1 Agosto 1924. Delitto Matteotti, si riaccende la pista affaristica; nel commento della stampa dell’epoca

Sabato 1 Agosto 1924, molti quotidiani insistettero nel delineare il delitto di Matteotti nel nucleo affaristico. Il Sereno aprì, ricordando la minuziosa descrizione del delitto confessata ad alcuni ex fascisti, dichiarandosi meravigliato «del fiero contegno dell’onorevole Matteotti. La povera vittima fu prima punzecchiata, poi colpita con la punta di un coltello ma non si arrese, tanto che uno degli aggressori gli fu addosso e la strangolò. Sembra che il corpo della vittima dopo qualche tempo macchiasse di sangue la tappezzeria dell’automobile- La perizia sarà in proposito molto precisa e argomenterà che per ben altre cause che non quella del soffocamento morì Matteotti.

Perché fu soppresso? Quali furono gli elementi sostanziali che spinsero i mandanti ad ordinare la soppressione del deputato unitario?

A quale prezzo fu richiesto il cadavere della povera vittima?

Orbene, a questo interrogativo ha risposto una persona, che sa molte cose e che noi potremmo indicare quando sarà il momento opportuno e quando ci verrà richiesto.

Il movente politico – ha detto il nostro interlocutore – ha indubbiamente parte nel delitto. Ma accanto ad esso non bisogna trascurare il movente affaristico, che purtroppo non è meno grave ed importante.

Perché non s’indaga, non si fanno indagini su quella che fu l’attività svolta dall’onorevole Matteotti nelle sue ricerche per procurarsi elementi di prova per smascherare in Parlamento le oblique gesta dei profittatori del fascismo?

Le ricerche non dovrebbero fermarsi ad alcuni mesi che precedettero il delitto, ma estendersi almeno fino al settembre del 1923. Un grosso affare dal regime fascista è stato fatto, un affare in cui i milioni non si contano (non si ha il tempo di contarli) e che avrebbe fantasticamente arricchito i pochi fortunati che ebbero la ventura di essere i favoriti. Naturalmente, questi pochi compresero benissimo che l’affare non si sarebbe fatto se non fosse stato aperto a certi ambienti le loro casseforti; e le casseforti furono subito aperte. Ne beneficiarono vari elementi fra i quali il Filippelli, che, mentre riceveva mezzo milione al mese per il suo giornale, si permetteva il lusso di passare alla cassa del medesimo soltanto trecentomila lire, e ciò dovrebbe risultare dai libri amministrativi del “Corriere Italiano”.

Orbene, l’onorevole Matteotti era venuto a conoscenza di molti documenti su tutto questo scandalo affaristico e si accingeva a dimostrare come, per favorire l’ingordigia di alcuni speculatori, si fosse sacrificata una delle migliori industrie, che contro una passività di seicento milioni aveva un’attività di due miliardi, con danno enorme degli operai, ai quali era impedito di poter lavorare in formidabili cantieri, i quali, per il veto di alcuni, erano destinati, come lo sono stati, alla smobilitazione. Ma l’onorevole Matteotti si accingeva a dimostrare anche che i fortunati non risparmiarono alcun mezzo, presso il fascismo locale e presso i vari ras, per fare pressioni sul potere centrale del partito.

Intervenuto quindi Cesarino Rossi, che fu abilmente manovrato dal Filippelli e dal Naldi. E mentre i più erano dell’avviso che Matteotti doveva essere oggetto di una semplice bastonatura con relativo sequestro, qualcuno dovette sussurrare nell’orecchio del più efferato degli aggressori, la vera belva umana, di spingersi più oltre perché il cadavere avrebbe fruttato milioni. Più di questo – ha concluso il nostro interlocutore – io non posso dirvi”. Né noi abbiamo avuto il coraggio di chiedergli di più».

