Nella Quattordicesima omelia, Agostino pone in analisi l’opera di Giovanni in preparazione alla venuta di Cristo, rilevando come il Battista fosse legato alla parte dell’anno, in cui il Sole decresce, mentre il Salvatore coincidesse con la parte solare crescente. Un chiaro simbolo d‘identificazione, in cui al decrescere dell’uno corrisponde il crescere dell’uomo. Minore sarà lo spazio riservato alla nostra parte umana, maggiore sarà lo spazio riservato alla nostra parte divina. E’ d’uopo che l’uomo ricerchi in sé la volontà di porre freno all’attività del proprio Io, primitiva ed autoctona visibilità dell’essere, per scoprire e sfrondare il suo Io divino, che è completamente staccato dal desiderio, dal possesso, dall’avere. Grazie a questa chiara, inequivocabile scelta, crescerà – secondo Agostino – il sentimento di gioia e leggerezza nell’uomo, che si appresta a svegliare la sua divinità sopita, mentre chi rimarrà schiavo delle sue passioni rischierà di vedere consunta e bruciata la gioia derivante dal possesso, poiché tutto ciò che è legato alla materia è destinato alla consunzione, che porta con sé aneliti di tristezza e caducità.
Può la natura divina, in quanto divina, crescere o deperire? E’ chiaro che si tratti di un’espressione meramente simbolica, poiché il divino è, perché essendo divino non è soggetto a cambiamenti ed alterazioni di stato. Al fine di render più chiari i suoi intendimenti, Agostino paragona il risveglio divino dell’uomo ad un cieco, che un poco alla volta può riconquistare la vista. Egli crede che diminuisca la cecità (la natura umana) e cresca quella divina (la riconquista della vista), ma in verità la Luce è. Colui che acquista un poco alla volta la vista riesce a ricevere tanta Luce quanto sia in grado di sopportare questa nuova dimensione della e nella bellezza del creato. Quindi, apparirà un errato crescendo, dovuto esclusivamente alle reali capacità dell’uomo, che può scoprire la propria divinità un poco alla volta, come, appunto, il cieco, che può vedere per la prima volta.