L’«Amor di fama» si finge con un fanciullo coronato di lauro, che offrirà, colla mano destra, la Corona Civica, onorificenza della Repubblica e dell’Impero romano al valore civile; e colla sinistra la Corona Ossidionale, onorificenza della Repubblica e dell’Impero romano al valore militare. Vicino si scorgerà un piedistallo, sopra il quale saranno adagiate la Corona Murale, Castrense e Navale.
Aulio Gellio commentava che la Corona trionfale d’oro, anticamente di lauro, si concedeva per il trionfo del Capitano o dell’Imperatore, mentre la Ossidionale era di gramigna e riservata, per premiare coloro che avessero salvato l’esercito.
La Corona Civica era di quercia, le cui foglie ornavano le statue di Giove, perché significasse un canto alla vita, in quanto il ricevente aveva salvato da sicura morte un cittadino romano.
La Corona Murale, merlata, si donava al Soldato, che per primo era riuscito a montare sulle mura del nemico.
Per chi fosse entrato dentro i bastioni e negli alloggiamenti dei nemici, era riservata la Corona Castrense.
La Corona Navale, infine, era invece dedicata a chi fosse stato il primo a montare sull’armata nemica
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FATTO STORICO SACRO
San Girolamo non stimò deplorevole il desiderio della Fama, come Sant’Agostino, nelle Confessioni, trattò dei suoi difetti per la sua gloria. Egli rammentò che desiderare la Fama fosse un ottimo esercizio di Virtù, se fosse stato regolato secondo quanto prescritto dai precetti.
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FATTO STORICO PROFANO
Erostrato di Efeso intendeva consegnare il suo nome ai posteri, nel nome di un’impresa memorabile. Essendo l’animo suo pervaso da quel solo desiderio, incendiò il tempio più bello, dedicato a Diana, costringendo i cittadini a promulgare un decreto, con cui si dichiarava che il cittadino Erostrato non fosse più nominato da alcuno, affinché il ricordo morisse con la fine della sua vita. La decisione non si mostrò per nulla saggia, perché oggi il nome di Erostrato è ricordato quale incendiario (Valerio Massimo, storico romano).
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FATTO FAVOLOSO
Giasone fu da subito perseguitato dallo zio, Pelia, il quale aveva più volte ordito degli attentati alla sua vita. Egli conosceva la brama del nipote di consegnare il suo nome ai posteri, sicché lo invitò a recarsi nella Colchide, affinché conquistasse il vello d’oro, sapendo che sarebbe caduto vittima del drago, che n’era custode. Giasone armò la miglior gioventù, sicuro della riuscita, quando si garantì l’aiuto della strega Medea, figlia del re dei Colchi. (Ovidio, Diodoro Siculo).