31 Luglio 1924. Delitto Matteotti. Si accende la polemica, nel racconto dei giornali dell’epoca

Pietro Ellero (1833 – 1933)

I commenti della stampa. Il 31 luglio del 1924. l’onorevole Pietro Ellero rispose ad alcune domande, poste da La Sera, a proposito del caso Matteotti.

Egli ha esordito dicendo che «il Viola ebbe la ricompensa di cinquantamila lire qualche giorno dopo l’uccisione di Matteotti, quando cioè tutti i giornali facevano il nome di coloro che avevano preso parte all’assassinio, e mentre da parto della polizia venivano eseguiti i primi arresti, si presentò nel mio ufficio un mio conoscente e mi chiese un consiglio, come amico, intorno ad un caso molto grave che riguardava l’uccisione di Matteotti. Mi spiegò, così, che aveva avuto modo di essere in relazione con alcune persone che vivevano molto da vicino ai principali autori del delitto e precisamente col Volpi, col Putato e con Viola.

Era appunto di costui che aveva sentito molte cose; aveva cioè appreso dagli amici del Viola che costui aveva confessato di aver avuto quale compenso per la sua partecipazione al delitto: 50.000 lire.

“Credevo di aver fatto un buon affare, — avrebbe detto il Viola, — ma mi accorgo invece che l’affare è molto magro”.

Egli, infatti, informato dalle pubblicazioni dei giornali che era attivamente ricercato, per vivere nascosto doveva spender molti denari per comprare il silenzio di molte persone. Il mio informatore ha poi soggiunto che non si rivolgeva alla Questura perché aveva l’impressione che nulla questa avrebbe fatto per assicurare alla giustizia il Viola.

Enrico Gonzales (1882 – 1965)

Da molte circostanze ho compreso che il mio informatore sapeva molte cose e allora lo accompagnai, nell’interesse della giustizia, allo studio dell’onorevole Gonzales. Il deputato unitario era però assente da Milano, ed allora invitai la persona che tante cose sapeva a presentarsi al Procuratore del Re, anzi lo accompagnai io stesso. Il magistrato raccolse l’informazione dichiarando che l’avrebbe trasmessa all’autorità giudiziaria di Roma per regioni di competenza».

«Due giorni dopo il colloquio, avvenuto fra l’informatore dell’onorevole Ellero e il Procuratore del Re, avveniva l’irruzione nell’osteria Aquila d’Oro, in via Canonica, ove si era rifugiato il Viola».

Il Nuovo Paese fu l’unico quotidiano a pubblicare una lettera di Cesare Rossi durante la sua latitanza parigina. Per ciò, il direttore, Carlo Bazzi, fu accusato di essere un fiancheggiatore del fuggiasco e fu quindi sottoposto ad un lungo interrogatorio da parte del questore di Roma.

Dalle colonne del quotidiano, egli affermò che «Cesare Rossi fu a Parigi esclusivamente per diporto. Gli furono compagni di viaggio Dino Alfieri e l’avvocato Del Fabbro l’uno e l’altro con le rispettive famiglie.

Il primo è sempre stato esponente nazionalista, ripetutamente ed anche recentemente ricevuto al Quirinale; il secondo si è occupato sempre di affari, mai di politica.

II soggiorno di Rossi a Parigi passò in incognito per ragioni molto semplici: perché egli si era proposto di riposare dalle fatiche della politica, e perché a Parigi un esponente fascista come lui avrebbe potuto avere, per molti aspetti, non poche seccature».

Roberto Farinacci (1892 – 1945)

Il Popolo commentò «Tanto il Bazzi nel suo telegramma da Parigi quanto il “Nuovo Paese” nel suo commento redazionale tendono a smontare il fantastico castello di accuse costruito da Farinacci. Tanto l’uno come l’altro si servono dell’argomento delle note simpatie del Rossi verso gli elementi moderati del Fascismo, argomento già sfruttato del resto dall’ex-capo dell’Ufficio stampa agli interni nella sua nota lettera inviata al “Nuovo Paese” all’atto della sua fuga.

