Giovedì 26 giugno 1924, il quotidiano La Stampa si concentrò sull’analisi politica dopo l’intervento di Benito Mussolini al Senato, seguito dal requisitorio atto verbale del senatore Albertini.
Il discorso del Duce alla Maggioranza. «Alle 10,15 il presidente del Consiglio, accompagnato dai ministri e sottosegretari di Stato, ha fatto il suo ingresso, accolto da una acclamazione di tutti i deputati della Maggioranza presenti, per pronunziare il seguente discorso:
«Dopo l’ultima riunione tenuta in questa stessa sala, or sono tre o quattro settimane ad oggi, avvenimenti gravissimi si sono prodotti nel Paese, che hanno determinato una situazione molto delicata, che richiese vigile senso di responsabilità in tutti voi, in particolare, ed in tutti gl’Italiani, in generale.
Vi sono stati l’assassinio del deputato Matteotti e le ripercussioni assai vaste che questo delitto ha prodotto nella Nazione, e particolarmente nella capitale. Per quindici giorni Governo, Fascismo, Maggioranza si sono trovati, bisogna riconoscerlo, in una specie di disagio morale perché non tutto il quadro del dramma era completo, non tutte le responsabilità apparivano chiare. Poi, soprattutto, i colpevoli, o i presunti colpevoli, non erano stati arrestati. La coscienza pubblica aveva quindi motivo di essere inquieta.
Oggi, per quello che riguarda il fatto giudiziario in sé tutti i responsabili, o presunti tali, o comunque indiziati del delitto Matteotti, sono in carcere.
Può darsi che vi siano state delle incertezze, in un primo momento. Saranno stabilite, chiarite. Ma vi prego di considerare che la prima ipotesi fu la semplice scomparsa. Il delitto avvenne il martedì, e solo giovedì l’ipotesi del delitto fu chiara. Il martedì sera fu detto che Matteotti era stato visto con Costantino Lazzari ed altri. Vi ripeto: se emergeranno delle responsabilità più gravi di quelle che hanno provocato provvedimenti in via puramente amministrativa, tali responsabilità cadranno sui colpevoli.
Iersera l’organo della Santa Sede aveva un articolo abbastanza significativo, perché quello che è avvenuto in questi quindici giorni, e che sta avvenendo, non è bello, non è neppure degno di un gran popolo, non è, dico, degno di un gran popolo. Le cose più strampalate, le notizie più fantastiche hanno avuto libero corso.
Degli uomini, che sono veramente insospettabili, venivano accusati e denunziati di aver preso parte a questa Ceka, a questa così detta Ceka che non esiste. Si è detto, per esempio, che la polizia aveva dato il passaporto al Filippelli; ciò sarebbe stato veramente enorme e criminoso. Ora si è chiarito che il passaporto fu dato dal Naldi, che lo aveva ricevuto dallo chauffeur due anni fa.
Noi tutti siamo rimasti impressionati dalla deposizione del signor Mario Gibelli, che era veramente gravissima e raccapricciante. Orbene, questo signore vien fuori a dire cha la deposizione pubblicata sui giornali non corrisponde a verità.
Questo per quanto riguarda il lato giudiziario di questo dramma.
Ma poi vi è il lato politico. Si è detto, per esempio, che il siluramento di De Bono, è stato strappato a me dal Consiglio dei Ministri. Niente di più falso. Sono stato io che ho portato la proposta di esonero di De Bono ed è stato il Consiglio dei Ministri che ha addolcito la proposta convertendo l’esonero in sostituzione.
Si è detto che la nomina del Federzoni mi è stata imposta dalla Corona. Ora devo dichiarare che la Corona è di un costituzionalismo perfetto. La verità è che fin da parecchi mesi fa avevo l’intenzione di mettere Federzoni a reggere il Ministero degli Interni, e in seno al recente Consiglio dei Ministri gli ho, si può dire, imposto di assumere tale ufficio.
Si è detto che il generale Di Giorgio, ministro della Guerra, è stato imposto dalla Corona. Niente di più falso. Fin dal gennaio scorso, quando il generale Diaz mi disse che voleva dimettersi per ragioni di salute, e con il suo squisitissimo senso di patriottismo, lasciava me arbitro della scelta, fin da allora intrapresi trattative orali e scritte col generale Di Giorgio.
Poi sono corse notizia strampalate, lanciate da tutte quelle agenzie di informazioni che pullulano a Roma; per esempio, la notizia data dalla stampa americana dell’abdicazione del Re, del convegno dei collari dell’Annunziata; poi, finalmente, la notizia di venerdì sera di un certo colpo di Stato che doveva essere fatto dalla Milizia, e che riempì di un vago terrore i circoli della capitale.
