Pasolini a Roma

La sede è il Palazzo delle Esposizioni si trova a metà strada tra Piazza della Repubblica e Piazza Venezia, il cuore di Roma. Ritirato il biglietto (12 euro), con cui si può visitare anche un’interessantissima mostra sugli Etruschi, una gentile hostess m’informa che non è possibile fotografare. La Mostra sull’Artista è articolata in 7 grandi padiglioni, divisi secondo gli anni di permanenza e di produzione: dal 1950 al 1954; dal 1955 al 1960; dal 1961 al 1963; dal 1963 al 1966; dal 1966 al 1973; dal 1974 al 1975, anno della morte del Poeta. Entro nella prima sala, che ripercorre gli anni, vissuti dal Poeta, che vanno dal 1950 al 1954.

PASOLINI PITTORE

Ben custoditi alcuni ritratti, che Pasolini dipinse durante il periodo bellico, ispirandosi a De Pisis:

“Continuo a dipingere e ad essere abbastanza contento dei miei quadri con cui riempio le nude pareti della mia stanza alla “boheme” (lettera a Luciano Serra, 20 agosto 1941)

L’IMPEGNO INTELLETTUALE

A Casarsa, oltre che dipingere, insegnò Lingua italiana e fu fondatore e anima della Academiuta de lengua furlana, la quale “vuole essere un fortino per la conservazione e l’uso del dialetto, come volontà poetica e rappresentazione della realtà come esperienza assoluta”. Rivendicare la dignità del friulano e delle altre lingue romanze fu una maniera di opporsi alla omologazione culturale, una delle grandi battaglie che lo scrittore combatterà per tutta la vita. Sulla rivista, appaiono anche lavori in lingua catalana (“questa lingua, erede della provenzale, che fu la seconda in importanza – dopo l’italiana – nel Medio Evo”)

L’OMOSESSUALITA’

Lo scrittore con Franco Farolfi

In una teca, ci sono delle lettere autografe, che il Letterato scrisse prima di venire a Roma. Egli era pienamente consapevole che la sua condotta di vita non potesse che essere tema di “scandalo” nel piccolo paese friulano, perciò iniziò a maturare l’idea di trasferirsi nella Capitale. In una lettera all’amico Franco farolfi, confessò i motivi del trasferimento:

 “La mia omosessualità è entrata ormai da vari anni nella mia coscienza e nelle mie abitudini e non è più un Altro dentro di me. Ho dovuto vincerne di scrupoli, di insofferenze e di onestà… ma infine, magari sanguinante e coperto di cicatrici, sono riuscito a sopravvivere, salvando capra e cavoli, cioè l’eros e l’onestà” (lettera a Franco Farolfi, settembre 1948).

La sua omosessualità fu denunciata da un giornale locale, per un fatto avvenuto durante una festa di paese:

“Una grave denuncia (..) a carico del dottore in belle lettere Pier Paolo Pasolini (…) fondatore di un’accademia di friulano (…) costui avrebbe indotto a compiere atti di libidine sulla propria persona certi Z. G. di 13 anni  e G. R. di 18 anni”. (Messaggero Veneto del 28 ottobre 1949).

La Federazione del P.C.I. (partito a cui l’Intellettuale era iscritto) espulse Pasolini per “indegnità morale”.  

“(…) Io sono senza posto, cioè ridotto all’accattonaggio (…) io in questo momento non ho avvenire (…) un altro al mio posto si ammazzerebbe; disgraziatamente devo vivere per mia madre”. (Lettera a Ferdinando Mautino, funzionario della Federazione Comunista di Udine, 31 ottobre 1949)

Pasolini sarà poi assolto per insufficienza di prove l’8 aprile 1952.

