L’influenza rinnovatrice del Teatro sintetico futurista

Giovedì 15 marzo del 1923, il quotidiano L’Impero pubblicò il seguente articolo firmato da Filippo Tommaso Marinetti.

Nel 1911 Emilio Settimelli ed io abbiamo ideato una rivoluzione totale del teatro. Le nostre idee assolutamente opposte a quelle imperanti sui palcoscenici d’Italia e dell’estero ci spinsero alla distruzione di tutti i canoni e di tutti i divieti per giungere a un teatro libero e finalmente aperto a tutte le nuove libertà spirituali.

Questo teatro futurista di Settimelli, Marinetti, Cangiullo, Mario Carli Buzzi, Folgore, Pratella ecc. rappresentato a Parigi, da numerose compagnie drammatiche fra le quali quelle di Tumiati, Ninchi, Berti – Masi, Petrolini, Mateldi, suscitò uragani di polemiche, feroci opposizioni ma influenzò beneficamente tutti gli autori drammatici e tutti gli ambienti teatrali.

Ciò non soltanto in Italia, ma in Francia, in Germania, in Russia e in America dove si lavorava da molto tempo a perfezionamenti scenici, ma nulla si era tentato per rinnovare la scelta dei motivi drammatici. Ciò fu constatato dalla critica parigina, inglese, berlinese e boema.

Tutto l’attuale teatro giovane italiano che ha per capo Pirandello, non avrebbe osato le sue audaci compenetrazioni di reale e irreale, di serio e grottesco, le sue simultaneità di realtà e visione, le sue scene di oggetti inanimati, se il nostro teatro sintetico futurista non avesse imposto tutto ciò alle folle italiane.

I nostri principi teatrali lanciati mediante infiniti manifesti (nel 1914 e nel 1915) volevano creare un teatro assolutamente opposto al teatro passatista, che prolungava i suoi cortei monotoni e deprimenti sulle scene sonnolente d’Italia.

Senza insistere contro il teatro storico, forma nauseante e già scartata dai pubblici passatisti, noi condannavamo tutto il teatro contemporaneo, poiché tutto prolisso, analitico, pedantescamente psicologico, esplicativo, diluito, meticoloso, statico, pieno di divieti come una questura, diviso a celle come un monastero, ammuffito come una vecchia casa disabilitata. Era insomma un teatro pedante in antitesi colla nostra velocità feroce, travolgente e sintetizzante.

Abbiamo creato un Teatro futurista sintetico, cioè brevissimo. Stringere in pochi minuti, in poche parole e in pochi gesti innumerevoli situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli.

Gli scrittori che vollero rinnovare il teatro (Ibsen, Maeterlinck, Andrejeff, Paul Caludel, Bernard Shaw), non pensarono mai di giungere a una vera sintesi, liberandosi dalla tecnica che implica prolissità, analisi meticolosa, lungaggine preparatoria. Davanti alle opere di questi autori, il pubblico è nell’atteggiamento ributtante d’un crocchio di sfaccendati che sorseggiano la loro angoscia e la loro pietà spiando la lentissima agonia si un cavallo caduto sul selciato. L’applauso – singhiozzo che scoppia, finalmente, libera lo stomaco del pubblico da tutto il tempo indigesto che ha ingurgitato. Ogni atto equivale a dovere aspettare pazientemente in anticamera che il ministro (colpo di scena; bacio, revolverata, parola rivelatrice ecc.) vi riceva. Tutto questo teatro, passatista o semi – futurista, invece di sintetizzare fatti e idee nel minor numero di parole e gesti, distrusse bestialmente la varietà di luoghi (fonte di stupore e di dinamismo) insaccando molti paesaggi, piazze, strade, nell’unico salame di una camera. Eravamo convinti che meccanicamente, a forza di brevità, si poteva giungere a un teatro assolutamente nuovo, in perfetta armonia colla velocissima e laconica nostra sensibilità futurista. I nostri atti furono attimi, e cioè duravano pochi secondi. Con questa brevità essenziale e sintetica, il teatro sostenne e anche vinse la concorrenza col Cinematografo.

Il Teatro futurista è atecnico.

Il teatro passatista invece è la forma letteraria che più costringe la genialità dell’autore a deformarsi e a diminuirsi. In esso, molto più che nella lirica e nel romanzo imperano le esigenze della tecnica: 1. scartare ogni concezione che non rientri nei gusti del pubblico; 2. trovata una concezione teatrale (esprimibile in poche pagine), diluirla e diluirla in due, tre, quattro arti; e. mettere intorno al personaggio che c’interessa molta gente che non c’entra affatto; macchiette, tipi bizzarri e altri rompiscatole; 4. fare in modo che la durata di ogni atto oscilli tra la mezz’ora e i tre quarti d’ora; 5. costruire gli atti preoccupandosi di: a) cominciare con sette – otto pagine assolutamente inutili; b) introdurre un decimo della concezione nel primo atto, cinque decimi nel secondo, quattro decimi nel terzo; c) architettare gli atti in maniera ascendente ecc.

