I Domenicani e i Francescani nella «Divina Commedia»

Dante Alighieri utilizzò gli elementi della Summa contra Gentiles e della Summa theologiae, che probabilmente studiò nelle scuole di S. Maria Novella, dove un domenicano illustre, Fra Remigio Girolami, con Aldobrandino Cavalcante aveva impegnato con successo, dal 1289 al 1293, le ardue dottrine, apprese a Parigi, da Alberto Magno.

Dopo Campaldino e il trapasso di Beatrice, «passata da carne a spirito», per attenuare il dolore, Dante si rivolse alla filosofia ed alla teologia, incontrandole dove veramente s’impartivano: «alla scuola dei frati» ed alle «disputazioni dei filosofanti».

I severi studi, a cui si sottopose, produssero il contenuto dottrinale del Convivio, mentre la lettura della vita di Tommaso, scritta da Teodorico d’Appoldio, gli suggerì la visione della superbia, l’avarizia e la sensualità, contro cui si lanciava il santo. Di riflesso, l’Ordine dei Predicatori vide riflesso nella trilogia dantesca lo spirito ed il pensiero delle proprie scuole.

Nardo di Cione. Paradiso (Cappella Strozzi)
Caterina da Siena (1347 – 1380)

Nel 1335, il Capitolo fiorentino estese la censura ai religiosi della provincia nella lettura dei libri in volgare di Dante, ed in particolare i lavori, che attendessero alla teologia, al fine di garantire nei conventi la concordia contro le agitazioni politiche, che vi erano penetrate. Si rese necessario anche ordinare ai frati di mantenersi estranei alle contese tra Bianchi e Neri, tra Guelfi e Ghibellini. A causa del ghibellinismo, presente nella Monarchia, aspramente criticato dal domenicano Guido Vernani, il testo fu bruciato nel 1329, ma le accuse non spensero il culto per il Poeta: Nardo di Cione ne approfittò per le decorazioni della Cappella Strozzi (in Santa Maria Novella); la stessa Caterina da Siena tradusse nelle vigorose espressioni dantesche l’anima cristiana.

Espositori accreditati del Poema presso la cattedra fiorentina furono due domenicani: Girolamo di Giovanni e Domenico da Corella, quindi Tommaso Sardi nell’Anima pellegrina, un lavoro ispirato alle tre cantiche.

Francesco d’Assisi (1181? – 1226)

Nell’attitudini mistiche, Dante si sentì attratto da Francesco, tantoché potremmo definire il Paradiso un poema schiettamente francescano.

Dante e Francesco d’Assisi

Prima di frequentare S. Maria Novella, Dante frequentò i Frati Minori di Santa Croce, che lo avrebbero confortato nell’esilio errabondo nell’ultimo rifugio di Ravenna, raccogliendone i resti nella Basilica di S. Francesco. Nel confermare lo stretto rapporto, che lega il Tosco al Santo d’Assisi, ricorderemo l’affresco giottesco, che pone il Poeta tra le figure, che ornano il trionfo di Francesco.

Benozzo Gozzoli. Ritratto di Dante (Chiesa di San Francesco di Montefalco)

Attorno al 1430, fu eseguito un ritratto di Dante presso il duomo di Firenze per volontà di del frate predicatore Antonio dei Minori; una seconda effigie fu eseguita da Benozzo Gozzoli in San Francesco di Montefalco.

Bonaventura da Bagnoregio (1217 – 1274)

Fra Giovanni di Serravalle, Minore, fu il primo autore che nel 1417 tradusse la Commedia in lingua latina. Lo spirito serafico infuse la poesia anche grazie ad un alto rappresentante delle correnti più pure e mistiche del Medioevo: Bonaventura di Bagnoregio, il quale fornì le linee fondamentali dell’ascetismo del sacro poema.

La sua reputazione di teologo e dottore era universalmente riconosciuta nel Trecento. Dante lo pone a capo nella schiera dei mistici nella sfera solare, mentre Tommaso è quello della schiera degli Scolastici; le due ghirlande si muovono gaudiose e blande intorno al Poeta. La militia Christi è composta dai francescani e dai domenicani, che nacquero con meravigliosa unità d’intenti, per condurre a Dio il popol disviato.

Il verbo francescano concede al Poeta i momenti, in cui la parola diventa amore, da cui, accantonata la sapienza di Virgilio e la teologia di Beatrice, spuntano le ali all’ascensione del Poeta pellegrino, il quale s’affida a più alta guida: Bernardo, il contemplante, per immergersi in Dio.

Il poema si conclude colla parola trionfale di San Bonaventura di Bagnoregio, dalla cui teologia, speculante sui riflessi della bontà e della bellezza, Dante pone come base, perché l’uomo possa contemplare la divinità. Talune posizioni e folgorazioni dell’ultima cantica, rievocano la blanda luce e l’impeto possente dell’autore dell’Itinerarium mentis in Deum, che offrirono al Poeta la visione più intera e fervida della gesta francescana.

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