In un’altra, inviata a Silvana Mauri, confessò che la sua “diversità” avrebbe forse provocato meno scandalo a Roma che in Casarsa:

“(…) Qui a Roma posso trovare meglio che altrove il modo di vivere ambiguamente, mi capisci? E, nel tempo stesso, il modo di essere compiutamente sincero, di non ingannare nessuno”. (lettera a Silvana Mauri, 10 febbraio 1950)

ROMA

Molti anni dopo, Pasolini racconterà in “Poeta delle Ceneri” (1966 – 1967) l’arrivo con la mamma nella Città eterna.

“Fuggii con mia madre (…) Andavamo verso Roma (…) Ho vissuto quella pagina di romanzo, l’unica della mia vita: per il resto – che volete – sono vissuto dentro una lirica, come ogni ossesso”.

Arrivò, quando il Cristianesimo celebra l’Anno Santo:

“Piazza S. Pietro è orribile (…) un prete canta con voce esemplare certe canzoni così stupide da offendere non solo il buon gusto, ma Cristo, Cristo stesso. E’ una religiosità senza colore, grigia, piatta, parrocchiana, uno fra i prodotti più diretti e sconfortanti di Eva. (…) Davanti a questi spettacoli l’esplosione atomica non scandalizza più: il suicidio è urgente” (“Alì dagli occhi azzurri” 1965)

Descrisse anche la casa, nei pressi del carcere romano di Rebibbia (estrema periferia di Roma) dove avrebbe abitato nei primi mesi di permanenza:

“Abitammo in una casa senza tetto e senza intonaco,

una casa di poveri, all’estrema periferia, vicino a un carcere.

C’era un palmo di polvere d’estate, e la palude d’inverno.

Ma era l’Italia, l’Italia nuda e formicolante,

coi suoi ragazzi, le sue donne,

i suoi “odori di gelsomini e povere minestre”,

i tramonti sui campi dell’Aniene, i mucchi di spazzature:

e, quanto a me,

i miei sogni integri di poesia”

(Poeta delle Ceneri 1966 – 1967)

Racconta ancora di quel periodo così difficile, ma di virulente rinascita:

“(…) Nuovo

Nella mia nuova condizione

Di vecchio lavoro e di vecchia miseria,

i pochi amici che venivano

da me, nelle mattine e nelle sere

dimenticate sul Penitenziario,

mi videro dentro una luce viva:

mite, violento rivoluzionario

nel cuore e nella lingua. Un uomo fioriva.

(“Il pianto della scavatrice, da “Le ceneri di Gramsci” 1957)

INSEGNANTE IN UNA SCUOLA PRIVATA

Per guadagnarsi da vivere, riuscì a trovare un posto da insegnante presso una scuola di Ciampino:

“Ora vivo a Roma (…) lavoro come un negro, facendo scuola a Ciampino (20.000 mensili!) dalle sette del mattino alle tre del pomeriggio, e lavoro abbastanza alle mie cose, cioè soprattutto a un romanzo “Il Ferrobedò”) (lettera a Gianfranco Contini, 21 gennaio 1953).

“RAGAZZI DI VITA”

Pasolini s’immerse nella realtà delle borgate, meditando un romanzo, in cui avrebbe usato il linguaggio dei “borgatari”: nella sua mente “Il Ferrobedò” diventò “Ragazzi di vita”.

“Il romanzo nelle linee generali è pronto (…) è impossibile riassumere decentemente la trama, poiché una trama nel senso convenzionale non c’è. (…) La mia poetica narrativa consiste nell’incatenare l’attenzione sui dati immediati (…) che trovano la loro collocazione in una struttura o arco narrativo ideale, che coincide poi col contenuto morale del romanzo. Tale struttura si potrebbe definire con la formula generale: l’arco del dopoguerra a Roma, nel caos pieno di speranze dei primi giorni della liberazione alla reazione del ’50 – ’51. E’ un arco ben preciso che corrisponde col passaggio del protagonista e dei suoi compagni (il Riccetto, Alduccio ecc.) dall’età dell’infanzia alla prima giovinezza: ossia (e qui la coincidenza è perfetta) dall’età eroica e amorale all’età già prosaica e immorale”. (lettera all’editore Livio Garzanti, novembre 1954).