Tito Zaniboni (1883 – 1960)

Il Giornale d’Italia pubblicò la notizia, secondo la quale l’onorevole Zaniboni il Matteotti sarebbe stato ucciso nei pressi di Roma. «Su quest’affermazione noi possiamo dire esclusivamente che essa presenta, almeno, parecchi caratteri di attendibilità. Infatti, a prescindere dal fine premeditato, che la magistratura certo saprà accertare gli aggressori e a credere volessero al deputato condotto entro l’automobile fare confessare quali argomenti di accusa custodisse ed infliggergli una dura umiliazione morale attraverso la violenza fisica. Ma il povero Matteotti, da quanto attestano cloro che più intimamente lo conobbero, non era uomo da subire simili imposizioni senza reagire con tutte le sue forze. Molto probabilmente avrà tentato di gridare per essere soccorso. Certo, si sarà ribellato al tentativo di farlo parlare. Comunque, avvenuto il delitto, bisognava trovare il modo di deporre in qualche angolo nascosto, possibilmente impenetrabile, il cadavere, e di qui cominciarono le corse quasi fantastiche dell’automobile, corse rivelate dallo stato in cui si trovano i copertoni, che dal garage erano usciti pressoché nuovi. Da un primo momento, la vettura sarebbe rientrata in città da Porta Angelica, sostando anche in un luogo in prossimità del Gianicolo. In seguito ad altri giri, come a fare disperdere le proprie tracce, avrebbe compiuto anche una più larga peregrinazione sino a giungere in prossimità del lago di Vico, forse forse pure in cerca di un ricovero che non le fu conceduto. Ma queste sono supposizioni che noi non abbiamo alcun modo di accertare. Le riferiamo, prima perché già diffuse nel pubblico, e poi per avere occasione di citare un fatto che personalmente ci consta e cioè: quattro giorni dopo la scomparsa del deputato unitario ricevevamo una lettera dattilografata nella quale si narrava che nel lago o nella macchia di Vico era stato deposto il cadavere. Noi ci affrettammo a depositare la lettera alla Questura, che, più o meno credendo alle sue rivelazioni, con maggiore o minore vigoria iniziò le ricerche che anche dopo, eseguite per ordine dell’autorità giudiziaria dai carabinieri, non dettero alcun risultato.

Sta di fatto che da parte nostra invitammo e pregammo l’autore della lettera a rivelare il suo nome e a riferire quanto sapeva alla giustizia. Nessuno si presentò, onde ora si può affacciare il dubbio che quella lettera -ripetiamo, – dattilografata nel probabile intento di nascondere la calligrafia sempre personale e riscontrabile, fosse mandata dagli stessi responsabili o conniventi del delitto, sempre allo scopo di far disperdere le tracce potenziali rivelatrici».

Un’altra voce incontrollata confermava la permanenza del cadavere di Matteotti all’interno dell’ospedale San Giacomo, ma essa fu recisamente smentita dai responsabili del nosocomio.

Furono quindi citate altre località come Monterotondo, Fiuggi e Bracciano. La questura avviò delle indagini, che non portarono ad alcun risultato.

L’onorevole Zaniboni offrì l’ipotesi che il cadavere riposasse al Verano, ma a supporto non mostrò alcuna prova.

Il Popolo, a tal proposito, pubblicò una lettera, firmata colle iniziali F.P.

«Ho letto, riportandone impressione profonda, i rilievi dell’onorevole Zaniboni su alcuni fatti importanti del delitto Matteotti, ed io, con questa mia, non intendo assolutamente minarne la veridicità. Desidero rilevare alcune circostanze che, pure avendo un valore negativo, serviranno comunque a tenere desta l’attenzione del pubblico sul secondo più inumano delitto, e cioè, la scomparsa del cadavere del compianto Matteotti.