Voi comprendete che tutto ciò, alla fine, impone un «basta», perché non si può soggiacere (applausi) alle fantasie di certa stampa, specie di quella che avrebbe particolari doveri di gratitudine verso il Governo. E’ in queste vicende che si appalesa il carattere degli uomini.
Ora voi sapete quale sarebbe il programma delle Opposizioni. Si tengono delle riunioni in diverse città d’Italia, ove le Opposizioni fanno queste richieste: dimissioni del governo, scioglimento della Milizia, scioglimento della Camera, elezioni generali; e, notate, stabiliscono già il sistema con cui queste elezioni dovrebbero aver luogo, cioè, con la proporzionale.
Come pensano le Opposizioni di arrivare a tutto ciò? Non traspare ben chiaro, perché queste riunioni sono riunioni di partito. I gruppi di Opposizione alla Camera, questi gruppi che si sono ritirati dal Parlamento, non sappiamo se per sempre o fino a quando non si siano determinate nuove condizioni, non hanno ancora formulate le loro proposte; ma, però, non contrastando con quelle che vengono avanzate dai gruppi politici, è chiaro che anche le Opposizioni parlamentari non prescindono da queste richieste.
Che cosa si vuole? Tutto ciò è crepuscolare. Necessita, invece, parlare chiaro in questa situazione.
Il discorso che ho pronunciato Ieri, al Senato, e che si ricongiunge a quello che pronunciai alla Camera, ha già chiarito questa posizione: «Il Governo resta al suo posto». Le dimissioni, in questo momento, sarebbero certamente interpretate in senso catastrofico, specialmente all’estero; apparirebbero delle dimissioni imposte da quei deputati laburisti, che si riuniscono alla Camera dei Comuni, e, con un precedente nuovissimo, entrano nelle faccende interne di un altro popolo (applausi), e da quei gruppi della democrazia di sinistra accesa dell’occidente, e in genere da tutti i gruppi internazionali dell’occidente, che non amano l’Italia che proceda innanzi (applausi).
Però, come ho detto ieri al Senato, il fatto che il Governo resta al suo posto non esclude, anzi ammette quello che io ho chiamato trasformazioni e modificazioni della compagine governativa: modificazioni e trasformazioni alle quali io pensavo sin dal giorno in cui si riaperse la Camera, perché il potere logora, perché di quando in quando bisogna mettere degli uomini nuovi alla prova, anche perché questa famosa selezione della classe dirigente non avverrà mai se non si mettono al posto di comando e di responsabilità degli uomini nuovi, attraverso una selezione controllata. E’ mio proposito, quindi, di addivenire, in un termine di tempo abbastanza breve, a queste modificazioni nella compagine governativa.
Quanto allo scioglimento della Milizia, ripeto quello che dissi al Senato: che non è il caso di pensarci. Prima di tutto, è un Corpo militare inquadrato, disciplinato, che ha delle legioni bellissime, anche dal punto di vista prettamente militare: e poi è un Corpo di volontari. In questa crisi ci ha molto giovato; bisogna avere il coraggio di dirlo. Sono rimasti solidi, questi militi, fedeli. Erano pronti a difendere il Governo, se qualcuno avesse risposto alle sollecitazioni dei partiti sovversivi. Il fatto che la Milizia resta — e su questo bisogna mettersi in mente che io sono assolutamente intransigente (applausi) — non esclude che essa non debba sollecitamente essere inquadrata nelle forze armate dello Stato. Gli studi, a questo proposito, sono già avanzatissimi. C’è della buona volontà, tanto da parte dello Stato Maggiore dell’Esercito, quanto da parte dello Stato Maggiore della Milizia. Credo che fra qualche tempo questo problema sarà risolto in maniera soddisfacente. E poiché si è sofisticato sul fatto che la Milizia non ha prestato giuramento di fedeltà al Re, pur montando regolarmente la guardia al Palazzo Reale, pur partecipando a parate in onore dei Sovrani, anche questo giuramento sarà fatto (applausi). Ma voi capite che tutti gli avversari puntano su questa certa per ragioni evidenti.