L’Editore mostrò tutte le sue perplessità per l’argomento del romanzo:

“(…) Garzanti all’ultimo momento è stato preso da scrupoli moralistici e si è smontato. Così mi trovo con delle bozze morte tra le mani, da correggere e da castrare. Una vera disperazione, credo di non essermi trovato mai in un più brutto frangente letterario…”. (lettera a Vittorio Sereni, 9 maggio 1955).

Pasolini fu costretto, suo malgrado, a rivedere, dietro i suggerimenti dell’editore, la terminologia:

“Come vede, ho sostituito con puntini tutte le brutte parole, con rigorosa omologazione. Ho attenuato gli episodi più spinti (…) ho sfrondato notevolmente (…) insomma ho fatto tutto quello che potevo fare, con molta buona volontà”. (Lettera a Livio Garzanti, 11 maggio 1955)

Seconda sala. 1955 al 1960

UNA NUOVA CASA

Si trasferì a vivere in Via Fonteiana 86, nel bel quartiere di Monteverde Nuovo; aprì un ufficio in Via Carini, 45 dove avrebbe partorito il suo primo romanzo: “Ragazzi di vita”, che avrebbe irrotto nel cerchio della vita intellettuale, facendo entrare nella letteratura italiana il gergo dei ladruncoli e delle prostitute delle borgate e il dialetto romanesco.

Nel mese di Aprile, l’Autore consegnòle bozze a Garzanti per la pubblicazione. Il romanzo sarerebbe stato scartato al Premio Strega, ottenendo comunque un gran successo di pubblico, tantoché lo Scrittore inviò la seguente lettera all’editore Garzanti, in cui parlò del libro, già in cantiere:

“Sto già lavorando al secondo libro (titolo provvisorio, ma già annunciato in una intervista che sono venuti a farmi alcuni tipi dell’Agenzia Italia: “Una vita violenta”, che potrebbe anche essere: “Morte di un ragazzo di vita”), meno allegro, forse, ma più narrativamente concentrato su un personaggio” (lettera a Livio Garzanti 2 luglio 1955)

Mentre il Poeta si affannava attorno alla sua seconda opera, che racconterà, ancora una volta, la vita dei “borgatari romani”; il 4 luglio 1956, in compagnia dell’editore Livio Garzanti comparì in Tribunale per una denuncia della Presidenza del Consiglio contro il romanzo per “contenuto osceno” (come recita la copertina esposta di “Paese sera del 18 gennaio 1956). Il Romanziere fu assolto, perché “il fatto non costituisce reato”, grazie anche agli interventi, a difesa del poeta, di Alberto Moravia, Giuseppe Ungaretti, Attilio Bertolucci, Carlo Bo.

IL CINEMA.

Il successo del romanzo qualificò Pasolini come profondo conoscitore della realtà del sottoproletariato, per cui la sua consulenza diventò preziosa per diversi cineasti. Grazie alla collaborazione a diverse sceneggiature, il Poeta, finalmente, riuscì ad uscire dalla miseria, abbandonando il posto di insegnante di Lingua italiana presso la scuola di Ciampino. Incontrò Federico Fellini, che gli affidò la stesura di alcune scene de “Le notti di Cabiria” e de “La dolce vita” (bellissima la foto, che ritrae l’Intellettuale con Marcello Mastroianni, sul set del celeberrimo film), di cui si può visionare una parte della sceneggiatura di una scena (Scena 14. Esterno Valle Giulia. Notte).

Ancora altri dattiloscritti del Poeta: un pratico quanto curioso dizionarietto italiano – romanesco; con una linea orizzontale sono vergate tutte le parole dialettali.

