L’attacco descrive il disperato stato d’animo del Poeta, il quale si dichiara stordito, perché attorno a sé vi è il nulla.
S’immagina pazzo, immobile, a terra, senza alcun desiderio di cambiar posizione. L’assenza del dolore confronta la vita colla morte, ponendo entrambe le esperienze sul medesimo piano, senza differenza alcuna. La noia, quella terribile oppressione che lo martirizzerà per tutta la breve esistenza, gli procura un dolore indicibile. Quindi, immagina che tutto ciò che lo circonda, la situazione interiore degli uomini tutti, siano esattamente le medesime, e per ciò si riduce a guardare il mondo nel senso univoco: la disperazione.
Purtroppo, a causa di malori agli ed alla testa, Leopardi è stato costretto a sospendere gli amati studi.
Infine un’unica richiesta: ricevere lettere dall’amico carissimo, ultima consolazione di un’esistenza meschina.
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A Pietro Giordani
Recanati, 19 novembre 1819
Sono così stordito del niente che mi circonda, che non so come abbia forza di prendere la penna per rispondere alla tua del primo. Se in questo momento impazzissi, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre cogli occhi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza né ridere né piangere né movermi, altro che per forza, dal luogo dove mi trovassi. Non ho più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte; non perch’io tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore. Questa è la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e lacera come un dolor gravissimo, e sono così spaventato della vanità di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nell’animo mio, che ne vo fuori di me, considerando ch’è un niente anche la mia disperazione.
Gli studi, che tu mi solleciti amorosamente a continuare, non so da otto mesi in poi che cosa sieno, trovandomi i nervi degli occhi e della testa indeboliti in maniera, che non posso solamente leggere né prestare attenzione a chi mi legga checchessivoglia, ma fissar la mente in nessun pensiero di molto o poco rilievo.
Mio caro, bench’io non intenda più i nomi d’amicizia e d’amore, pur ti prego a volermi bene come fai, ed a ricordarti di me, e credere ch’io, come posso, ti amo, e ti amerò sempre, e desidero che tu mi scriva. Addio.