Quanto allo scioglimento della Camera, io domando a voi, che siete deputati, che vi sentite regolarmente eletti dal popolo italiano, io domando a voi se avete intenzione di ritirarvi, di rinnegare il vostro mandato, di presentarvi dimissionari dinanzi alla nazione, e, oserei dire, dinanzi alla vostra coscienza. E non di a dire che sia il caso, in questo momento, di parlare di elezioni, e quale ipotesi sia, che sta tra il grottesco ed il catastrofico, quella di voler lanciare di nuovo le masse della nazione, che hanno bisogno di tranquillità, di calma e di lavoro, in una battaglia elettorale, che, dato il momento, sarebbe piena di incognite (benissimo).
Quindi, a tutte le richieste delle Opposizioni, siano esse formulate domani dai rappresentanti parlamentari di questi partiti, credo che il Governo e la maggioranza non possano rispondere che con un «No», fermo, categorico, solenne (applausi).
Io mi propongo di fare funzionare la Camera, il Parlamento. Ripeto, è mia intenzione di non fare più decreti-legge, perché, se il Governo fa decreti-leggi, la Camera non ha più nulla da tare, non ha che da mettere lo spolverino. Rientrare nella legalità assoluta, reprimere l’illegalismo, purificare il partito (applauso).
Come avete visto, c’è un programma del primo tempo; cioè modificazione della compagine del Governo. C’è un programma del secondo tempo: purificazione e selezione del partito. C’è un programma del terzo tempo: fare funzionare gli organi legislativi.
A questo proposito sottopongo alla vostra meditazione la situazione che si è determinata nel Parlamento. C’è l’esodo delle opposizioni, la secessione delle opposizioni. Questo secessione è temporanea? E’ definitiva? Questo è il punto; e qui è tutta la delicatezza della situazione. Se la secessione è temporanea, la situazione può chiarirsi. Se invece la secessione fosse definitiva allora il problema si presenta in termini di una certa e relativa gravità. Il problema che s’impone allora è di sapere se il Parlamento può funzionare con la Maggioranza, prescindendo dall’atteggiamento delle Minoranze (applausi).
Se domani qualsiasi gruppo di Minoranza di ritirasse sull’Aventino, dovrebbe bastare questo per mettere forse il funzionamento della Camera? (benissimo)
Non mi faccio illusioni. Credo che malgrado il nostro proposito di conciliazione, come andiamo riaffermando con una sincerità che non può essere messa in subbio, credo che non bisogna guardare la situazione con un soverchio ottimismo.
In fondo, non è più questione dell’assassinio Matteotti, non è più questione di sapere se dieci o quindici o venti o trenta individui andranno in carcere, non è più di sapere se il Governo sarà ricompaginato, trasformato, se il partito subirà una energicissima selezione. Si vede ormai chiaramente l’obiettivo finale di tutte le Opposizioni; e questo obiettivo finale è il regime. Costoro si propongono di annullare tutto quello che significa, dal punto di vista morale e politico, il regime che è uscito dalla rivoluzione dell’ottobre. Voi vedete, allora, che il giuoco diventa straordinariamente serrato, perché io stesso vi dichiaro che non sono affatto disposto a questa specie di annullamento di tutta una situazione che noi abbiamo creato con grande sforzo, con grande fatica, e anche con molto sangue (applausi).
Se invece, l’ipotesi più ottimista si verifica, e cioè le Opposizioni sono veramente pensose delle sorti della Patria e non vogliono spingere le cose fino al punto in cui l’irreparabile scoppia come una conseguenza fatale logica, se le Opposizioni si renderanno conto di questa loro responsabilità e ritorneranno alla Camera, a darvi la loro opera di critica, di controllo, di opposizione anche astiosa, anche settaria, anche pregiudiziale, che noi dovremmo sopportare, tollerare, talvolta quasi incoraggiare, perché l’Opposizione, in quanto ci segnala certi fatti, certe cose, può essere di utilità grandissima, se questo avviene allora potremo dire di avere superato la crisi.
Comunque le Opposizioni si riuniscono venerdì; non sappiamo se sarà soltanto la commemorazione dell’onorevole Matteotti, o se ci saranno delle decisioni anche di carattere politico concernenti l’atteggiamento di queste Opposizioni. Se si trattasse soltanto della commemorazione, l’abbiamo già fatta in termini sincerissimi. Quanto alle decisioni politiche converrà di attendere.
Comunque voi, onorevoli colleghi, siete investiti in un mandato preciso, e se non avessi in orrore le parole solenni, vorrei dire: sacro. Avete dietro di voi masse imponenti di elettori, massi imponenti di popolo.
Voi siete testimoni di tutti gli sforzi che il Governo ha fatto prima e dopo, voi siete testimoni del programma che il Governo intende realizzare. Voi, quindi, potete attestare con sicura, con tranquilla coscienza che se domani la crisi si acuirà, invece di risolversi, non certamente oggi la coscienza nazionale, né domani lo storico imparziale potrà attribuire a noi questa responsabilità.