PASOLINI NELLE BORGATE DI ROMA

Tante le fotografie di Pasolini nelle borgate romane: al Mandrione, al Quarticciolo, a Cinecittà; tanti orribili palazzoni e prati abbandonati, sui quali gioca a calcio con i “ragazzi di vita”.

PASOLINI NEL MONDO CULTURALE ROMANO.

Pasolini frequentò Alberto Moravia ed Elsa Morante, Carlo Levi, Roberto Rossellini, Goffredo Parise; i punti di ritrovo erano i ristoranti di Via dell’oca e di Via della Penna come pure “il Bolognese” a piazza del Popolo.

Terza sala. 1961 al 1963

In una teca, molti documenti del Poeta; ce n’è davvero uno interessante e molto intenso, che parla della morte del fratello partigiano, Guido:

“Io, poco più grande di lui, l’avevo convinto all’antifascismo più acceso, (…) dopo pochi mesi, egli è partito per la montagna, dove si combatteva (…) l’ho accompagnato al treno con la sua valigetta, dov’era nascosta la rivoltella dentro a un libro di poesia. Ci siamo abbracciati, era l’ultima volta che lo vedevo. (…) egli si era arruolato nella divisione “Osoppo”, che operava nella zona della Venezia Giulia. (…) Egli morì (il 12  febbraio 1945) in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per correre in aiuto  del suo comandante e dei suoi compagni”. (“Vie Nuove” n. 28 del 15 luglio 1961)

I VIAGGI IN TERRA D’ORIENTE

Con l’amico Alberto Moravia, compì un viaggio in India, il cui ricordo sarà composto ne “L’odore dell’India”; libro, che uscirà nel 1961 e che si può ammirare con un quaderno di appunti: la grafia minuta, regolare, ordinata.

IL REGISTA

Pasolini volle esordire dietro la macchina da presa e girò “Accattone”. Belle le foto di Tazio Secchiaroli, scattate durante i sopralluoghi per il film. Delle baracche costruite su strade sterrate ed al centro un’altalena; una mamma con i suoi quattro figli male abbigliati; delle automobili scassate parcheggiate in modo disordinato; Pasolini che dialoga con un bambinetto; un ortolano che tira il carretto pieno di frutta. Fellini, che va a trovare Pasolini sul set, il produttore Alfredo Bini e lo stesso regista, che dirige il film e, durante la pausa, non esita ad improvvisare una partita di calcio con la troupe.

Egli stesso così parlò di “Accattone”: la sua fonte d’ispirazione fu la pittura.

“In Accattone non c’è mai un’inquadratura, in primo piano o no, in cui si veda una persona di spalle e di quinta; non c’è mai un personaggio che entri in campo e poi esca di campo; non c’è mai l’uso del dolly coi suoi movimenti sinuosi, “impressionistici”, rarissimamente vi sono dei primi piani di profilo o, se ci sono, sono in movimento. Per me tutte queste caratteristiche (…) sono dovute al fatto che il mio gusto cinematografico non è di origine cinematografica, ma figurativa. Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo sono gli affreschi di Masaccio, di Giotto – che sono i pittori che amo di più, assieme a certi manieristi (per esempio il Pontormo). E non riesco a concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica, trecentesca, che ha l’uomo come centro di ogni prospettiva. (…) (“Diario al registratore” 1962).

Il 1962 fu l’anno di “Mamma Roma”; il regista scelse Anna Magnani quale protagonista; “da brivido” i tanti “scatti” rubati dal set, in cui la forza espressiva di Nannarella sembra squarciare la carta fotografica!

Pasolini, abituato a lavorare con attori non professionisti, si trovò in difficoltà con la recitazione professionistica della Magnani e con la sua ossessione per un naturalismo, basato sull’imitazione della realtà. In una teca, sono conservati dei fogli, che raccolgono le impressioni dei due grandi Professionisti.

