25 Luglio 1924. Delitto Matteotti. Roberto Farinacci assume la difesa del maggior sospettato dell’eccidio, nei commenti della stampa dell’epoca

Venerdì 25 luglio del 1924, La Stampa informò che il Presidente del Consiglio aveva ricevuto Roberto Farinacci. Non vi furono comunicati, che illustrassero il motivo dell’incontro; il Giornale d’Italia ipotizzò che il Duce intendesse nominare il Farinacci Segretario politico del Partito Fascista.

Fu resa pubblica una lettera, che l’avvocato inviò al Procuratore Generale.

«Eccellentissimo Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma.

Amerigo Dumini (1894 – 1967)

Come V. E. ricorderà, non appena venni dal Dumini nominato suo difensore di fiducia, con una lettera motivata mi affrettai a declinare l’incarico. Era nostro desiderio, come ci sembrò fosse desiderio della vedova Matteotti, che il delitto deprecato non appartenesse a nessun partito e che venisse istruito e giudicato alla stregua di uno dei tanti reati comuni. Riconosco oggi di essere stato un ingenuo ed un illuso.

Ad eccezione della domestica, alla quale il Codice di procedura penata non concede nessun diritto, tutti i membri della famiglia dell’onorevole Matteotti si sono costituiti parte civile. E fin qui nulla di male. Quello che importa è il fatto che i patroni scelti sono tutti uomini politici e sono precisamente coloro che oggi, coi loro discorsi, colla loro stampa, vogliono attraverso gli attuali imputati, colpire il Fascismo.

Questo noi non possiamo permetterlo.

Il fascismo appartiene a noi, appartiene ai nostri morti, il cui testamento purissimo è nelle nostre mani verginissime. Perciò, Eccellenza, a conoscenza che il Dumini non ha ancora un vero e proprio difensore di fiducia, con coscienza tranquilla, chiedo che mi venga affidato il mandato, che per me, oggi, oltre ad essere un mandato di fiducia, è un mandato di dovere.

Gradisca. Eccellenza il mio più distinto ossequio.

F.to: On. Avv. Roberto Farinacci»

Gli avvocati di Parte Civile stamane si sono recati dai magistrati della Sezione di Accusa l’onorevole Modigliani, l’avvocato Targetti, l’avvocato Gino Coccia, i quali hanno esibito regolare procura e si sono costituiti parte civile: Modigliani nell’interesse di Gian Carlo Matteotti, figlio maggiore del martire; e Targetti, per Isabella Matteotti, figliuola dell’assassinato.

Enrico Gonzales (1882 – 1945)

L’onorevole Gonzales non si è potuto costituire parte civile nell’interesse di Gian Matteo Matteotti, altro figlio del compianto deputato unitario, perché trattenuto a Milano da impegni professionali.

Anche la madre dell’onorevole Matteotti si costituirà, com’è noto, parte civile coll’assistenza dell’avvocato Ignazio Scimonelli.

Secondo voci che circolano al palazzo di Giustizia, l’istruttoria del processo per il delitto Matteotti volgerebbe verso una fase definitiva».

Francesco Giunta (1887 – 1971)

L’onorevole Giunta indirizzò ai giornali una lettera, in cui chiarì le circostanze relative alla sua offerta di protezione al Matteotti alcuni giorni prima che il deputato unitario fosse rapito e massacrato dalla «Ceka» del Viminale.

«Egregio signor Direttore.

Da oltre un mese, imperversando l’ignobile gazzarra intorno al Fascismo ed ai suoi uomini, ho taciuto, perché ho sempre ritenuto dovere di chi accetta la lotta politica di subire la disciplina del silenzio, anche su questo possa costare profonda amarezza e facile arma di discredito in mano degli avversari. Ma in questi giorni, da alcuni quotidiani si è voluto persino, con insuperabile malvagità, travisare un gesto di squisita solidarietà umana da me compiuto verso l’onorevole Matteotti, ed è necessario ribattere ciò che del resto fu tanto chiaro allora per il racconto stesso che ne fece il deputato socialista.

