Il sonetto, composto da due quartine e due terzine, ubbidisce alle rime ABBA ABBA CDC DCD. Fu scritto il 10 settembre 1830 e narra della statua di Marco Aurelio, che troneggiava sul colle Campidoglio.
Il protagonista ricorda quando Tito vendette degli appartenenti al popolo ebraico nel mercato; Cleopatra gettò dalla rupe Tarpea il marito. Quindi l’attenzione si sposta sulla statua di Marco Aurelio, che si trovava al centro della piazza, perché, secondo l’archeologo Carlo Fea (1753 – 1836), Commissario delle antichità, internamente era rivestita d’oro. Quando a causa delle intemperie l’oro fosse completamente scoperto, si sarebbe avvicinato il giorno del Giudizio universale.
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Ècchesce ar Campidojjo, indove Tito
Venne a mmercato tanta ggente abbrea.
Questa se chiama la Rupa Tarpea,
Dove Creopatra bbuttò ggiù er marito.
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Marcurelio sta quà ttutto vestito
Senza pavura un c…. de tropea.
E un giorno, disce er zor abbate Fea.
Ch’ ha da esse oro infinamente a un dito.
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E si ttu gguardi er culo der cavallo
E la faccia dell’omo, quarche innizzio
Già vederai de scappa ffora er giallo.
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Quanno è poi tutta d’ oro, addio Donizzio:
Se va a ffà fotte puro er piedistallo,
Che amanca poco ar giorno der giudizzio.
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(Eccoci al Campidoglio, dove Tito / vendette al mercato degli ebrei. / Questa si chiama Rupe Tarpea / Da dove Cleopatra precipitò il marito /
Marco Aurelio (la statua) lo vediamo completamente vestito / Che non mostra affatto delle intemperie. / E un giorno, affermò l’abate Carlo Fea / che (la statua) fosse completamente d’oro comprese le dita /
Se guardi il sedere del cavallo / e la faccia di Marco Aurelio / vedrai delle zone giallo – oro /
Quando sarà tutta d’oro, addio Dionisio / anche il piedistallo si farà imbrogliare / poiché mancherà poco al giorno del Giudizio universale)