ANNA: (…) Tu funzioni  con gli attori, che prendi e plasmi come una materia grezza. Essi, pur con la loro intelligenza istintiva, sono dei robot nelle tue mani. Ora, io non sono un robot, io ho avuta la tua sceneggiatura per tre mesi, l’ho letta almeno quattro volte, ne ho analizzato il più piccolo stato d’animo, il più importante, il più sottile. Ora da attrice (no, io detesto essere chiamata così!), da animale istintivo quale sono! Mi sono messa dentro a questo tuo personaggio. (…) Dentro di me c’è una lotta: da una parte sento che dovrei funzionare lo stesso come vuoi tu, anche con le mie sole facoltà interpretative, dall’altra vedo che non sempre le nostre interpretazioni del tuo personaggio coincidono (…).

PIER PAOLO: (…) Ma questa è una difficoltà che io avevo calcolato, Anna. Amalgamare te con gli altri era il problema principe del mio nuovo lavoro di regista; ne avevo piena coscienza all’inizio del film (…).

ANNA: (…) Io credo che la via d’intesa tra due persone intelligenti si trovi sempre. (…) D’altronde, io ho la sensazione di funzionare senza avere la coscienza di quello che faccio; invece, io ho bisogno assoluto, di avere questa coscienza (…).

PIER PAOLO: Questo, più che chiedertelo, lo pretendo (…)  (“Diario del registratore” 1962)

 Su dei fogli, ingialliti dal tempo, il Regista disegnò, con una biro blu, le scene del film, corredate da molte indicazioni.

Dello stesso anno “La ricotta”, protagonista Orson Welles, immortalato in tante immagini; film che sarà accusato di vilipendio alla religione. Il regista risponderà, punto per punto, ad ogni attacco, fornendo una chiave interpretativa simbolica sull’ampio uso di alcuni emblemi cattolici.

Il regista fu condannato a quattro mesi di reclusione con la condizionale.

IL RAPPORTO CON LA MADRE

Diverse sono le foto, che ritraggono lo Scrittore con la mamma nella casa, che acquistò nella zona dell’EUR, in Via Eufrate 9. L’amore, che nutrì il Poeta, fu immenso, forse condensato in una bellissima poesia, di cui è esposta una copia autografa.

Supplica a mia madre

E’ difficile dire con parola di figlio

ciò a cui nel cuore ben poco ti assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,

ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:

è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.


Sei insostituibile. Per questo è dannata

alla solitudine la vita che mi hai data.


Non voglio essere solo. Ho un’infinita fame

d’amore, dell’amore di corpi senz’anima.


Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu

sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:


ho passato l’infanzia schiavo di questo senso

alto, irrimediabile, di un impegno immenso.


Era l’unico modo per sentire la vita,

l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.


Sopravviviamo: ed è la confusione

di una vita rinata fuori dalla ragione.


Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.

Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

(25 aprile 1962)

Quarta sala. 1963 al 1966;

L’INCONTRO CON NINETTO DAVOLI.

E’ lo stesso Ninetto a raccontare, quando incontrò il Regista e, immediatamente, diventeranno inseparabili: sul set e nella vita.