Crediamo stupido sottostare alle imposizioni del crescendo, della preparazione e del massimo effetto alla fine.

Crediamo stupido lasciare imporre alla propria genialità il peso di una tecnica che tutti (anche gl’imbecilli) possono acquistare a furia di studio, di pratica e di pazienza.

E’ stupido rinunziare al dinamico salto nel vuoto della creazione totale fuori da tutti i campi esplorati.

Il Teatro futurista è dinamico, simultaneo cioè, nato dall’improvvisazione, dalla fulminea intuizione, dall’attualità suggestionante e rivelatrice. Noi crediamo che una cosa valga in quanto sia stata improvvisata (ore, minuti, secondi), e non preparata lungamente (mesi, anni secoli).

Noi abbiamo un’invincibile ripugnanza per il lavoro fatto a tavolino, a priori, senza tener conto dell’ambiente in cui dovrà essere rappresentato. La maggior parte dei nostri lavori sono stati scritti in teatro. L’ambiente teatrale è per noi un serbatoio inesauribile d’ispirazioni: la circolare sensazione magnetica filtrante dal teatro vuoto dorato in una mattinata di prova e cervello stanco, l’intonazione di un attore che si suggerisce la possibilità di costruirvi sopra un paradossale aggregato di pensiero, un movimento di scenari che ci dà lo spunto per una sinfonia di luci, la carnosità di un’autrice che genera nella nostra sensibilità concezioni piene di geniali scorci pittorici.

Scorrazzavamo per l’Italia alla testa di un eroico battaglione di comici che imponeva elettricità e tutte sintesi futuriste a pubblici che erano rivoluzioni imprigionate nelle sale. Dal Politeama Garibaldi di Palermo, al Dal Verme di Milano, i teatri italiani spianavano le rughe al massaggio furibondo della folla e ridevano con sussulti di terremoto. Fraternizzavamo con gli attori. Poi, nelle notti insonni di viaggio, discutevamo frustando reciprocamente le nostre genialità al ritmo dei tunnels e delle stazioni. Il nostro teatro futurista s’infischia di Shakespeare ma tien conto di un pettegolezzo di comici, si addormenta  ad una battuta di Ibsen, ma si entusiasmo pei riflessi rossi o verdi delle poltrone. Noi otteniamo un dinamismo assoluto mediante la compenetrazione di ambienti e di tempi diversi. Es.: mentre in un dramma come Più che l’amore, i fatti importanti (es.: l’uccisione del biscazziere) non si muovono sulla scena, ma vengono raccontati con un’assoluta mancanza di dinamismo; mentre nel 1. atto della Figlia di Jorio, i fatti si muovono in un’unica scena senza balzi di spazio e di tempo, nella sintesi futurista. Simultaneità vi sono due ambienti che si compenetrano e molti tempi diversi messi in azione simultaneamente.

Il Teatro futurista è autonomo, alogico.

La sintesi teatrale futurista non è sottomessa alla logica, non contiene nulla di fotografico, è autonoma, non somiglia che a se stessa, pur traendo dalla realtà elementi da combinarsi a capriccio.

In conclusione abbiamo abolito totalmente la tecnica sotto cui muore il teatro passatista; abbiamo posto sulla scena tutte le scoperte (per quanto inverosimili, bizzarre e antiteatrali) che la nostra genialità va facendo nel subcosciente, nelle forze mal definite, nell’astrazione pura, nel cerebralismo puro, nella fantasia pura, nel record e nella fisicofollia. (Es.: Vengono, primo dramma d’oggetti inanimati di F. T. Marinetti, nuovo filone di sensibilità teatrale scoperto dal Futurismo).

Siamo riusciti a sinfonizzare la sensibilità del pubblico esplorandone, risvegliandone con ogni mezzo, e propaggini più pigre; siamo riusciti ad eliminare il preconcetto della ribalta lanciando nuovissime reti di sensazioni tra palcoscenico e pubblico.

Lo constatava recentemente il pubblico ala “prima” dei Sei personaggi in cerca d’autore. Lo constata il pubblico in quasi tutte le recenti produzioni date al Teatro degli Indipendenti del futurista Bragaglia che geniale ed eroico rinnova il teatro con la collaborazione dei futuristi Prampolini, Marchi, Panraggi, Fornari, ecc.

Lascia un commento

search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close