In tal modo gli amici del Rossi, in contrasto col Farinacci, tendono ad allontanare dal Rossi stesso la responsabilità prima e maggiore del delitto. Pertanto risorge la domanda che allora ponemmo: chi è dunque il mandante? Ritornano di attualità le considerazioni che ponevamo all’indomani della lettera al “Nuovo Paese”.

Amerigo Dumini (1894 – 1967)

In conclusione, il Rossi, non meno del Dumini, giuoca allo scarica barile e tutti lasciano avvalorare il sospetto che il mandante principale sia ancora completamente all’ombra. Chi è dunque il mandante? La domanda, più di ieri, appare di attualità e noi ci vogliamo augurare che le cartelle inviate dal Bazzi al suo giornale possano contribuire notevolmente a fare la luce su questo punto importantissimo sul quale, oggi più che mai, si accaniscono gli elementi più intransigenti del fascismo».

Il medesimo giornale osservò che da alcuni giorni La Tribuna «da qualche giorno, si è data a volontari servizi… pompieristici intorno al grande fuoco di scandali suscitato dal delitto dell’onorevole Matteotti.

Emilio De Bono (1866 – 1944)

Cominciò con la nota indiscrezione sulla deposizione De Bono allo scopo assai delicato di chiarire molti particolari ancora rimasti oscuri e di dissipare molti equivoci. In realtà i chiarimenti della “Tribuna” erano una difesa bella e buona dell’operato dell’ex-direttore generale della P. S. nei giorni seguenti il delitto.

Ieri l’altro, a proposito delle rivelazioni di Cesarino Rossi, interveniva ancora a rassicurare che l’ex-capo dell’Ufficio stampa minacciò Mussolini (come lo sa la “Tribuna”?), ma che Mussolini rispose facendo intensificare le ricerche e  costringendo così dappresso i latitanti che Cesare Rossi sarebbe stato costretto a costituirsi per non essere arrestato clamorosamente. Dunque, le ricerche del latitante Rossi le dirigeva addirittura Mussolini e non l’autorità giudiziaria con l’apposita polizia? E si sapeva a Palazzo Chigi dov’era rifugiato il minaccioso Cesarino? Domande vecchie e assai suggestive. Ma la perspicacissima “Tribuna” non se lo pone perché essa ha soltanto lo scopo di far intendere che le rivelazioni del Rossi non hanno alcun valore. Quale audacia!»

Continuava il giornale: «La gravità delle rivelazioni di Cesare Rossi è stata sottolineata e confermata proprio da parte fascista. Il procuratore del duce, l’onorevole Farinacci, col suo tempestoso intervento, è riuscito a convincere tutti che effettivamente l’ex capo ufficio stampa alla Presidenza del Consiglio ha cantato molto chiaramente, senza riguardi nemmeno per il suo capo e per i suoi cari colleghi delle supreme gerarchie del partito.

Benito Mussolini (1883 – 1945)

Cesare Rossi, per difendersi, ha accusato ed il Fascismo corre ai ripari. Ed all’uomo, che dal 1915 è stato il più intimamente vicino all’onorevole Mussolini, all’uomo che tutti consideravano il braccio destro del Presidente del Consiglio, all’uomo cui sono state riconosciute tutte le più grandi benevolenze in pro del Fascismo e del Governo dell’era nuova, a quest’uomo il Fascismo muove l’accusa di aver tradito, d’accordo cogli avversari, quel Mussolini al quale, in un decennio di vita politica combattuta sempre sulle stesse posizioni, aveva dato le provo di fedeltà e di devozione, proclamate pubblicamente in cento occasioni.

L’accusa di Farinacci, che Cesare Rossi si fosse macchiato di così nero tradimento perché aspirava a sostituire l’onorevole Mussolini alla Presidenza del Consiglio, suscita l’ilarità  più viva in tutti coloro che conoscevano l’intimità di rapporti tra Mussolini ed il suo più diretto collaboratore, e la vera e propria incapacità fisica di quest’ultimo a desiderare le posizioni di prima fila, ed i posti di maggiore responsabilità. Tutte le rivelazioni che l’onorevole Farinacci lancia per comprovare l’esistenza del complotto, concertato dal Rossi d’accordo cogli esponenti dell’Opposizione, si dimostrano così assurde che le pronte smentite degli interessati giungono quando già l’opinione pubblica si è formata la convinzione che la fantasia del vice duce di Cremona è veramente malata.