NINETTO: Mio fratello lavorava come attrezzista in un film di Pier Paolo. Io, un giorno, andai a trovarlo sul set e mi presentò Pier Paolo, il quale mi sorrise, facendomi una carezza sulla testa. Qualche mese dopo, mio fratello mi avvisò che Pier Paolo stava per iniziare le riprese del “Vangelo secondo Matteo” e voleva affidarmi una parte. (…) Frequentando Pier Paolo, la mia vita cambiò radicalmente; conobbi Moravia, Laura Betti, Sandro Penna. (…) Era un mondo che, sinceramente, non capivo, me faceva “venì er mal de pancia, nun capivo cosa dicevano”. Pier Paolo, quando parlava con me, non lo capivo e quando interveniva in una conferenza stampa, io scappavo. (…) Un giorno mi propose di lavorare con Totò. Pier Paolo mi disse che m’avrebbero pagato: ottocentomila o forse un milione. Io gli risposi: “Me pagano e lavoro con Totò? Ma chi, Totò quello del cinema?” Lui rispose di si. (…) Andammo insieme a conoscerlo. Abitava ai Parioli; indossai dei jeans ed una camicia, Pier Paolo in cravatta. Totò abitava in un palazzo con un portone gigante, sembrava più grosso di tutta casa mia. (…) Arrivati sul pianerottolo, Pier Paolo si sistema la camicia ed io i capelli; suoniamo e chi ci apre? Totò; lui, in persona, con una vestaglia rosso cardinale con due pompon ed io iniziai a ridere a crepapelle e Pier Paolo, che cercava di frenare queste mie risa. Totò intervenne subito: “Lascia sta’, Pier Paolo, è un ragazzo”. (…) A me pareva di sognare (…). Qualche tempo dopo, Franca Faldini mi raccontò che, appena io e Pier Paolo fummo congedati, Totò si armò di DDT, per spruzzarlo nei luoghi dove m’ero seduto, perché pensava che fossi pieno di pidocchi! (…) Tra Totò e Pasolini c’era un grande rispetto, anche troppo. Pier Paolo era così timido che dava del lei anche ad un cane; Totò, lo stesso. (…) Pier Paolo lo chiamava Antonio; Totò, Maestro. (…) Pier Paolo pensava che Totò fosse potenzialmente più grande di Charlot e Buster Keaton, ma era stato utilizzato male; fortunatamente con Pier Paolo ha avuto un ruolo alla sua altezza, grazie al quale partecipò al Festival di Cannes.

COMIZI D’AMORE

Altre immagini in bianco e nero: Pasolini alla guida di un’automobile, mentre parla con dei ragazzi, dialoga con degli anziani. Percorre l’Italia in lungo e largo, microfono alla mano, per intervistare gli italiani sulla loro idea di sessualità.

“La gente risponde. Un turbinio, un caos, una babilonia di opinioni diverse. Le più ridicole, le più inconcepibili e contraddittorie. E ingenue, infantili, scandalizzate, apparentemente sensate, in realtà prive di ogni senso logico. (…) (“Comizi d’amore, 1963)

IL VANGELO SECONDO MATTEO.

Dopo un sopralluogo in Palestina, giudicato deludente, in  pochi giorni, girando in macchina, Pasolini trovò, da solo, tutte le ambientazioni per il film in Italia meridionale.  Dedicato a Giovanni XXIII, provocò polemiche al Festival di Venezia, dove vinse il Premio speciale della Giuria.

(…) Dal punto di vista religioso, per me, che ho sempre tentato di recuperare al mio laicismo i caratteri della religiosità, valgono due dati ingenuamente ontologici: l’umanità di Cristo è spinta da una tale forza interiore, da una tale irriducibile sete di sapere e di verificare il sapere, senza timore per nessuno scandalo e nessuna contraddizione, che per essa la metafora “divina” è ai limiti della metaforicità, fino ad essere idealmente una realtà. Inoltre per me la bellezza è sempre una “bellezza morale”: ma questa bellezza giunge sempre a noi mediata: attraverso la poesia o la filosofia o la pratica: il solo caso di “bellezza morale” non mediata, ma immediata, allo stato puro, io l’ho sperimentata nel Vangelo. (…) L’idea di fare un film sul vangelo, e la sua intuizione tecnica, è invece, devo confessarlo, frutto di una furiosa ondata irrazionalistica. (…) Tutto questo rimette pericolosamente in ballo tutta la mia carriera di scrittore, lo so. Ma sarebbe bella che, amando svisceratamente il Cristo di Matteo, temessi poi di rimettere in ballo qualcosa. Tuo Pier Paolo Pasolini (lettera ad Alfredo Bini, 12 maggio 1963)