Dichiara l’onorevole Zaniboni: “Se la Questura avesse subito portato le sue indagini nell’ambiente nel quale il Volpi e Putato si erano restituiti subito dopo l’impresa, avrebbe con facilità potuto sapere che nel mettere l’onorevole Matteotti in una cassa da morto ordinaria, gli spezzarono il braccio sinistro perché divaricato in atteggiamento di estrema difesa”

Chi avrà potuto dire ciò? Naturalmente il Volpi, il Putato, o qualcun altro esecutore diretto del delitto, appartenente alla ramificazione milanese della Ceka, perché Zaniboni ci dice che tali informazioni egli ha raccolto nell’ambiente frequentato da quei valentuomini. Ma il delinquente che è arrivato a dire in quale modo il cadavere dell’assassinato è stato rinchiuso nella cassa, avrebbe dovuto dire perché avrebbe dovuto aprirla, dove la cassa medesima è stata interrata. E dico, avrebbe dovuto saperlo, perché logicamente non deve essere trascorso neppure un secondo tra la chiusura della cassa e l’inumazione, dato che si trattava della scomparsa necessaria del corpo del reato e quindi un’operazione della massima urgenza.

Perché dunque la confessione si è arrestata a quel particolare macabro, senza andare più in là? E ancora: il Volpi, il Putato sono ora ospiti di Regina coeli. E’ possibile che una circostanza simile intorno alla quale l’abilità e la sagacia dei giudici istruttori si deve essere in modo particolare accanita, non sia stata rivelata, sta pure incidentalmente, da almeno uno degli imputati, alcuni dei quali non hanno una così brillante intelligenza da poter sfuggire completamente alle strettoie delle indagini?

Si dirà: tutti costoro credono che sino a quando il cadavere non si sarà trovato, la loro posizione davanti alla giustizia non sarà molto grave. Ed allora rispondo: un segreto che appartiene ad almeno una dozzina di persone, è un segreto di pulcinella, e del resto da questi indiziati qualcuno ve ne ha che forse avvantaggerebbe dal ritrovamento del cadavere.

Si può anche dire: può darsi che i giudici sappiano, però l’istruttoria è segreta. Ma se i giudici avessero saputo, avrebbero dovuto senz’altro esaminare la riesumazione del cadavere e la perizia necroscopica, operazioni queste che non sarebbero certo sfuggite ad alcuno, data la quantità di gente, estranea al Palazzo dl Giustizia che esse richiedono, e dato il carattere che la prima di queste operazioni, quella della riesumazione, è per forza di cose destinata a subire, e dato che alla perizia necroscopica sono obbligati ad essere presenti anche i parenti delle parti. Di questa perizia si sarebbe quindi parlato, così come si è parlato della perizia sui pantaloni, sulla rivoltella, sul coltello, sulle gomme, sui vetri, sulla tappezzeria dell’automobile.

Ma vi è ancora un dato di fatto. Sembra ormai assodato che i responsabili del delitto non siano gli stessi responsabili dell’occultamento del cadavere. Si è detto che gli assassini vistisi a mal partito con quel cadavere sulle braccia, siano corsi a Roma per consiglio.

Ad ogni modo, una seconda automobile rincorse la tetra Lancia del delitto. Non sono forse i viaggiatori della seconda macchina, quelli che si incaricarono della sparizione del cadavere? Dalle risultanze delle indagini fatte all’infuori dell’istruttoria, sembrerebbe di si. Ed allora, come possono avere detto il Volpi ecc., quello che non sapevano? E d’altra parte, può supporsi che a costoro, squagliatisi subito da Roma, qualcuno si sia presa la briga di narrare, come i fatti seguenti si siano svolti? No, perchè a fare questo, quelli rimasti a Roma non avevano alcun interesse.

Ed allora viene la conseguenza che l’onorevole Zaniboni ha raccolto e riferito: quelle voci per puro debito di cronaca, oppure egli sa anche il resto e non lo dice per uniformarsi forse a quelle disposizioni che impongono il segreto su questa triste materia, per superiori ragioni di ordine pubblico.

Per mio conto propendo più per la prima ipotesi.

L’onorevole Zaniboni, ad ogni modo, ha fatto bene a riferire quella voce, perché da qualsiasi più piccolo indizio potrebbe scaturire la verità, e perché p bene che questo dibattito sulla scomparsa del cadavere non cessi fino a che la luce completa non sia stata fatta».

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