In verità, il giudizio sull’atteggiamento dell’onorevole Farinacci non può fermarsi alla sua persona. Esso deve naturalmente investire anche colui che gli dà la autorizzazione e, addirittura, gli rilascia la procura per i colpi di scena nei quali si è specializzato.

E pertanto, che ha occhi attenti alla situazione non può non pensare che anche a Palazzo Chigi si debbono vivere momenti di  smarrimento e di disorientamento per non comprendere il danno che arrecano  alla causa fascista, gesti come quelli di Farinacci. Si poteva credere che il sotto-duce sarebbe stato richiamato ad una maggiore prudenza. Invece no. Evidentemente Farinacci segue un piano meditato, e si vuole proprio che abbia a proseguire il suo piano.

Il Rossi adunque avrebbe preparato la difesa ed avrebbe esteso questa in alcuni memoriali. Non sappiamo se l’atto di difesa e di accusa sia veramente nelle mani di qualche esponente dell’Opposizione. Quello che è positivo è che si trova nella mani del procuratore di Cesare Rossi, Carlo Bazzi, il quale per provvedere alla difesa del suo cliente, che sarebbe diventata meno agevole se egli pure fosse stato chiamato a godere dell’ospitalità di Regina Coeli, ha creduto conveniente di allontanarsi (non diciamo scappare) dall’Italia, malgrado la sua qualità di prevenuto per il reato di favoreggiamento, e di rifugiarsi a Parigi.

Noi non sappiamo certamente quello che sa il Bazzi; ma sappiamo che, per persuadere dalla follia di Cesare Rossi, bisognerebbe dimostrare completamente folli anche l’ex sottosegretario agli Interni, Aldo Finzi, e l’ex direttore del “Corriere Italiano”. Questo sappiamo: che l’onorevole Finzi ed il commendator Filippelli hanno scritto, il primo un testamento, il secondo una confessione. Tanto il testamento, quanto la confessione dicono esattamente le stesse cose, e così fanno press’a poco le stesse denunzie. Indicano precisamente gli stessi nomi che, secondo il racconto di Farinacci, sono contenuti nei documenti di Cesare Rossi, che il sotto-duce ha avuto nelle sue mani. Certo, il testamento e la confessione hanno un interesse che non potrebbe essere più drammatico, e certo daranno modo alla giustizia di controllare punto per punto, le rivelazioni sensazionali che Farinacci assicura essere state fatte da Cesare Rossi.

Dicevamo che, essendo tre i documenti che dicono le stesse cose, ed essendo stilati da tre persone diverse, bisognerebbe che Farinacci riuscisse a dimostrare che tutte e tre le persone mentiscono. Quanto all’eventuale tentativo di far passare i tre autori dei documenti come partecipi all’accordo, per assumere una comune linea di difesa, esso non potrebbe avere alcuna speranza di riuscita, perché si sa che i rapporti tra il commendator Cesare Rossi e l’onorevole Aldo Finzi erano quelli di due implacabili nemici, e si sa che il testamento dell’onorevole Finzi potrebbe servire a documentare le accuse contro Cesarino Rossi. D’altra parte, questi, nel suo documento, non si preoccupa certo di difendere l’on. Aldo Finzi Ciascuno si preoccupa soltanto di sé, ma nella furia della difesa il bersaglio diventa unico.

Nel suo telegrafico intervento odierno dal rifugio di Parigi, Carlo Bazzi, nella forma polemica che gli è consueta minaccia in risposta alla domanda d Farinacci, qualche precisa indiscrezione sulla linea di difesa di Cesarino Rossi. Ma ciò che è più interessante nel telegramma di Carlo Bazzi è l’affermazione che egli pure non crede che il gesto dell’onorevole Farinacci nell’attaccare il Rossi sia stato impulsivo. Anche Carlo Bazzi pensa che Farinacci abbia avuto un mandato e, perciò le sue risposte si rivolgeranno non soltanto al vice-duce ma al duce in persona.

