«Dove mi ha colto il buio della sera che dirada le voci».   Lettera di Pier Paolo Pasolini a Luciano Serra del 6 giugno 1942

Caro Luciano,

ho atteso invano, finora, con ansia, i libri; quelli che ho portato ho scolato fino all’ultima goccia. Mi rimane Dedalus1, ma lo tengo per il viaggio. forse vedrai prima me di questa missiva che contiene la mia produzione poetica. Speriamo che quest’ultima abbia il peso e la statura della mia voce, così che ti giunga fedele foriera di me stesso.

Ritratto della natura

San Vito non mi è caro di memorie. I fanciulli che conducono le vacche al pascolo e le giovanette che si affacciano dai piccoli balconi non mi sono noti dall’infanzia. Tuttavia amo questi luoghi, come un uomo può amare le rocce e i boschi; ma non le oleografie. Soffia una brezza glaciale, ma è mite, ma è tiepida. Il Pelmo, su, tra le nuvole, non è solo, come sembra; è simile a un Cristo crocefisso; a un Cristo dipinto dal Beato Angelico, non atterrito, ma quasi sorridente, mentre Serdes e Senes2, pieni di boschi, son sacri alla Vergine e al San Domenico, che, muti e genuflessi, meditano sotto la croce, nel gran silenzio.

Ora di notte

Dove mi ha colto il buio della sera

che dirada le voci, e l’infinito

digradare dei monti?

A settentrione

tutto s’inazzurra. Donde la luna

nasce, la luna si dispiega e irraggia.

Del paese alla valle vi si risponde

lugubre il grido dei fanciulli.

Dove

mi tiene il corso della vita? E quando

son giunto a questi luoghi? Al profumo

dei prati s’inabissa il bianco raggio

dell’ultima schiarita; nella sera,

dolce s’annienta; è pace che soverchia.

Nascita del giorno

L’aurora nasce con pace meridiana,

e, nella valle sgombra mattutina,

è un meriggio di verdi. La gallina,

leggera nelle penne, schiude grida

di quiete. Estivo, come da altri cieli,

sulle assolate piante cade un canto

altissimo d’uccelli. Per la strada

ecco un vecchio che passa, e non fa gesto,

assorto nel suo chiuso sogno. Quindi

dispare; già vive in altri luoghi;

di sé non lascia traccia nel silenzio

fortissimo dai prati.

Mattina a San Vito

Vitreo rischiara al soffio della brezza

il monte e le sue nevi. Si raggela

l’alto verde nei prati, e la pastura,

ora che il nembo risospinto in cielo

a lui muta colore. Ecco s’accende

il bosco, ecco s’oscura. E la paura

del bel celeste, del sereno nuovo,

nel vento e nel silenzio, quasi mura

l’uno dall’altro gli uomini. Ciascuno

è vivo in altra vita, nella cerchia

dei boschi vacillanti, delle cime

illuminate.

Non aggiungo altro perché non sono né allegro né abbattuto. Questi sono stati giorni di candida e assolata pace. Ho studiato molto e volentieri. Ma desidero la nostra vita ansiosa.

Ti abbraccio                                                                                                          PP

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(1) JAMES JOYCE. Dedalus, nella traduzione di Cesare Pavese. Frassinelli, Torino 1933.

(2) Frazione e rifugio alpino sopra San Vito

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