Noi siamo ancora una volta disposti, e lo ripeto, a fare funzionare regolarmente il Parlamento, a fare rientrare il Fascismo nella legalità, siamo disposti a purificare il partito e lo faremo; siamo disposti a seguire una politica di conciliazione nazionale che ignori il passato, che ignori tutte le lotte del passato: ma non ci si chieda la rinuncia a quei principi che abbiamo il sacrosanto dovere di difendere, a qualunque posto».
I commenti della stampa. Il Messaggero: «Se i principii affermati dall’onorevole Mussolini dei quali la realizzazione è già in marcia, diverranno tutti risultati positivi dell’opera oggi più sperimentata del Governo nazionale, la base dei partiti non nemici della patria sarà ricostruita, e con esso una nuova forza costruttiva di spiriti e di realizzazione sarà data all’Italia. La crisi morale e politica del fascismo diverrà allora provvidenza nella sciagura, il punto di partenza di una nuova età politica nazionale dell’Italia.
L’onorevole Mussolini è conscio del momento difficile e delicato, e al suo appello alla concordia rivolto ai partiti e più alla nazione, non soltanto per le grandi linee dell’azione della sua politica, ma anche per evitare incidenti minimi, che potrebbero in quest’ora incandescente portare delle complicazioni massime».
Il Sereno: «Alla più chiara e più passionale, perché più urgente, ripresa del tema normalità e legalismo da parte del capo del Governo, sentiamo contrapporre di nuovo, per l’iniziativa o per conto dei rappresentanti dell’estremismo rivoluzionario, promesse e minacce di arma al piede, di rivincite tempestive, di vigili squadre e di vigili moniti, che, alla fine dei conti, altro non sono che bellissimi e buonissimi atti d’indisciplina perché in aperto e ribelle contrasto con le parole che il capo del partito ha messo in bocca al capo del Governo, in forma impegnativa e solenne, dinanzi alla più autorevole assemblea di cui oggi la Nazione disponga: il Senato.
Questo gioco è oggi stato ormai identificato dal Paese come pericoloso per la dura esperienza che ne ha fatto e che sta proprio ora scontando, e non ci sembra che il Paese, al di sopra di ogni politica speculazione, possa sentirsi disposto a vederlo rinnovare. Partito e Governo, in regime di quella legalità che il Presidente dei Ministri vuole, sono due cose distinte, e non si è mai visto, da che mondo è mondo, un partito che dichiara nel suo statuto di sostenere un governo, e poi nella piazza gli mette il bastone fra le ruote: bastoni, in questo caso, simbolici e reali».
II Mondo, prendendo le mosse dal discorso pronunciato al Senato da Mussolini, scrisse:
«Il pensiero manifestato dal capo del Governo differisce radicalmente da quello delle Opposizioni. Le Opposizioni sono unanimi nel ritenere — al di sopra delle naturali ed insopprimibili differenze di dottrina, di valutazione e di tattica — che all’indomani della soppressione di Giacomo Matteotti si impone, senza attenuazioni, senza ritardi, il ripristino della normalità civile, fondata sulle libertà garantite dalla Costituzione, incompatibile colla tolleranza dell’illegalismo da parte degli organi dello Stato.
Tale esigenza non può appagarsi che nei fatti; ma occorre osservare che le parole dell’onorevole Mussolini, mentre hanno tono parlamentaristico di transizione, non significano nemmeno impegno per la creazione dei fatti desiderati, giacché egli non ha esitato a dichiararsi intransigente circa il mantenimento della Milizia, proprio nell’atto in cui ricorda il suo carattere prettamente partigiano, riconoscendo i servigi che essa ha reso al Governo durante la crisi presente.
Abbiamo in questa inattesa confessione una conferma formidabile dell’argomento morale e politico che le Opposizioni hanno sempre sollevato contro l’esistenza della Milizia cosiddetta nazionale. Se dunque le parole dell’onorevole Mussolini non promettono nemmeno i fatti di cui il Paese ha bisogno, e se, soprattutto, le parole non servono a nulla sinché i fatti desiderati non vengono alla luce, sembra a noi che la situazione vada polarizzandosi sopra due opposti punti di vista, intorno ai quali non esiste alcuna possibilità di contatto.
Se è vero che oggi l’Italia ha bisogno di pace e di legalità, sembra verosimile che chi ha portato nella vita pubblica la violenza e la imposizione armata, non sia il più adatto a recare la concordia e la pacificazione.