La decisione presa da Carlo Bazzi (l’uomo che, secondo una frase di Cesare Rossi, non poteva essere buttato a mare perché egli aveva in mano troppa gente situata anche altissime nelle gerarchie fasciste)  di rifugiarsi a Parigi è già un fatto che drammatizza la situazione.

Si assicura che in qualche ambiente fascista si sostiene apertamente la tesi che il Fascismo dovrebbe avere il coraggio di prendere posizione con una solenne dichiarazione – ipotesi che hanno già esposto l’onorevole Farinacci e “L’Impero” — ed assumersi quinci in pieno la responsabilità del delitto compiuto in nome della… sacra difesa dei diritti della rivoluzione.

E’ un’ipotesi pazzesca.

Il Fascismo ha provveduto molto male alla sua causa, anche solo col permettere che Farinacci e “L’Impero” scrivessero quello che hanno scritto. Il giorno in cui gli squadristi gridassero ufficialmente Viva Dumini!, come preannunzia l’onorevole Farinacci, la rivolta morale degli Italiani non potrebbe essere domata più da nessuna reazione di baionette o da nessuna minaccia di nomi di San Bartolomeo.

Il giorno in cui la disperazione spingesse il Fascismo a proclamare l’assassinio dell’onorevole Matteotti un atto di difesa del Regime, quel giorno tutti gli italiani sarebbero convinti che anche in Italia siamo in pieno bolscevismo, ed il Fascismo, anziché salvarsi, avrebbe segnata a breve scadenza la sua fine nel fango delle sue malefatte e nel sangue delle sue vittime».

Il Mondo tornò su una delle frasi incriminate, scritte dal Farinacci.

“Questo sappiano gli avversari: che se veramente insistono per dare un colore politico al processo, non faranno che il giuoco di coloro che stanno dentro, perché, anziché la deplorazione, strapperebbero la solidarietà di tutto il Fascismo. Gli eccessi portano agli eccessi estremi, pertanto alle conseguenze estreme, e noi ne avvertiamo i primi sintomi. Contro la speculazione sul delitto, contro gli attacchi al Regime, contro gli attacchi al Duce, ripeto, si avverte già una reazione del Fascismo al grido di “Viva Dumini!”.»

Il giornale d’Opposizione giudicò tali affermazioni inconcludenti.

«Questa apologia di un delinquente, che si dovrebbe risolvere in un insulto al Partito Fascista, e che è una offesa atroce a tutto il popolo italiano — se è vero che subito dopo il delitto vi furono degli squadristi che portarono il loro insulto fino sotto le finestre della vedova; se è vero che a Bologna un mese fa e l’altro ieri od Albano, delle camice nere, forse gli stessi che nel 1919 ostentavano larghe cravatte scarlatte, hanno emesso grida delittuose — il signor Farinacci fa sua.

Si mancherebbe di onestà e di sincerità dicendo che queste grida (la parola d’ordine della seconda ondata?) possano essere intese come il grido di tutto il partito nel quale militano anche giovani coraggiosi, ma sinceri e combattenti, che invocano la pacificazione ed il corso della giustizia al pari di noi. Quel giornale fascista ufficioso che, confondendo le parole ed i pensieri, rimproverava un giornale dell’opposizione d’insultare cinquecentomila tesserati, imputando loro una complicità indiretta nell’assassinio dell’onorevole Matteotti, è pregato di leggere e meditare bene questa frase del ras di Cremona.

Niente e stato mai scritto dagli avversari del Governo, di più oltraggioso di ciò che ha scritto il deputato Farinacci, il quale per primo e da solo proclama che, per difendere la politica del Governo, il Fascismo è pronto a fare la sua causa dai comuni delinquenti, e che la difesa di Mussolini potrebbe esplicarsi nelle forme aberranti, moralmente e giuridicamente delittuose, di un appoggio di Amerigo Dumini. Se anche l’ipotesi che il Fascismo potesse proporsi una marcia liberatrice su Regina Coeli oltraggia il Fascismo, l’affermazione che ciò possa compiersi in difesa della politica del Governo, umilia quest’ultimo in Italia e fuori in tal modo che non il solo Governo, ma tutta l’Italia deve respingere l’ipotesi come sogno criminoso di una mente malata, ed il Governo, e per esso il suo capo, non può tacere e non può tardare, più oltre a far smentire, con una parola davvero inequivocabile di smentita e di riprovazione».

