Brevi note sulla «Messa da Requiem» di Gaetano Donizetti

Vincenzo Bellini (1801 – 1835)

La Messa fu composta in occasione della scomparsa di Vincenzo Bellini, a cui Donizetti era particolarmente legato nei segni dell’amicizia e dell’ammirazione. Più volte, nel corso degli anni, le carriere dei due musicisti si erano incrociate: a Genova con Bianca e Fernando e la Regina di Golconda, dove si esibiva Giuditta Turina; al Teatro Carcano di Milano con Sonnambula e Anna Bolena ed infine a Parigi con Puritani e Marin Faliero.

Nell’autunno del 1835, giunse l’inaspettata notizia della morte di Bellini, mentre Lucia di Lammermoor a Napoli trionfava, dopo la prima rappresentazione celebrata il 26 settembre. Donizetti, già provato dalla malattia che lo avrebbe condotto in seguito all’infermità, fu colto da un grande e sincero dolore.

Andrea Maffei (1798 – 1885)
Giovanni Ricordi (1785 – 1853)

Giovanni Ricordi gli suggerì di musicare un lamento di Andrea Maffei, composto per l’occasione; rispose il 17 ottobre il musicista:

«Dal letto con un fierissimo mal di testa! Io stesso mi esibii di battere al Conservatorio la Messa di Winter per le esequie dello sventurato Bellini; ora mi si pregava di fare una Messa a posta e pur vi acconsentii, per terzo mi si dice che ciò avrà luogo al 2 dicembre. Essendo allora troppo tardi e non trovandomi in Napoli per dirigere, resterò forse libero del tutto e potrò servire a dimostrare al pubblico di Milano di quale forza era l’amicizia che a Bellini mi legava. Ma di tutto ciò nulla posso dirti ora sino a martedì (oggi è sabato). Manda le parole. Se non potrò, sarà causa la Messa che faccio qui».

Il 20 ottobre:

«Sono ben felice di potere in Milano dare l‘ultimo attestato di mia amicizia all’ombra del povero Bellini, col quale quattro volte mi trovai a scrivere, ed ogni volta vieppiù la nostra relazione si stringeva. Già io stesso mi ero esibito perché alla Filarmonica si facesse cosa che attestasse il comune dolore. La partenza di un istigatore lasciò la cosa sospesa! Doveva ora battere la Messa al Conservatorio, e di già l’avevo cominciata, ma l’esecuzione avendo luogo in dicembre mi impediva dal dirigerla, e me ne doleva! Tutto ciò che io preparava era annullato dal destino, che mi aveva fissato per Milano, e ben felice di far questo, non sto che in aspettativa de’ bei versi del chiarissimo Maffei, che avrò doppio soggetto a piangere, cioè la morte di un amico, e l’unione de’ suoi versi alla mia musica. Io ho molto a fare, ma un’attestazione d’amicizia al mio Bellini va avanti a tutto».

Intanto Donizetti completò la composizione del Belisario, che sarebbe andato in scena il 4 febbraio 1836 presso il Teatro La Fenice di Venezia; diresse la messa in scena, il 30 dicembre 1835, della Maria Stuarda alla Scala ed i gravosi impegni rimandarono il progetto della Messa, la quale sarebbe stata licenziata priva del Sanctus e Benedictus e dell’Agnus Dei.

Presto sarebbe stata dimenticata e la prima esecuzione sarebbe avvenuta a Lucca nel 1870, ben 22 anni dopo la morte di Donizetti, grazie alla pubblicazione della parte per canto e pianoforte dell’editore Lucca, ma non colse il meritato successo.

Un’ulteriore esecuzione sarebbe avvenuta nel 1875, in occasione della doppia traslazione dei resti di Mayr e Donizetti presso la Basilica di Bergamo.

Umberto Giordano (1867 – 1948)

In tempi moderni, la prima esecuzione avvenne l’8 aprile 1948, per il primo centenario della morte del Compositore, dopo il discorso commemorativo, tenuto da Umberto Giordano. La stampa milanese l’indomani notò l’intensità lirico – drammatica all’interno di una sicurezza strutturale – compositiva, dove la linea melodica decantava con soffuso lirismo. Si rivelò l’originalità della fattura musicale, così lontana e distante dal Donizetti operista.

Il Requiem si apre con un disegno corale insistente su note ribattute, seguito da una quinta discendente all’interno di una progressione, che instaura così un clima armonico instabile. Simile condizione non è ravvisabile in altri luoghi donizettiani, laddove si compie una riuscita amalgama tra echi classici e forte emotività individuale e romantica. L’austerità, la tristezza denominano il timbro unitario del brano corale. Nel Te decet hymnus si rivela la tenera dolcezza, mentre il battito sommesso di affetti situa In memoria aeterna, cui segue l’agitazione del Kyrie composto nell’aggressivo fugato, precedente il drammatico Dies irae, quale anticipazione dell’omonimo verdiano. Il Tuba mirum è affidato al terzetto di voci maschili, in un incessante movimento formale, dove variano gli atteggiamenti dello stile ed il linguaggio presenta delle variazioni sostanziali. L’inclinazione lirica sboccia nell’Iudex ergo, per tenore e basso con accompagnamento d’archi, nel quale si profila un dialogo tra violino e violoncello solisti. L’Ingemisco, per tenore solo, presenta velature quasi schubertiane, per descrivere l’affettuoso pudore del testo. Echi mozartiani si rivelano nel Preces meae, per contralto, tenore e basso; Donizetti conosceva i lavori del Salisburghese. L’Amen e il Lacrymosa sostanziano un taglio architettonico estremamente mutato, con risvolti quasi barocchi. Nel Libera me domine, le incisioni corali accompagnano il classicheggiare delle quartine degli archi; in sovrapposizione gli ottoni tendono a creare una riuscita timbrica estremamente moderna. Il Requiem finale, in una figurazione ritmica nuova, presenta un declamato sereno e rasserenato, perché la vita continua dopo la morte.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo:
search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close