La situazione resta quindi immutata: il solo mutamento che possa interessarci è quello che si riferisce alle condizioni concrete in cui si svolge la vita politica e civile dei cittadini italiani. Tali condizioni restano, sino a questo momento, immutate ed a mutarle si richiedono non già parole, ma fatti. Comunque, le parole sin qui pronunziate, non solo non costituiscono fatti, ma sono in se stesse insufficienti ed insoddisfacenti. E’ da sperare che parole come queste non trovino la loro eco in un documento sovrano, ove sarebbero del tutto fuori luogo.
Quanto alle Opposizioni, è chiaro che in siffatte perduranti condizioni esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita. Fare funzionare il Parlamento ed accettare finalmente la necessità delle Opposizioni sono parole, niente altro che parole. Ma quando il Parlamento ha fuori di sé una Milizia dell’illegalismo, esso è soltanto una burla.
Ora, dopo la morte dell’onorevole Matteotti, le Opposizioni hanno, se non altro, il dovere di non prestarsi che a cose serie. Così stando le cose, il Paese saprà giudicare a chi spetti la responsabilità del perdurare della situazione presente, se a chi, dopo 20 mesi di paziente e dolorosa attesa, e dopo avere subito tutto il peso della violenza politica e morale, verbale e materiale del fascismo, invoca che ormai tornino ad imperare in Italia la giustizia, la libertà e la legge; o a chi, dopo avere creato le cause dei fatti che hanno commosso così profondamente l’opinione pubblica, si rifiuta tuttavia a consentire a che esse siano finalmente estirpate e soppresse.
Il Paese, nel suo buon senso e nel suo senso di giustizia, saprà giudicare. La nostra coscienza è tranquilla».
Il Popolo, giornale del Partito Popolare rilevò i tre motivi dominanti del discorso di Mussolini al Senato:
«Isolare il delitto contro l’onorevole Matteotti dal regime fascista, facendo apparire la politica interna del Governo fascista come ispirata alla legalità e alla costituzionalità, per cui l’ulteriore processo di normalizzazione non sia che la consulenza della volontà del duce mai venuta meno; invitare le Opposizioni a cessare le ostilità per concorrere alla pacificazione; far comprendere che nel caso che ciò non avvenisse si andrebbe incontro a gravissime conseguenze.
Circa il primo punto, solo per sforzo polemico o per insanabile equivoco si può tentare di isolare il fosco delitto dell’onorevole Matteotti dal quadro del regime fascista. Quando si ricordino tutte le violenze di questi 20 mesi di governo fascista, non può convincere lo sforzo di Mussolini nel dimostrare che la sua politica interna è stata ispirata alia legalità ed alla costituzionalità. Di più la politica dell’onorevole Mussolini ha avuto sempre due maschere: quella guerriera e dittatoriale, e quella costituzionale, legalitaria e pacificatrice.
Quale dei due Mussolini merita credito? Egli invita le minoranze a concorrere alla normalizzazione e alla pacificazione, come se ciò dipendesse da esse, come se fibrillamento della coscienza pubblica fosse causato dall’atteggiamento di resistenza da esse assunto, e non mai dalla crisi del partito al Governo.
Le minoranze non possono far credito alla politica dell’onorevole Mussolini perché il doppio metodo da lui tenuto, cioè l’equivoco nel quale si è dibattuto dopo la marcia su Roma, deve dirsi fallito. Egli ha invocato contemporaneamente i diritti rivoluzionari e la legge costituzionale, e non fu fatta né la rivoluzione né la legalità; ha creato una sua linea di governo personalistico, che è stata rotta con l’assassinio dell’onorevole Matteotti.
Questo metodo personale oggi non regge più, ed ecco il nuovissimo Mussolini che si presenta come esponente della legge assoluta, della giustizia, della costituzione, nonostante la piccola riserva della milizia che pure trasformata, dovrà rimanere. Questo nuovissimo Mussolini per noi è ancora quello di ieri, adattato alle tragiche circostanze.
Per quanto riguarda le minoranze che l’onorevole Mussolini ha tentato di scindere nel suo discorso, esse parleranno nell’adunanza plenaria e sapranno anche esse fare appello alla pacificazione del Paese. Questa non può venire fino a che la giustizia non sia reintegrata ovunque e senza limiti di diritti rivoluzionari, che non esistono in confronto della legge e della Costituzione; finché esiste una milizia di partito, comunque legalizzata, ma di partito; finché non sia garantito il mandato parlamentare a tutti egualmente, minoranza e maggioranza; finché il Parlamento non ritornerà ad essere il potere legislativo e il Governo il potere esecutivo, senza confusioni né sovrapposizione; finché i partiti non saranno eguali tutti di fronte alla legge e la libertà non resti un nome vano.