La sera in cui avvenne, in piazza Colonna, nelle vie adiacenti, una dimostrazione contro i deputati di opposizione, ebbi modo di assistere dalla finestra del mio studio ad alcune furiose colluttazioni, cariche e fughe e relative bastonate, che mi dettero l’impressione di un grave fermento.

Poco dopo le 10 uscii e, giunto in via San Claudio, vidi l’onorevole Matteotti senza cappello, camminare alla svelta e con aria che a me sembrò preoccupata. Apparendomi il tumulto non ancora cessato in Piazza Colonna, ebbi il timore che il deputato socialista corresse qualche rischio, ma la mia impressione divenne certezza quando, fatti pochi metri ancora (la macchina andava a passo d’uomo) vidi alcuni individui che seguivano con fare sospetto l’onorevole Matteotti. Io non esitai un istante e, pur non avendo mai scambiato parola col mio avversario, scesi di macchina e, avvicinatomi in Via San Silvestro all’onorevole Matteotti, gli dissi testualmente:

Io sono un avversario leale non ha bisogno di niente? Mi sembra che ella sia seguita da gente male intenzionata. Vuole che l’accompagni a piedi od in auto?

L’onorevole Matteotti, alquanto confuso della mia offerta, si guardò attorno e poi, o che fosse sicuro di sé, o che fosse orgoglioso, mi ringraziò molto gentilmente e ci lasciammo.

Questo avveniva almeno una settimana prima del delitto, che sorprese ed indignò la nostra anima di uomini di parte accesi, ma non vili, perché abbiamo sempre condannato le violenze inutili e represso, quando abbiamo potuto, le sopraffazioni del più contro uno solo, degli armati contro gli inermi.

Firmato: Onorevole Giunta».

I commenti della stampa. Il Giornale d’Italia pubblicò alcune informazioni e rilievi di un certo interesse.

«Gli episodi nei processi complicati hanno, quasi sempre, per quanto apparentemente secondari, un valore proprio, magari decisivo. Ora non è inutile chiarire che l’avvocato Filippelli aveva l’abitudine di farsi la barba ogni giorno. Durante la settimanale chiusura del lunedì, un giovane del suo favorito barbiere andava da lui all’albergo a prestargli i suoi servizi. Si noti pertanto che nel lunedì precedente al delitto, e nel martedì in cui il delitto fu compiuto, il Filippelli non richiese alcuno e non si presentò al barbiere. Riapparve il mercoledì, taciturno e nervoso. All’indomani, giovedì, ritornò ma in condizioni strane. Era letteralmente coperto di polvere e, curioso, di polvere rossiccia. Era appena cominciata l’operazione che gli strilloni gridarono le quarte edizioni colle prime notizie sull’uccisione del deputato socialista.

Egli volle che gli fossero comperati tutti i giornali, lamentando che gli mancasse il “Mondo”, il quale, in verità, non era ancora uscito. Fece sospendere il lavoro al barbiere e si mise a leggere avidamente le varie cronache dei giornali.

Impallidiva ed arrossiva e poi disse:

Una passata sola, bisogna che vada via!

Non abbiamo bisogno di dedurre, dal breve racconto, come appaia probabile che del piano già ordito contro l’onorevole Matteotti possa credersi che il Filippelli fosse a conoscenza il giorno avanti del compimento. Delle deduzioni si occuperà la magistratura dalla quale, forse, a quest’ora, sono stati raccolti numerosi indizi comprovanti l’esistenza di un complotto colla partecipazione di varie persone rimaste poi nella maggioranza estranee all’esecuzione materiale dell’assassinio».

Lo stesso giornale scrisse: «Un funzionario della Questura, per ordine della Sezione di Accusa, è andato ieri in un paese non lontano della campagna romana ancora alla ricerca del cadavere. La scomparsa di questa prova evidentemente dimostra due cose.

In primo luogo che nel periodo di inazione della P. S. gli autori del delitto ed i mandanti ebbero il tempo di accordarsi, fissando una linea comune di difesa per il caso che mancasse eccezionalmente loro quella impunità sulla quale certo avevano fatto conto. La seconda cosa risultante dalla difficoltà di ritrovare la salma è questa: che gli imputati evidentemente non parlano.

