La «Didone abbandonata» di Pietro Metastasio

La scena si finge in Cartagine al tempo della regina Didone. Ella è innamorata di Enea, il quale, tempo prima, era naufragato sulle coste insieme ai suoi uomini. L’incontro fu fatale per entrambi.

ATTO PRIMO. Enea ricorda l’amore della regina, ma qualcosa sta mutando il corso degli eventi: gli dei hanno ordinato che parta.

Selene, sorella della regina ed innamorata dell’eroe troiano, lo invita a desistere, mentre Osmida, confidente di Didone, gli chiede ragguagli sul volere degli dei. Allora Enea racconta della promessa fatta all’anziano babbo morente, che avrebbe seguito la volontà celeste, per edificare una nuova Troia nel regno d’Italia. In sogno, il babbo gli ha ricordato quell’antica promessa:

Sorgi: de’ legni tuoi

tronca il canape reo, sciogli le sarte.

Il racconto getta Selene nello sconforto, mentre Osmida – pensa tra sé e sé – che la partenza di Enea, libererà il cuore di Didone, pronto per essere conquistato da un nuovo amore.  La donna si preoccupa per la sorella e per se stessa:

Se abbandoni il tuo bene,

morrà Didone (e non vivrà Selene).

Il dialogo è improvvisamente interrotto da Osmida, che avverte gl’interlocutori dell’imminente arrivo della regina. Il Troiano è confuso; Selene in preda al più atroce dei tormenti: ella ama il cognato.

Bellissimi i versi, con cui la Regina, saluta Enea:

Enea, d’Asia splendore,

di Citerea soave cura e mia,

vedi come a momenti,

del tuo soggiorno altera,

la nascente Cartago alza la fronte.

Frutto de’ miei sudori

son quegli archi, que’ templi e quelle mura:

ma de’ sudori miei

l’ornamento più grande, Enea, tu sei.

Si accorge che il suo uomo è distratto, non parla e teme che

Forse già dal tuo core

di me l’immago ha cancellata Amore?

Egli la rincuora: la sua immagine mai sarà tolta dal cuore; la Regina non pretende rassicurazioni, poiché basterebbe un solo sguardo per tranquillizzarla.

Il principe allora le chiede bruscamente di porre fine all’amplesso e la richiesta scatena la vena preoccupata della Regina:

Che a te non pensi?

Io, che per te sol vivo? Io, che non godo

i miei giorni felici,

se un momento mi lasci?

Le confessa la sua ingratitudine nell’imminenza partenza.

Parte così, così mi lascia Enea!

Che vuol dir quel silenzio? In che son rea?

Selene tenta di consolare la sventurata sorella, mentre interviene Osmida, per annunciare l’arrivo del re Arbace, che si finge ambasciatore, il quale vorrebbe chiederle la mano, vera causa della partenza di Enea. La regina incarica Selene di rassicurare l’Eroe, che ma sarà distolto dal suo cuore.

Selene porterà le parole della sorella ad Enea, continuandogli a nascondere il suo affetto.

Didone si appresta a ricevere Arbace (cui si finge Iarba, re dei mori), al quale confermerà il suo forte rifiuto, nonostante i regali per le desiderate nozze. Arbace, allora, protesta alla regina l’infingardo agire, infatti, pur essendosi promessa in eterno al morto marito, in tutta l’Africa larga eco avrebbe avuto il suo amore per Enea. Risponde Didone:

Enea piace al mio cor, giova al mio trono,

e mio sposo sarà.

Una simile decisione – avverte Iarba – potrebbe indurre il re dei Mori (cioè se stesso) di muover guerra a Cartagine; tale ipotesi non spaventerebbe punto Didone, convinta del suo amore verso il troiano.

Osmida si avvicina a Iarba, visibilmente contrariato, per porsi ai suoi servigi, essendo confidente della regina ed amico di Enea, chiedendo in cambio l’impero di Cartagine ed assicurandogli il cuore di Didone.

Il re dei Mori accetta la collaborazione.

Partito il traditore, Iarba confida ad Araspe che non manterrà la parola data ed ordina al suo seguace di ordire un complotto ed uccidere il rivale Enea.

Intanto il troiano confida a Selene i suoi tormenti; la donna lo consiglia di recarsi presso il tempo di Nettuno, per incontrare Didone e chiarirsi.

ENEA Ed a colei, che adoro,

darò l’ultimo addio?

