«Ho un desiderio di te stasera» di Gabriele D’Annunzio

Ho un desiderio desolato di te stasera. Ahimè stasera e sempre.

Ma stasera il desiderio è di qualità nuova.

È come un tremito infinitamente lungo e tenue.

Sono come un mare in cui tremino tutte le gocciole,

tremano tutte le ali dell’anima,

tremano tutte le fibre dei nervi,

tremano tutti i fiori della primavera

e anche le nuvole del cielo

e anche le stelle della notte

e anche la piccola luna trema.

Trema sui tuoi capelli che sono una schiuma bionda.

Ho la bocca piena delle tue spalle,

che sono ora come un fuoco di neve tiepida disciolta in me.

Godo e soffro.

Ti ho dentro di me e vorrei tuttavia sentirti sopra di me.

Non mi hai lasciato tanta musica partendo.

Stanotte tienimi sul tuo cuore,

avvolgimi nel tuo sogno,

incantami col tuo fiato,

sii sola con me solo.

Oh melodia melodia…

Tremano tutte le gocciole del mare.

L’amore. Questa misteriosa forza capace di compiere miracoli in chi ha l’emozione di viverlo.

Quanti poeti? Quanti amori?

Siamo attratti da quest’oscurità piena di luce, da questa luce che ci condurrà nell’oscurità, in un gioco di gioia e tristezza infinita, di esaltazione e di depressione, attaccandoci ferocemente ai ricordi, perché possano materializzare la donna, che ci ha condotto per mano lungo il sentiero, già percorso da tanti individui, i quali non hanno lasciato tracce del loro passaggio. E noi ancora speranzosi che questa forza misteriosa ci avvolga coi suoi potenti lacci, per liberarci dalle necessità terrene, perché in noi spira un’aria angelica, impalpabile, che si scioglie come la neve appena tocca terra e, nello stesso momento, demoniaca, che ci suggerisce continuamente di possedere l’amata, separandola dal mondo, ripararla nell’antro del nostro cuore, dove neanche la luce del sole arriva, perché lì vi abita Amore.

E la sera, soprattutto, quando a poco a poco si spengono le luci del giorno, perché le stelle possano essere finalmente visibili, lontane ed irraggiungibili, è il momento di maggior abbandono, di maggior solitudine. I rumori della città si attenuano, perché l’attività si ferma in attesa della pausa e cala il silenzio anche nella nostra anima, vuota di lei.

Ed ogni sera si rinnova completamente il desiderio. Mai, tornando col pensiero a ciò che è stato, sarà vissuto come già è stato vissuto. Si rinnovano le emozioni, si mescolano ai tristi e lieti ricordi, verniciano l’anima di colori senza luce, di luce senza colore.

E stasera, proprio questo istante, un tremito lungo attraversa il corpo, che ha amato e che è stato amato, ma…chissà quanto tempo fa! Il brivido ancora gela i pensieri ma debolmente, tenue appena accennato, come vivo, palpitante tale da ricevere tutte le attenzioni.

Tutto sembra trasformarsi in una lunga onda, che non ha confini come l’anima, che rompe gli argini della razionalità, che invade i pensieri resi sterili dall’abbandono, per fecondarli con maggior vivezza.

E di quel mare, sento ogni goccia, che lo compone: io sono la goccia, che si espande nel mare. Il mare ampia i contorni, li modifica, li ridisegna; i contorni della nostra conoscenza, i contorni della nostra sensibilità ormai deformata e riformata dall’amore vissuto.

E quell’impercettibile movimento è tremore, instabilità, paura, recesso, rintanarsi in sé, per sentire il vento provocato dalle ali dell’anima, che si agitano tremanti.

Il tremore non è solo nello spirito, perché si manifesta al corpo ed alla parte più sensibile: i nervi, con cui vibriamo nelle emozioni, che sembrano materializzarsi in una continua tensione di ricerca dell’amore.

Il tremore sembra invadere la natura, che rinasce in primavera, quando finalmente Persefone poteva riabbracciare Cerere ed allora esplodevano, in suo onore, i canti degli alberi, dei fiori, delle piante, della nuda terra.

Padre Urano, che dall’alto osserva, protegge, in un grande abbraccio, la moglie Gea, piange e dalle sue lacrime si addensano, in un gioco di grande bellezza, le nuvole, che partecipano a questo richiamo.

Col calar della sera, il corpo celeste del cielo partecipa all’esecuzione di questa sinfonia, perché consoli l’innamorato deluso, deriso, oltraggiato, abbandonato e così, la luna diventa ancor più piccola, difficilmente visibile: essa è la rappresentazione di lei, dell’unica lei.

Il ricordo diventa immagine, già vista chissà quante volte e sempre più rimodellata, cambiata, riformata, al fine di riconsegnarci quella divina follia vissuta e che ormai è parte di noi. Lei è la schiuma del mare, da dove nacque Venere a seguito di un atto efferato ed ecco perché l’amore compie atti efferati, è capace di violenze implacabili e di innocenti candori; non parla attraverso mezze misure, l’amore ama essere amato ed allora prende tutto dagli amanti, ruba anche le convinzioni ed i pensieri. Ai corpi ruba il desiderio di dormire e di nutrirsi: l’amore è tutto.

Quante volte, è stato assaggiato il suo corpo, come un seducente frutto proibito, da mangiare lentamente, per assaporarlo; cominciando dalle spalle e poi scendendo verso luoghi oscuri, che ci rammentano dell’oscurità dell’amore.

«Godo e soffro»: è la descrizione più vera dell’amore, che concede, per poi riprendersi tutto; che dona, per poi con violenza raccattare tutto e lasciarti senza neanche un’idea, solo col desiderio di essere posseduto dal demone amoroso.

L’amore diventa un’immagine metafisica, oltre il fisico, che non possiamo più toccare ed allora si trasferisce, senza chiederci il permesso, dentro la nostra interiorità, per regalarci una compagnia, che non vorremmo desiderare, poiché tanto il dolore, tante le lacrime, che accompagnano il ricordo. Eppure! Se fossi qui! Qui con me! Sopra di me! Perché possa toccarti, sentire le curve dei tuoi fianchi, percorrere i confini delle tue labbra, accarezzare i contorni delle tue cosce.

L’abbandono è rumore, dissonanza, stridore; l’armonia, l’eufonia… no: non è amore, quando amore non c’è, è partito per sempre per un paese non decritto sulla mappa del nostro domani.

Eppure, il dolore dell’abbandono avrebbe fine, se si potesse dormire sul suo cuore, laddove si nascondono i segreti, laddove inizia e termina la vita; laddove ebbi il permesso di entrare, e l’ordine di uscire.

Sarebbe bello, dormendo con te, entrare in punta di piedi nei tuoi sogni, esserne il protagonista, l’unico protagonista, il fine di tutte le tue azioni, il desiderio delle tue mani e delle tue labbra.

Come da un mago orientale, rimanere incantato dal tuo fiato, alito di vita, proiezione del tuo spirito, presenza impalpabile ma origine del mondo, per unire finalmente due solitudini, perché formeremo l’uno plurale, il due singolare. La solitudine quale calamita per due corpi, che hanno smesso di essere soli, per diventare due soli…un sole più un sole.

Ecco che la musica riempirebbe le parole, armonizzerebbe le diversità, unirebbe le differenze, cancellerebbe le delusioni.

«Tremano tutte le gocciole del mare»

https://libreriamo.it/poesie/ho-un-desiderio-di-te-stasera-di-dannunzio-la-passione-damore-in-versi/

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