Dopo aver ricordato come dopo il delitto Matteotti sia esplosa la rivolta morale della coscienza italiana e di essa si siano resi interpreti il Senato, la Camera ed il Sovrano, il Mondo si chiese che cosa potesse significare la nuova minaccia del ras di Cremona.

Una sola cosa: che, giocando sull’equivoco, sulla presunta speculazione delle opposizioni, si potrebbe mandare a monte il processo e salvare esecutori, mandanti e complici del delitto nel quale l’onorevole Matteotti è stato vittima. Salvarli, e per di più computare in loro onore nuovi reati ed una totale manomissione della costituzione. Ipotesi assurda? Chi conosce lo stato d’animo del popolo italiano, che ha fede come noi abbiamo nei poteri dello Stato che è solo custode e garante della Costituzione e della legge, può senz’altro ritenere assurda l’ipotesi; ma resta il fatto gravissimo che essa possa essere avanzata da un esponente del Fascismo o pubblicamente espressa in un regime di stampa, che ha avuto in questi giorni singolari applicazioni restrittive per quanto riguarda l’istruttoria Matteotti ed il procedimento giudiziario in genere. Non solo, ma il fatto che essa venga avanzata e si accenni qua e là, indica che gli sconsigliati disposti a tentare di tradurla in realtà non mancano. (L’esempio delle adunate di Bologna o di Albano insegnano). Vi è un preciso problema di responsabilità che si pone in poche domande: da quale parte si specula dunque?

Speculano gli italiani che domandano al processo l’accertamento della verità; o speculano i Farinacci e compagni, che prima si creano le più comode ipotesi sui disegni subdoli e perversi dell’Opposizione, per poi minacciare, non di affrontare quei disegni ipotetici, ma di mandare a monte i] processo puramente e semplicemente?

Speculano gli italiani che attendono un’opera di purificazione, e di pacificazione, o Farinacci e compagni cui fa comodo dipingersi minacciati per minacciare e che, strano a dirsi, formulano per primi c da soli l’ipotesi che la responsabilità giudiziaria possa coinvolgere determinate persone c creare situazioni politiche non favorevoli al governo fascista?».

Il filo governativo L’Impero commentò: « Non abbiamo mai invocata alcuna ragione di Stato. Abbiamo soltanto parlato dei diritti della rivoluzione, e ciò, è perfettamente giusto, giacché l’onorevole. Mussolini non è soltanto Presidente del Consiglio, ma anche il Duce del Fascismo. Questo non è un mistero per nessuno. Non abbiamo mai detto che in base a questa ragione di Stato l’onorevole Mussolini fosse stato libero ieri di fare sopprimere l’onorevole Matteotti e fosse libero domani di fare sopprimere qualunque altro cittadino italiano. Abbiamo detto che il Duce della rivoluzione non può essere processato dai tribunali comuni per la sua azione rivoluzionaria. D’altra parte, poi, l’ipotesi, sia pure lontanissima di una diretta partecipazione dell’onorevole Mussolini alla soppressione dell’onorevole Matteotti, è stata da noi scartata nel modo più energico ed assoluto.

In quanto, alla percussione dei nostri scritti, noi crediamo che sia un prezioso elemento pacificatore, perché, facendo vedere i pericoli di una cosi pervicace c cieca provocazione, poi speriamo che gli oppositori la finiranno.

So volessimo davvero la seconda ondata, o comunque una ripresa rivoluzionaria non li metteremmo in guardia sui pericoli delle loro provocazioni, ma li lasceremmo fare, anzi li incoraggeremmo col silenzio, oppure con un contegno timido cercheremmo di provocarne lo scoppio.

E’ stabilito dunque che il preannunzio della notte di San Bartolomeo è un invito… alla pacificazione».

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