Spetta al Governo e alla Maggioranza realizzare condizioni per le quali sia resa possibile ed effettiva la pacificazione del Paese. L’oscura minaccia contenuta più o meno chiaramente anche oggi nei discorsi e nei giornali fascisti, che il Fascismo possa ritentare rappresaglie squadriste, è un elemento di perturbazione non ancora scomparso. Se Mussolini pensasse ad agitare tali minaccia per rimanere al potere, sarebbe un ricatto alla Nazione e noi pensiamo che questo egli non lo farà perché l’opinione pubblica del 1924 è assai diversa da quella del 1922. E’ questo un punto fermo della situazione che tende a chiarirsi».
L’Impero scrisse: «L’Impero, dopo un anno e mezzo di vita asperrima, compie oggi il più grande sacrificio: quello di rinunziare, momentaneamente, al suo formidabile sogno.
L’onorevole Mussolini, col suo discorso di ieri, non dà più luogo a nessuna interpretazione estremista. Colla sua energia e colla sua lena, già marcia sulla strada della sociale costituzionalizzazione del Fascismo e noi obbediamo. Obbediamo, perché legati all’uomo insigne dai sensi della più profonda devozione e del più sincero affetto; obbediamo, perché, malgrado la nostra differente valutazione del momento, abbiamo fiducia assoluta nel suo genio politico.
Vi è poi un lato di generosità e di fraternità nel discorso accennato, che non può lasciarci insensibili. Si getta in esso un grido di concordia ed un grido di pace. Dobbiamo raccoglierlo e lo raccogliamo.
Soltanto un capo dal fascino e dalla volontà dell’onorevole Mussolini può rischiare una simile azione pacificatrice, poiché, qualunque altro, sarebbe scavalcato dalle masse effervescenti del Fascismo. A quest’atto temerario del capo, a cui risponde l’obbedienza mistica dei suoi seguaci, quale risposta date voi dell’Opposizione? Continuerete nelle provocazioni, continuerete negli agguati, continuerete nella irrisione e nella falsificazione? Dio non voglia!
Sarebbero giornate di sangue e ne avreste l’intera responsabilità».
Sull’Idea Nazionale firmò l’onorevole Maurizio Maraviglia: «Il passaggio dal regime fascista al regime di… opposizione — non possiamo definire diversamente ciò che non è riuscito a definirsi e che è forse, per necessità di cose, indefinibile — sarebbe un passaggio da una forza politica, che, per quanto risenta ancora ai suoi margini dell’influenza della residua mentalità rivoluzionaria, ha tuttavia dato una magnifica prova della sua capacità ricostruttrice, ad una forza caotica e torbida, nella quale confluiscono tutti o rivoli del peggiore illegalismo e del più nefasto sovversivismo; il passaggio dal coerente all’incoerente.
Il senatore Albertini ha parlato più per soddisfare ad un’esigenza della sua aristocratica coscienza di costituzionalista che per soddisfare ad un’esigenza politica, maturamente considerata in tutti i suoi lati.
Dietro le Opposizioni costituzionali sta una forza schiettamente sovvertitrice, eccitata ed ingaggiata da suggestioni straniere».
Il Giornale d’Italia si concentrò sull’«ingranamento della Milizia nell’Esercito e non fermarsi innanzi alle pressioni ed alle minacce degli estremisti del Fascismo.
Intanto, è lodevole l’odierna dichiarazione dell’onorevole Mussolini che la Milizia giurerà anch’essa fedeltà al Re. E’ un primo passo.
E veniamo all’epurazione del Fascismo, che l’onorevole Mussolini nei discorsi di ieri ed oggi ha promesso. La verità è che nel Fascismo sono moltissimi elementi d’ordine; moltissima gente devota alle istituzioni e rispettosa delle leggi. Ma, purtroppo, non hanno sempre prevalso, data la smania di arrivismo dei mediocri e la prepotenza dei violenti.
Se l’onorevole Mussolini riuscirà a stabilire nel Fascismo una vera gerarchia di valori, ciò che non riuscì a fare nella compilazione del famoso Listone, e se riuscirà a mettere a posto la troppa gente che del Fascismo ha fatto lo strumento delle proprie conquiste personali, e se riuscirà, soprattutto, a svellere dalle abitudini fasciste le parole grosse, le minacce, l’intolleranza e la violenza, renderà un enorme servizio al suo partito ed al Paese.