Selene inizia a piangere, destando viva sorpresa negli occhi del figlio di Anchise, la quale chiede il motivo di tale sconforto ed ella confessa che le sue lacrime sono rivolte alla sfortunata sorella, nascondendo le pene del suo cuore.

. Iarba, accompagnato da Araspe, incrociano Selene con Enea, al quale chiede il nome; il troiano risponde risentito; allora Iarba torna a chiedere con maggiore insistenza chi sia, ed Enea risponde:

Son un che non ti teme, e ciò ti basti.

Selene si pone in mezzo tra i due contendenti, al fine di ristabilire un’atmosfera civile, dichiarando così il nome del suo accompagnatore: Enea. La collera di Iarba è al limite: avrebbe davanti il suo rivale in amore; decide di ucciderlo.

Osmida, intanto, apprende da Enea che Didone sarà abbandonata

Ah! taci per pietà,

e risparmia al suo cor questo tormento.

Iarba vorrebbe attentare alla vita del rivale Enea, ma il provvidenziale intervento di Araspe salva la vita al Troiano.

Osmida avverte la regina che Araspe (e non Iarba) ha attentato alla vita del Troiano e se non ci fosse stato il pronto e risoluto intervento di Iarba, sarebbe morto.  Ascoltato il racconto, Didone ordina:

Ministri,

custodite costui.

Iarba confessa ad Enea di aver avuto la vita salva, grazie all’aiuto insperato di Araspe; egli si dichiara quale re dei mori. L’Eroe ordina l’arresto immediato nel nemico, il quale reagisce con ferma volontà:

Nessuno

avvicinarsi ardisca, o ch’io lo sveno.

Osmida consiglia il Re di cedere, mentre si preoccuperà di radunare il numero necessario di uomini ed Iarba si lascia disarmare.

Nella Scena Diciassettesima, ha luogo il lungo recitativo tra Didone ed Enea, in cui il Troiano le confessa che è giunto il momento di partire:

Di Giove il cenno,

l’ombra del genitor, la patria, il Cielo,

la promessa, il dover, l’onor, la fama

alle sponde d’Italia oggi mi chiama.

La mia lunga dimora

pur troppo degli dei mosse lo sdegno.

La Regina lo accusa di aver nascosto un disegno così grande e, nello stesso momento, terribile

Mendace il labbro

fedeltà mi giurava,

e intanto il cor pensava

come lunge da me volgere il piede!

Didone ricorda tutte le ferite, che amorevolmente curò al naufrago, proveniente da Troia, ed infine lo nominò principe e signore del suo cuore.

Di cento re per lui,

ricusando l’amor, gli sdegni irrito:

ecco poi la mercede.

Enea insiste che deve partire, per non contrariar gli dei ed al giuramento fatto al padre, Anchise; qualora rimanesse in Cartagine, vivrebbe con la pena nel cuore, per aver disobbedito. Didone, allora

Va pur: siegui il tuo fato:

cerca d’Italia il regno: all’onde, ai venti

confida pur la speme tua;

quelle onde e quei venti saranno vindice della Regina, a cui chiederà Enea di ritornare, ma inascoltati saranno i suoi lamenti.

Rimasto solo, Enea maledice l’Italia ed il mondo, perché la sua fama resti per sempre sepolta nell’oblio. Poi, ritornando in sé, chiede scusa agli dei:

Non fu Enea che parlò, lo disse Amore.

Partendo lascerà nelle mani di Iarba la sua dolce regina?

E intanto, confuso

nel dubbio funesto,

non parto, non resto,

ma provo il martìre,

che avrei nel partire,

che avrei nel restar.

ATTO SECONDO. Ci troviamo negli appartamenti reali.

Selene chiede che Araspe intervenga a favore di Enea; l’uomo dichiara che lo proteggerà dalle insidie, poi dichiara il suo amore per la bella interlocutrice, la quale risponde:

Araspe, il tuo valore,

il volto tuo, la tua virtù mi piace;

ma già pena il mio cor per altra face.

Didone dichiara ad Osmida che Arbace sia in realtà il re dei mori, Iarba, e ne ordina la morte immediata per azione del suo confidente traditore:

Sempre in me de’ tuoi cenni

il più fedele esecutor vedrai.

Il dialogo è interrotto dall’arrivo improvviso di Selene:

Teco vorrebbe Enea

parlar, se gliel concedi.

La regina accetta da sola l’incontro, licenziando la sorella ed il falso fedele Osmida.