Sorprendente (almeno per il sottoscritto) il contenuto di un’altra lettera esposta e scritta allo scrittore Evtuscenko:

(…) Vorrei che tu facessi la parte di Cristo nel mio film sul Vangelo secondo Matteo. (…) Tu forse sai che io, non essendo un regista…serio, non cerco i miei interpreti fra gli attori: finora, per i miei film sottoproletari, li ho trovati, come si dice in Italia, “per strada”. Per Cristo, un “uomo della strada” non poteva bastare: alla innocente espressività della natura, bisognava aggiungere la luce della ragione. E allora ho pensato ai poeti. E pensando ai poeti ho pensato per primo a te. Tutto il mondo troverà strano che io abbia scelto per Cristo, proprio te, un comunista. (lettera a Evgeny Evtuscenko, 1963)

Quinta sala. 1966 al 1974

UCCELLACCI E UCCELLINI.

“L’idea del corvo è passata attraverso varie fasi. Prima si trattava di uno spirito saggio, di un sapiente, in fondo un semplice moralista (…). Poi da moralista è passato a filosofo. (…) Questo filosofo è stato allora, dapprima, un saggio “reale”, che cerca, attraverso una scandalosa e anarchica realtà, la realtà empirica ed assoluta, non sistematica, nelle cose. (…) un Socrate sublime e ridicolo, che non si arresta davanti a nulla (…) Ho scritto la sceneggiatura, tenendo dunque presente un corvo marxista (…) A questo punto, il racconto è diventato autobiografico (…) Ma l’autobiografia si manifestava soprattutto nel tipo di marxismo del corso. Un marxismo, cioè, aperto a tutti i possibili sincretismi, contaminazioni e regressi, (…) Il corvo “doveva essere mangiato”, alla fine; (…) perché, da parte sua, aveva finito il suo mandato, concluso il suo compito. (…) L’epigrafe da mettere in testa al racconto del corvo era una frase di Mao: “Dove vanno gli uomini? Saranno nel futuro comunisti o no? Mah! Probabilmente non saranno né comunisti né non comunisti…Essi andranno, andranno avanti, nel loro immesno futuro, prendendo dall’ideologia comunista quel tanto che può essere loro utile, nell’immensa complessità e confusione del loro andare avanti” (Uccellacci e uccellini, 1966)

PASOLINI E IL SESSANTOTTO.

La poesia Il PCI ai giovani! Fu scritta all’indomani degli scontri tra gli studenti e la polizia, avvenuti a Valle Giulia a Roma il 1° marzo 1968; sorprendentemente, il Poeta si schierò con i poliziotti.

(…) Avete facce di figli di papà.

Buona razza non mente.

Avete lo stesso occhio cattivo.

Siete paurosi, incerti, disperati

(benissimo!) ma sapete anche come essere

prepotenti, ricattatori e sicuri:

prerogative piccolo – borghesi, amici.

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte

coi poliziotti,

io simpatizzavo coi poliziotti!

Perché i poliziotti sono i figli dei poveri.

(Il PCI ai giovani! 1968)

TEOREMA

Alcune foto di scena, che ritraggono una sensualissima Silvana Mangano, protagonista del film.

MEDEA

Le foto per i sopralluoghi per la “Medea” aprono il capitolo dedicato all’intenso rapporto tra il grande soprano ed il Regista. La Callas, ormai lontana dalle scene liriche, che l’avevano vista protagonista assoluta, è la protagonista del film, girato dal Cineasta bolognese.