Finalmente, è da rilevare l’annunzio esplicito che l’onorevole Mussolini ha dato nei suoi due discorsi di un rimpasto. Ora, nel ricomporre il Ministero, il Presidente del Consiglio ha due punti da osservare: chiamare a raccolta tutte le forze nazionali e scegliere dei competenti autentici. Occorre fare un Ministero che dia affidamento, di ristabilire l’ordine morale nelle amministrazioni».
Il Corriere d’Italia: «Nessuno può in buona fede negare valore a ciò che egli ha ricordato, per dimostrare come il proposito di gettare il ponte dalla rivoluzione alla normalizzazione, lo abbia ispirato sin dal principio del suo Governo e, se può essere deplorato che questo proposito non abbia trovato più rapida applicazione, e so allo stesso onorevole Mussolini può, forse, essere rimproverato di non avere sempre fatto quanto era necessario per soffocare la triste resistenza che da alcune zone del partito si opponeva all’attuazione del programma di pacificazione, non è possibile non riconoscere oggi che tutto ciò che poteva dirsi nel senso desiderato od invocato dalla parte migliore dell’opinione pubblica italiana, egli lo ha detto ieri al Senato.
E poiché è certo che solo l’onorevole Mussolini può oggi compiere senza scosse e senza gravi pericoli, l’opera attesa per il ritorno alla normalità ed alla pace, non è possibile non rallegrarsi sinceramente che egli abbia così apertamente e sinceramente parlato».
Il commento de La Tribuna fu a favore del Capo del Governo:
«Poiché dunque non c’è altro da fare in questo momento che dare forza all’onorevole Mussolini contro i furfanti che fingevano di sostenerlo e lo tradivano e che appaiono come i veri autori del regime di costrizione a di terrore che si è a torto attribuito a tutto il Fascismo, escano l’onorevole Albertini e le Opposizioni costituzionali che egli rappresenta, dal loro passivo atteggiamento di critica ad oltranza, ed uniscano le loro forze a quelle degli onesti che, con un senso più pratico di tutte le realtà, senza nulla chiedere per sé, domandano senza asprezze all’onorevole Mussolini ed al Fascismo che si ritorni alla purità delle origini ed alle ragioni disinteressate del movimento. Cessi, cioè, la critica che è fine a se stessa e giova soltanto ai nemici del Paese; ma, secondo il desiderio così altamente espresso dal Re o ripetuto ieri dal Presidente del Consiglio, si riprenda la critica unicamente ispirata da intenti di collaborazione».
Destò preoccupato stupore l’intervento su Cremona Nuova di Roberto Farinacci, per il quale l’assassinio di Matteotti non è che «un episodio comune. Gli elementi fascisti più accesi sono già inquieti. In queste circostanze un incidente qualunque potrebbe avere gravi conseguenze. Se l’onorevole Mussolini, se avesse voluto obbedire alla sua anima fascista o se avesse voluto tenere presenti le voci passionate dei suoi militi concentrati domenica a Bologna, avrebbe tenuto sicuramente ben altro linguaggio. Ma la sua parola, come capo del Governo come capo della Nazione, ancora una volta ha manifestato, la sua ferma volontà di dare al Paese cinque anni di pace e fecondo lavoro. Ancora una volta ha segnato alle opposizioni il cammino per una reciproca convivenza, ha accennato all’istituto parlamentare che dovrà funzionare regolarmente e nobilmente.
La manifestazione di Bologna e quella del Senato diranno all’estero in un modo inequivocabile che il Fascismo è in piena efficienza e che attraverso la sua epurazione ha trovato maggior forza e che la posizione parlamentare del nostro Duce è saldissima.
Il discorso dell’onorevole Mussolini ripresenta ai partiti avversari un dilemma preciso: o col Governo per la pacificazione o rompersi le corna contro la muraglia fascista. La cessazione di ogni giustificato illegalismo da parte nostra non può dipendere dal Fascismo ma bensì dalle variopinte opposizioni e dai provvedimenti governativi che devono provenire ogni giustificata reazione.
La stampa deve essere assolutamente controllata; non è mai possibile che in avvenire per un episodio comune si avveleni per delle settimane l’opinione pubblica con menzogne ed esagerazioni, come non sono lecite certe delittuose campagne contro il regime.