Didone chiede il motivo della rimandata partenza; Enea sa che la regina desideri la morte di Arbace – Iarba, ma la donna risponde che egli è l’ambasciatore Arbace, non è certo il re dei Mori. Allora, il dialogo diventa ancora più incalzante; Enea consiglia vivamente di sospendere ogni azione, perché la morte del re dei Mori provocherebbe la sollevazione dei popoli di tutta l’Africa. Didone è netta:

Consigli or non desio:

tu provvedi a’ tuoi regni, io penso al mio.

Enea torna a chiedere la grazia per Iarba – Arbace, interrotto dall’improvviso cambiamento di Didone, la quale mostra tutte le pene del suo cuore:

Inumano! tiranno! E` forse questo

l’ultimo dì che rimirar mi dèi:

vieni su gli occhi miei;

sol d’Arbace mi parli, e me non curi!

Enea prova allora ad accarezzare il cuore infranto della giovane amante e riesce ad ottenere la sospensione della condanna, mentre l’innamorata scioglie un canto disperato:

Ah! non lasciarmi, no,

bell’idol mio:

[…]

Di vita mancherei

nel dirti addio;

che viver non potrei

fra tanti affanni.

Iarba, intanto, ha ricevuto il permesso da Osmida di passeggiare nella reggia, sicuro che non lascerà la prigionia, perché ancora convinto di poter conquistare il cuore di Didone, ora che Enea sta per salpare verso l’Italia. Il troiano gli rivela che, grazie al suo intervento, al fine di evitare una guerra, che avrebbe collassato l’Africa, salvò la vita al rivale. L’atto sorprende Iarba, il quale non comprende l’atto di Enea e l’infedeltà di Araspe; risolutamente non cambierà il suo atteggiamento.

Araspe minaccia di trafiggere Enea:

Snuda, snuda quel ferro:

guerra con te, non amicizia io voglio.

L’Eroe rifiuta di battersi:

La mia vita è tuo dono,

prendila pur se vuoi; contento io sono.

Dopo un’ulteriore minaccia di Araspe, Enea deciso snuda il ferro, per battersi, quando Selene irrompe in scena, fermando i duellanti; la collera di Araspe precipita, perché il suo cuore batte per la bella principessa. Didone pretende nuovamente di parlare al Troiano, il quale rifiuta il cortese invito, rivoltogli da Selene, che confessa, timidamente, il suo affetto

Selene, a me “cor mio”?

La principessa, accortasi del terribile equivoco, confessa di aver parlato per nome della regina, ma nulla sembra rimuovere la decisione di Enea.

Selene, sdegnata dal comportamento di Enea, decide di dedicare il suo cuore ad altro amante

Scelgasi un core

più grato a’ voti miei. Scelgasi un volto

degno d’amor.

Poi si accorge di aver mentito a se stessa, perché nulla potrà distoglierla dal Troiano.

Didone, intanto, medita ancora una volta di parlare, per un’ultima volta, ad Enea; stavolta, cambierà metodo: non più rimproveri, ma consigli.

Già vedi, Enea,

che fra nemici è il mio nascente impero.

Al fine di fermare la rabbia di Iarba, dovrebbe cederle la palma della sua mano oppure, in cambio, morire insieme al suo popolo, essendo l’esercito dei Mori imbattibile. Ci sarebbe stato un altro rimedio

Se non sdegnava Enea d’esser mio sposo,

l’Africa avrei veduta

dall’Arabico seno al mar d’Atlante

in Cartago adorar la sua regnante:

e di Troia e di Tiro

rinnovar si potea…

Enea non conosce parole, per pacificare l’anima della donna, che ancora continua ad amare e che potrebbe immaginare – per sua causa – nel talamo di un altro uomo, il più acceso, il più odiato: Iarba. Didone non avrebbe alcuna intenzione di unirsi ad un uomo, che mai amerà; allora pone tra le mani di Enea la spada, perché la ferisca mortalmente.

No, si ceda al destino: a Iarba stendi

la tua destra real. Di pace priva

resti l’alma d’Enea, purché tu viva.

Didone ubbidisce, ma il Troiano dovrà partecipare quale ospite alle nozze.

Intanto sopraggiunge Iarba, il quale è informato dalla Regina che, seguendo il consiglio di Enea, si dichiara pronta a sposarlo.

Ei sempre a tuo favore

meco parlò: per suo consiglio io t’amo.

Iarba allora recrimina di esser amato grazie al consiglio di Enea; la Regina scioglie l’incanto

Giacché vuoi, tel dirò: perché non t’amo:

perché mai non piacesti agli occhi miei;

perché odioso mi sei; perché mi piace,

più che Iarba fedele, Enea fallace.