Qualche accenno può essere loro sfuggito, ma sostanzialmente, per quanto può ritenersi, rimangono muti. Il Dumini, specialmente, non avrebbe voluto parlare, certamente perché ha la ferma persuasione di essere presto liberato. Tutti sembrano convinti che, non ritrovandosi il cadavere, la loro posizione penale ne risulterebbe avvantaggiata. E’ un errore grossolano perché vi sono reati — non diciamo avvenga per questo, quantunque possa fondatamente ritenersi — che si rivelano completamente anche nella voluta assenza della generica.

Ad ogni modo, si intende la perseveranza della magistratura nella ricerca della salma.

Sino a questa mattina, però, le nuove indagini ordinate avevano avuto esito negativo come le precedenti compiute in altri luoghi. Intanto, accenniamo ad un’ipotesi che viene ripetuta da vario persone, ed è che il cadavere in un luogo non frequentato abbia potuto essere bruciato colla benzina. E’ una cremazione che può compiersi facilmente, senza molti preparativi, e che non lascia tracce. Così almeno ci si assicura da esperti.

Il silenzio degli imputati sarebbe in tal modo mantenuto nella certezza che tutte le ricerche non condurranno ad alcuna scoperta».

Il Mondo osservò: «Per quanto ci consta — perché l’istruttoria procede veramente con grande segretezza — taluni imputati avrebbero fatto qualche parziale ammissione. In questi giorni Amerigo Dumini ha scritto una lettera al suo difensore di fiducia, avvocato Giovanni Vaselli, ed anche gli altri detenuti, a norma del regolamento carcerario, hanno potuto scrivere ai loro congiunti, manifestando la speranza di poter essere presto messi in libertà.

Le condizioni di salute dei detenuti sono buone. Soltanto il Marinelli è sofferente, e forse potrà essere internato alla infermeria di Regina Coeli, rimanendo però sempre sottoposto alla più severa e doverosa, sorveglianza. Sino ad ora le domande di colloquio presentate dai difensori ed anche dai parenti di alcuni imputati sono state respinte, cosi come il presidente della sezione di accusa non ha creduto di mettere a disposizione dei difensori gli interrogatori».

Il Sereno: «I magistrati inquirenti, da lunedì si recano ogni giorno nel pomeriggio a Regina Coeli, e vi rimangono fino a tardi per poi fare ritorno al Palazzo di Giustizia, dove si trattengono ancora a riordinare le carte e collezionare gli interrogatori.

In questi giorni, sono stati lungamente interrogati il commendator Cesare Rossi, il Dumini ed il Volpi. Gli altri arrestati non sono stati per ora chiamati. Nessun confronto è avvenuto. I magistrati inquirenti sono venuti in possesso di nuove circostanze che hanno formato materia di altre contestazioni; sembra che questi ultimi interrogatori abbiano dato risultati insperati. Si afferma che qualcuno degli arrestati, che nel primo ed unico interrogatorio che durò sette ore, preferì mantenersi sulle linee generali dilungandosi ad esporre la sua funzione nel partito, abbia cominciato a cantare e che abbia detto alcune cose interessanti.

Queste non riguarderebbero precisamente il delitto Matteotti, ma bensì varie altre aggressioni che furono consumate per ordine di altre persone delle quali i magistrati inquirenti avrebbero appreso le generalità complete. Queste rivelazioni dovrebbero provocare alcuni provvedimenti della sezione di accusa, la quale dovrà anche prospettarsi, dato il fatto nuovo, l’opportunità di avocare a sé le istruttorie per le aggressioni che vanno istruendosi al piano inferiore del Palazzo di Giustizia».

Sempre lo stesso giornale scrisse: «Le indagini minuziose dell’autorità giudiziaria sulla posizione di Amerigo Dumini quale funzionano addetto all’Ufficio stampa al Viminale sono terminate e naturalmente sono emerse gravi responsabilità — almeno moralmente — a carico di Cesare Rossi, il quale, come sembra ormai accertato, si serviva della «banda Dumini» e compagni per intimorire ed intimidire i tracotanti avversari del Governo.