LA TRILOGIA DELLA VITA: IL DECAMERON, I RACCONTI DI CANTERBURY, IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE

Decameron
I racconti di Canterbury

“Voglio divertirmi e divertire il pubblico. Voglio far rivivere un mondo popolare che si sta perdendo completamente (…) Forse molti telespettatori si chiedono che cosa rappresenta per me il Decameron e si chiederanno che cosa ho voluto dire con questo affresco dei racconti di Canterbury (…) La risposta è semplice: il mondo della mia ingenuità. (…) Le mille e una notte, ci sarà lo stesso sentimento della vita, in cui non esistono grandi problemi o, se ci sono, sono soltanto vissuti. (“La domenica del Corriere” 1° febbraio 1972)

Il fiore delle mille e una notte

PASOLINI E LA TV

Verso il potente mezzo di massa, Pasolini accese una forte polemica, come riportato in un articolo, scritto dal Poeta, su “Paese sera” dell’8 ottobre 1972.

(…) Ho visto sfilare in quel video (…) un’infinità di personaggi: la corte dei miracoli d’Italia. (…) Ebbene la televisione faceva e fa, di tutti loro, dei buffoni: riassume i loro discorsi facendoli passare per idioti (…) Il video è un’orribile gabbia che tiene prigioniera l’Opinione pubblica – “servilmente servita per ottenere il totale servilismo” – l’intera classe dirigente italiana (…) (“Paese sera, 8 ottobre 1972)

LA COLLABORAZIONE CON IL “CORRIERE DELLA SERA”

Il 7 gennaio 1973, Pasolini iniziò a collaborare col “Corriere della sera”, il più importante quotidiano italiano, di proprietà della migliore borghesia milanese. La sua “Tribuna aperta” conquistò rapidamente la prima pagina del giornale. Gli articoli pubblicati saranno poi raccolti nel volume “Scritti corsari”. Celebri gli articoli sui Capelloni e, forse, il più famoso:

“Io so” (…) Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.(Corriere della sera, 14 novembre 1974)

Ultima sala.1975.

SALO’

“Il potere è codificatore e rituale e anche i gesti erotici lo sono e, siccome appunto la gesticolazione è sempre la stessa e si ripete eternamente uguale, risulta che la gestualità sodomitica è la più tipica di tutte, perché è la più inutile, quella che meglio riassume la ripetitività dell’atto (…) (un’intervista data a Gideon Bachmann, agosto 1975)

PETROLIO.

Lo scrittore ha cominciato a porre mano nella primavera – estate 1972, prima ancora di consegnare al “Corriere” i suoi articoli. Petrolio vuol essere una spietata riflessione sul Potere e la summa dell’intera opera pasoliniana: non meno di duemila pagine (ne riuscirà a scrivere soltanto seicento), intervallate da fotografie, documenti d’epoca e persino filmati.

LA FINE

Ostia: 2 novembre 1975. Il corpo dello Scrittore fu ritrovato esanime; ucciso da Pelosi detto la Rana? Il dottor Faustino Durante dimostrò che il Poeta era stato ucciso da più persone, ma i giudici credettero nella deposizione del Pelosi, che durante il processo si autoaccusò  e fu condannato a 9 anni e 7 mesi per concorso in omicidio volontario in concorso con ignoti.

Il 7 maggio 2005 Pelosi ritrattò la prima versione dei fatti, proclamandosi innocente ed accusò, ignorando l’identità, tre persone. La magistratura riapre il caso. Il 2 marzo 2009, Marcello Dell’Utri dichiarò di essere il possessore del capitolo mancante di “Petrolio”, in cui Pasolini analizzava la morte di Enrico Mattei.

Nel 2011 ancora Pelosi dichiarò che lo scrittore fu attirato in un tranello all’idroscalo di Ostia, dove avrebbe recuperato alcune bobine, in precedenza rubate, di “Salò”.

Insomma, l’uomo che cercò di dipanare i tanti, i troppi misteri italiani, fu, a sua volta, dentro ad un mistero: la sua vita, la sua straordinaria vitalità, la sua passione di vivere. Tutto ha avuto una fine terribile, oscena, tremenda il 2 novembre 1975.

Così morì un Poeta.


(Le note sono state trascritte dalla bellissima guida alla Mostra “Pasolini Roma” edita da Skira).

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