Le parole scatenano la furia del Re dei Mori, che minaccia di muovere contro la Regina ed il suo popolo, mentre Didone mostra tranquillità e serenità, per aver agito, seguendo la strada del suo cuore.

ATTO TERZO. Enea spinge i suoi uomini a riprendere la via del mare. Iarba si chiede quale sia il vero fine di Enea:

Vuol portar guerra altrove?

O da me col fuggir cerca lo scampo?

Ancora una volta invita al duello Enea

Vieni, se hai cor; meco a pugnar ti sfido.

Enea, stavolta, accetta ed, in pochi attimi, ha la meglio sul rivale:

Sì, mori… Ma che fo? No, vivi. In vano

tenti il mio cor con quell’insano orgoglio.

No; la vittoria mia macchiar non voglio.

Giungono le armate del Re dei Mori, chiamate dall’infedele Osmida a muovere contro Didone, a cui si unisce Iarba. Il traditore chiede al re di aver compenso per la sua opera:

Olà, costui

si disarmi, s’annodi, e poi s’uccida.

Intanto Enea è pronto a partire, quando Osmida si presenta in catene; il Troiano ordina ai suoi uomini di liberarlo, quindi chiede di allontanarsi, ma prima lo ammonisce:

Se grato esser mi vuoi,

ad esser fido un’altra volta impara.

Osmida giura a se stesso di vendicarsi di Enea.

Selene accorre presso i Troiani e chiede, ancora una volta, pietà per la sua Regina, per poi confessare l’amara verità:

Senti: se a noi t’involi,

non sol Didone, ancor Selene uccidi.

L’Eroe non vuol sentir ragioni.

Osmida si reca alla reggia, per confessare il suo comportamento sleale; al fine di diventare re di Cartagine, si avvicinò a Iarba, offrendogli i suoi favori, che furono accettati in cambio della prigionia e solo grazie all’intervento di Enea ora ha salva la vita. Didone si dimostra assai colpita:

Misera me, sotto qual astro io nacqui!

Manca ne’ miei più fidi

Selene informa la regina dell’imminente partenza del suo innamorato; al fine di evitare l’addio, Didone ordina ad Osmida di convincerlo per un ultimo incontro. Selene mette in guardia la sorella dall’infido e consiglia la sorella di recarsi personalmente presso i lidi, dove sta per salpare Enea.

Il confidente di Iarba, Araspe, annuncia alla Regina che Cartagine è in fiamme; intanto giunge Osmida, che comunica della partenza di Enea. l’ira regale si scaglierà contro il fuggiasco:

Ritorna, Osmida;

corri, vola sul lido; aduna insieme

armi, navi, guerrieri:

raggiungi l’infedele,

lacera i lini suoi, sommergi i legni:

portami fra catene

quel traditore avvinto;

e, se vivo non puoi, portalo estinto.

Osmida ricordale fiamme, in cui sta bruciando la città per opera dei Mori:

tutta del Moro infido

il minaccioso stuol Cartago inonda.

Selene consiglia la regina di fuggire, nel mentre Iarba irrompe nel palazzo regale: in cambio della vita

mia sposa ti guido al letto e al trono.

Didone preferirebbe la morte; la rabbia di Iarba giunge al limite:

Cadrà fra poco in cenere

il tuo nascente impero,

e ignota al passeggiero

Cartagine sarà.

Sia Osmida che Selene consigliano la Regina di accettare la proposta di Iarba, ma Didone pensa solo a vendicarsi di Enea:

Ah! faccia il vento almeno,

facciano almen gli dei le mie vendette.

E folgori e saette,

e turbini e tempeste

rendano l’aure e l’onde a lui funeste.

Selene confessa alla sorella il suo amore per il Troiano; per Didone un altro, tremendo tradimento:

Dagli occhi miei t’invola;

non accrescer più pene

ad un cor disperato.

Didone, rimasta sola, guarda la lenta ed inesorabile distruzione di Cartagine come della sua vita

Ovunque io miro,

mi vien la morte e lo spavento in faccia:

trema la reggia e di cader minaccia.

Ormai ha davanti a sé solo la morte; quindi si getta tra le fiamme. Mentre imperversa la furia degli Elementi, improvvisamente iniziano a dileguarsi le nubi, le fiamme iniziano a calare e dal mare, sorge la ricca e luminosa reggia di Nettuno e la terra sprofonda in un’eterna pace.

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