D’altra parte sembra che il Dumini difendendosi abbia affermato essere stato l’esecutore rigido… per fini nazionali, di ordini ricevuti dall’alto. Naturalmente il Dumini tenta abilmente di giocare la sua ultima carta lanciando sospetti e facendo intravedere possibili scandali o sperando, attraverso monche dichiarazioni, di coinvolgere altre persone. E’ un sistema comodo, ma pericoloso: infatti egli ha dovuto fare delle dichiarazioni che lo hanno irrimediabilmente’ compromesso. E’ stato affermato da qualche giornale che il Dumini «tranquillamente» giovedì 12 giugno prendeva il treno per Milano. Questa, versione non sembra esatta.

Il Dumini, invece, informato da persona influente che il delitto era stato scoperto e che già si facevano i nomi dei mandanti e degli esecutori, tentava sottrarsi all’arresto dirigendosi a Firenze, sperando di trovare in Toscana un luogo sicuro per nascondersi.

Da chi fu informato il Dumini? Questo è il punto. Abbiamo raccolto dei dati e ne diamo notizia anche perché siamo convinti che ancora l’autorità giudiziaria non ha fatto su certi retroscena, che andremo narrando, molta luce. Le minuziose indagini dei magistrati, eseguite con molto scrupolo e con la coscienza di volere acclarare a qualunque costo le vere ragioni della soppressione del Matteotti, ora tendono a districare una matassa alquanto ingarbugliata circa i rapporti precedenti tra gli esecutori ed i mandanti. Ed anche questa matassa sarà facilmente dipanata.

Ora, tornando all’argomento principale, possiamo affermare che Cesare Rossi giovedì 12 giugno, alle 8,30 del mattino, telefonicamente avvertiva il Dumini che il delitto era stato scoperto e che bisognava allontanarsi da Roma immediatamente e poi provvedere alla difesa.

Il fatto è senza dubbio di una gravità indiscutibile.

Chi aveva informato il Rossi? Come aveva saputo che si tacevano già i nomi dei mandanti e degli assassini? Bisogna tenere presente che nel pomeriggio di mercoledì 11 giugno, il giorno dopo il delitto, l’onorevole Modigliani si recava in Questura e denunziava al questore Bertini i suoi dubbi sul misterioso allontanamento del deputato da Roma»

Emilio De Bono (1866 – 1944)

Il Corriere Italiano di giovedì 12 giugno, invece faceva supporre che l’assassinato si fosse allontanato tranquillamente dalla capitale e che forse già si trovava all’estero, «supposizione che abbiamo poi riscontrata nel rapporto fatto dal generale De Bono. Le date da noi riferite sono importanti, perché rivelano che Cesare Rossi già era stato minutamente informato della scoperta e dei nomi che circolavano in qualche ambiente politico, mentre il giornale ufficioso del Viminale tendeva ad insinuare che Matteotti si era allontanato da Roma indisturbatamente.

In quali ambienti circolavano i nomi degli esecutori e dei mandanti? In Questura no. E nemmeno nell’ambiente parlamentare. Ed allora? Dunque nel suo ufficio al Viminale Cesare Rossi era stato segretamente avvertito della scoperta del delitto.

E da chi? Abbiamo saputo che dalla telefonata fatta da casa sua in via dell’Arancio dal Rossi al Dumini erano presenti alcune persone, che parlavano sommessamente e nervosamente. Anche la voce del Rossi sembrava alquanto nervosa, tanto che fu udita da persone che abitano nel piccolo appartamento, dirimpetto a quello dell’ex capo dell’Ufficio stampa.

E per oggi sospendiamo le nostre induzioni, le quali hanno un notevole valore in quanto si è potuto dimostrare che mercoledì, 11 giugno, al Viminale si sapeva tutto e che il Rossi era stato preavvertito da qualche interessato della scoperta dell’assassinio, dei mandanti e degli esecutori».

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