Noi disciplinati ci adatteremo alle dichiarazioni dell’onorevole Mussolini e faremo il possibile per non dare esca agli avversari, non certo perché vogliamo diventare di colpo agnellini, anche perché nessuno ci prenderebbe sul serio — ma per una ragione semplicissima. Gli avversari sicuramente faranno tutto il possibile per farci rimanere coerenti, come sempre, al nostro posto. Essi non accetteranno l’invito dell’onorevole Mussolini, come non hanno accettato l’altro, pure ad essi rivolto, dalla Camera dei Deputati. L’opposizione dovrebbe abbandonare il suo fagotto demagogico che fu il piedistallo del suo programma politico.
Ecco perché si «sbagliano di grosso», quando si chiede lo scioglimento della Camera e della Milizia, quest’ultima necessaria per la difesa del nostro programma rivoluzionario al quale non possiamo rinunciare. Concludiamo per oggi: pacificazione ma con completo riconoscimento dei diritti dei vincitori verso i vinti».
I commenti della stampa estera. Il Times: «Per la prima volta, dopo la marcia su Roma, l’onorevole Mussolini ha avuto una accoglienza quasi fredda quando fece oggi al Senato il suo tanto atteso discorso e non può dirsi che egli sia riuscito a superarla. I trecento senatori presenti ascoltarono il suo discorso con una calma che confinava colla indifferenza.
L’onorevole Mussolini adottò la sola attitudine possibile. Egli tentò di menomare le ripercussioni del delitto contro Matteotti e di separarle da tutti gli effetti politici. Questo era un compito delicato e difficile che esigeva un’umiltà la quale esula dal carattere del Duce. In linea di fatto il discorso manifestò il vecchio orgoglio, che ha condotto l’onorevole Mussolini a tante stravaganze verbali nel passato e ei può soltanto sperare che l’effetto del discorso sopra il pubblico sia migliore di quello che fu sopra il Senato.
Le deficienze del discorso sono ovvie. E’ vero che l’onorevole Mussolini ha fatto molto per promuovere il ritorno alla normalità, ma la sua rassegna del passato è veramente troppo ingegnosa, benché sia visibilmente sincera. Nel suo giustificabile orgoglio per il lavoro che egli ha compiuto per l’Italia, l’onorevole Mussolini non comprende il profondo sentimento suscitato nel Paese dal crimine contro l’onorevole Matteotti ed i pericolosi sospetti che l’intero Partito Fascista sia coimplicato coi suoi estremisti.
Sfortunatamente egli non poté annunciare che sia stato fatto alcun passo decisivo il quale possa essere capace di ristabilire la fiducia negli elementi più puri del Fascismo. Mentre vi sono indizi nel discorso di un possibile sforzo per la collaborazione e di una vigorosa riforma del Governo, l’onorevole Mussolini non ha in realtà rinculato di un solo pollice.
Particolarmente disgraziata è la frase che sembra indicare che neanche adesso, egli può disciplinare i fascisti dell’Italia settentrionale».
Il corrispondente del Morning Post: «Il discorso mostrò l’onorevole Mussolini sulla difensiva. Una parte per lui insolita.
In complesso fu un discorso delusorio. Forse deciso nei suoi aspetti dialettici ma ambiguo ed esitante nei riguardi dell’unico punto che interessi il Paese, cioè una franca, incondizionata assicurazione che il partito sarà purgato dai suoi elementi non puliti, qualunque alto posto essi possano occupare.
Non vi sono ancora commenti nella stampa italiana, ma l’impressione di coloro che ho potuto consultare è che il discorso indichi che l’onorevole Mussolini non si è ancor liberato dalle forze, qualunque esse siano, che sono responsabili dell’assassinio di Matteotti.
Nello stesso tempo il discorso di oggi costituisce la dichiarazione più esplicita fatta finora dall’onorevole Mussolini nel senso che il suo scopo è di ricondurre il suo movimento nella via costituzionale».
a cronaca. Gl’inquirenti si recarono presso il carcere di Regina Coeli, per sottoporre ad interrogatorio Antonio Mariani, che confermò di aver visto la sera di martedì 10 giugno un’automobile, che s’inoltrò nella carrareccia; ed Adelio Delicati, il quale abitava nello stesso stabile di Cesare Rossi, dal cui appartamento vide uscire mercoledì 11 giugno Filippo Filippelli. I due uomini presto sarebbero stati messi a confronto.
Presso il Palazzo di Giustizia si diffuse la voce, secondo cui gl’inquirenti avrebbero raccolto la deposizione dell’ex sottosegretario agl’Interni, Aldo Finzi, e dell’ex direttore generale della Pubblica Sicurezza, il generale De Bono.
Sembrò imminente anche la richiesta di autorizzazione alla Camera, per procedere contro un deputato da tradurre presso Regina Coeli.