro gli offrì allora la presidenza di una Commissione, sull’idea di Lauro Rossi, che riformasse gli studi musicali, così come bene illustrò Il Pungolo in un articolo del 17 gennaio 1871:

«L’onorevole Correnti ha risoluto di nominare una Commissione di uomini i più autorevoli che sieno in grado di consigliare la scelta migliore per Napoli. E Lauro Rossi, direttore del Conservatorio di Milano, contemporaneamente propugnava l’idea della Commissione sulla “Gazzetta musicale” ma non allo scopo di scegliere il Direttore, bensì per istudiare i bisogni di tutti i musicali stabilimenti dipendenti dallo Stato all’uopo di unificarli ad un solo indirizzo. Il ministro Correnti, grazie ai buoni uffici dell’onorevole Piroli e dopo un colloquio avuto con Verdi, riuscì a smuovere questi dal rifiuto opposto con la lettera data sopra.

Sui primi di marzo la Commissione composta dai maestri Verdi, Mazzucato, Casamorata, Serrao e Gaspari cominciò in Firenze le sue sedute».

il 1° Febbraio del 1871, il Maestro, che ancora non aveva sciolto la riserva a proposito della Commissione di riforma, scrisse al Ministro Correnti:

«Eccellenza!

Non so in quali termini incominciare questa lettera, tanto è grande il mio rincrescimento per non poter aderire all’invito che mi vien fatto dall’E. V. di presiedere una Commissione onde riformare gli studj musicali. […]

A prova del mio dire aggiungo, che non vi erano norme d’insegnamento negli antichi Conservatorj di Napoli, diretti da Durante e da Leo. Essi stessi creavano la via da seguire.

Erano vie che in alcune parti differivano fra loro, ma entrambi buone. Né più tardi v’eran norme d’insegnamento con Fenaroli, che lasciò i suoi partimenti ora adottati da tutti. Così al Liceo di Bologna al tempo del Padre Martini, nome a cui tutti s’inchinano, italiani e stranieri, fra questi Gluck e Mozart. Il Conservatorio di Parigi, invece, ha ottimi regolamenti; ma, ciò nonostante, ha dato buoni risultati solo quando v’era Direttore un uomo di grandissimo valore: Cherubini […]».

In una successiva lettera del 20 Febbraio, indirizzata al senatore bussetano, Giuseppe Piroli, insegnante di Diritto penale presso l’Università di Parma, il Maestro tornò sull’argomento della riforma degli studi musicali.

 Il giudizio sulla realtà dei Conservatori dell’epoca, fu severissimo.

«Ho ragione di credere esservi nei nostri Istituti musicali studj che dovrebbero essere severissimi e sono mal fatti, e che si perde un tempo, che riesce alla fin fatale, ad insegnare quello che non si può insegnare, a ridurre l’arte a sistema, e collo scopo (scopo che conoscono e sentono meglio gli uomini che creano) di cacciare mali che realmente esistono, ma creandone dei nuovi che sono peggiori e più perniciosi. È una cosa strana la lotta che esiste fra gli uomini così detti di scienza, e quelli che FANNO (lotta senza frutto per l’indifferenza dei secondi, e per la petulante ostinazione dei primi); ed è ancora più strano il vedere che tutte le nostre grandi sommità del secolo attuale non sono quasi mai figlie di Conservatorj!

Il Liceo di Bologna ed il Conservatorio di Napoli si vantano dei grandi nomi di Rossini e di Bellini; ma, secondo me, a torto possono gloriarsi di quelli uomini. Rossini, pel primo, mette in ridicolo il suo saper musicale acquistato nel Liceo, e le sue prime opere in cui s’incontrano di frequente sgrammaticature e scorrezioni. E non sono le sublimi scorrezioni più tardi fatte espressamente in altre sue opere e perfino nel “Guillaume Tell”, opera d’altronde castigatissima e correttissima in ogni sua parte.

Bellini aveva qualità eccezionali che nissun Conservatorio può dare, e gli mancavano quelle che i Conservatorj dovrebbero insegnare».

Il Verdi quindi sarebbe intervenuto nel modificare l’insegnamento della Composizione.

«Vorrei dunque pel giovine Compositore esercizj lunghissimi e severi su tutti i rami del Contrappunto. Studj sulle composizioni antiche sacre e profane. Bisogna però osservare che anche fra gli antichi, non tutto è bello; quindi bisogna scegliere.

Nissuno studio sui moderni! Ciò parrà a molti strano; ma quando sento e vedo in oggi tante opere fatte come i cattivi sarti fanno i vestiti sopra un patron, io non posso cambiar d’opinione. So bene che mi si potranno citare molte produzioni moderne che valgono le antiche; ma che importa? — Quando il giovine avrà fatto severi studi; quando si sarà fatto uno stile e che avrà confidenza nelle proprie forze, potrà bene, se lo crederà utile, studiare più tardi queste opere e sarà a lui tolto il pericolo di diventare un imitatore.

Mi si potrà opporre: “Chi insegnerà al giovine l’istromentale? Chi la composizione ideale?” —

La sua testa ed il suo cuore, se ne avrà».

Quindi illustrò i suoi provvedimenti per lo studio del canto.

«Pel Cantante vorrei: estesa conoscenza della musica; esercizi sull’emissione della voce; studj lunghissimi di solfeggio come in passato; esercizi di voce e parola con pronunzia chiara e perfetta. Poi, senza che un Maestro di perfezionamento gli insegnasse le affettazioni del canto, vorrei che il giovine forte in musica e colla gola esercitata e pieghevole cantasse guidato solo dal proprio sentimento.

Non sarebbe un canto di scuola, ma d’ispirazione. L’artista sarebbe un’individualità; sarebbe Lui o, meglio ancora, sarebbe nel melodramma il personaggio che dovrebbe rappresentare.

È inutile il dire che questi studj musicali devono essere uniti a molta cultura letteraria.

Eccovi le mie idee. — Potranno queste venire approvate da una Commissione?»

Vorrebbe poi dedicarsi ad una completa riforma del teatro.

«Da questo capirai che io sarei costretto lasciare, — salvo qualche parziale riforma relativa al Canto ed alla Composizione, — i Conservatorj come sono, e rivolgerei le mie cure a scopo più utile, più pratico è più sicuro: al Teatro. Che il Ministro rialzi i teatri e non manche ranno né Compositori, né Cantanti, né Istromentisti».

Quindi, consiglierebbe l’istituzione di tre teatri, «da servire più tardi di modello a tutti li altri», in Roma, Napoli e Milano con «orchestra e Cori stipendiati dal Governo».

Il Maestro risolverebbe la funzione del teatro anche nella società, poiché dovrebbe attivare dei corsi gratuiti «per il popolo, coll’obbligo agli allievi di servire nel teatro per un dato tempo.

Per ogni teatro, un solo Maestro Concertatore e Direttore dell’orchestra, e responsabile di tutta la parte musicale. Un Regista solo, da cui dipende tutto ciò che riguarda la MISE EN SCÈNE.

Dovranno prodursi ogni anno due opere nuove di debuttanti, i cui spartiti dovranno essere esaminati da una Commissione di uomini dotti e non pedanti, né con sistemi preconcetti.

Eccoti brevemente quanto mi piacerebbe più conveniente di fare per l’arte nostra nell’epoca attuale. Se il Ministro entra in quest’ordine di idee, dimmene qualche cosa».

Le idee del Maestro colpiscono per modernità e concretezza; due talenti che oggi sono poco conosciuti, e non solo nell’ambito musicale.

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