Poetry di Lee Chang Dong

Un film sull’indifferenza, sulla mancanza di empatia, sulla separazione, sul rifiuto dell’ascolto; sembra la fotografia di questa odierna realtà, che vive della disgregazione dei rapporti umani, della frantumazione nella comunicazione. Non condividiamo, viviamo separati, ognuno nel suo mondo virtuale, fecondo di silenzi terribili e sterile di suono. Forse, ci siamo stancati ad ascoltare parole, che sembrano aver perso la loro funzione: comunicare. Nel mondo delle connessioni sempre più veloci, il computer, internet, la rete sta sostituendo l’amicizia, l’amore. L’uomo è ormai un automa, vittima della sua scellerata, disperata solitudine, in un mondo proiettato verso l’assenza. L’incapacità di esprimere anche il dolore.

Il lento scorrere dell’acqua di un fiume; l’alba è appena sbocciata. Sotto un cielo spazzato via dalle nuvole, il disegno opaco di una montagna sullo sfondo, un ponte dai piloni magri e tanto disordinato, gagliardo verde. Al rumore dell’acqua, si aggiunge il vociare, in sottofondo, di alcuni bambini, che giocano in prossimità del fiume. Il volo di un uccello richiama uno di essi, che, con lo sguardo, sembra seguire il tragitto del volatile. Intanto, in lontananza il fiume sembra trasportare qualcosa ancora d’indefinito. Il bambino si accorge che è la sagoma di una ragazza; indossa una maglia chiara ed una gonna scura, sembra la divisa di una liceale. I suoi lunghi e folti capelli sono quasi imprigionati dall’acqua, stretti in un tragico, fatale abbraccio.

Una piccola città con tante case basse sparpagliate; la protagonista, Mi Ja (l’attrice Yoon Jeong Hee), una donna sulla sessantina, è in attesa di essere visitata ed, intanto riempie il tempo con altri pazienti, davanti ad una tv, seguendo un programma con poco interesse; una mamma cerca di attirare l’attenzione della figlia piccola, che non ne vuol sapere di star ferma, mentre un giovane attende presso il ricevimento.  La sala di attesa del piccolo ospedale appare assai ordinata e pulita. Squilla il telefono di Mi Ja, la quale impiega del tempo, per rintracciare l’apparecchio all’interno della borsa; si sente osservata dai presenti, infastiditi dalla suoneria. Avverte l’ignoto interlocutore che è ancora in ospedale, in attesa di essere ricevuta dal medico, quando un’infermiera la invita ad entrare: è arrivato finalmente il suo turno. La signora indossa un magnifico cappellino chiaro, una camicia assai colorata conferisce un tono di graziosa femminilità; si muove con eleganza; la borsa è nella mano destra. L’infermiera la guida verso lo studio: apre la porta, per farla accomodare. Il dottore, in quel momento, è impegnato davanti al computer, tantoché punto si accorge che la paziente si sia accomodata sulla sedia posta al di là della sua scrivania.

«Buongiorno. Che disturbo ha?»

«Il braccio. Ho sempre un formicolio al braccio destro».

Il medico le si avvicina, per toccare la parte; ma ben presto capisce che forse non dovrebbe essere l’arto a destare preoccupazione, ma la memoria: Mi Ja, infatti, alza gli occhi al cielo alla ricerca di qualcosa, che non trova in sé, mostrando evidenti segni di smemoratezza. Dopo qualche attimo di esitazione, sorridendo spiega al dottore il sintomo, che avverte nel braccio. Confessa che dalla scorsa primavera soffre per delle amnesie momentanee, che preoccupano il dottore, convinto che potrebbero essere un segnale d’allarme ed infatti le consiglia di sottoporsi ad esami specifici presso un ospedale meglio attrezzato per questo tipo di sintomi.

Preoccupato, espressivo, dolce, tenero il viso della protagonista, con degli occhi mobilissimi, alla ricerca forse di ulteriori spiegazioni; ora la borsa è stretta tra le due mani, sembra voglia ricavare forza.

Dal parcheggio del piccolo nosocomio, Mi Ja telefona alla figlia, spiegandole la causa della visita: quel dannato formicolio al braccio destro, rincuorandola, mentre nulla accenna sui vuoti di memoria, di cui è vittima. Improvvisamente è distratta da alcuni lamenti provenienti da una donna, visibilmente spaventata, accompagnata presumibilmente dal figlio, un bambino vestito molto sciattamente, come la mamma. La donna deambula scalza senza requie, lamentandosi, inascoltata dai presenti, operatori dell’ospedale e pazienti. Perde l’equilibrio e l’unica ad avvicinarsi è Mi Ja, che prova a comprendere quale sia la causa di tanto, manifesto dolore in mezzo a tanta manifesta indifferenza. Il pianto sempre più violento della donna non attrae alcuno tra i passanti, ognuno preso dalla quotidianità, che non contempla affatto la solidarietà umana: il dolore appartiene solo a chi lo prova. Qualcuno rallenta il passo solo per avere una descrizione più minuta di ciò che la donna sta vivendo, pur non compenetrandosi affatto di quell’atto così umano, così terribilmente drammatico. Ecco: l’indifferenza, che uccide l’uomo, condannandolo alla solitudine, disperato tra disperati, solo tra una moltitudine di suoi simili.

All’interno di un piccolo emporio, Mi Ja scambia poche parole con la cassiera, che le consegna delle chiavi di un appartamento, dove la attende il suocero, anziano e con problemi alle gambe. Salite due rampe di scale, si trova davanti una porticina.

L’uomo appare ribelle alla richieste di Mi Ja, che vorrebbe lavarlo; il volto è contratto in una smorfia dolorosa, tantoché fatica – e non poco – a parlare. Terminate le faccende domestiche, Mi Ja riceve il convenuto dall’anziano signore, che è seduto in terra in una camera, dove trova posto anche una sedia a rotelle; abbandona l’appartamento, dedicandogli un generoso inchino.

Mi Ja riceve ulteriore compenso dalla nuora dell’anziano signore, alla quale confessa di essere stata già pagata; la donna non pretende nulla indietro. Poi…una nuova amnesia: fruga nella borsa alla ricerca di… «quello dove si mettono i soldi». Fortunatamente la donna dell’emporio le viene in soccorso e la nostra protagonista ritrova il sorriso ed inizia a raccontare ciò che è successo poco prima in ospedale. Quel cadavere, che tristemente galleggiava in acqua, era stato portato nella clinica; la ragazza si era suicidata, gettandosi da quel ponte dai piloni magri e la mamma mostrava tutta la sua disperazione. Purtroppo, il suo racconto è inascoltato.

All’indifferenza si aggiunge l’incomunicabilità, la mancanza di empatia umana, il non sapersi riconoscere, il non compenetrarsi e condividere alcuna emozione; in fondo, perché interessarsi degli altri? Ognuno sbrighi le sue faccende.

Mi Ja tristemente lascia l’emporio.

Per rincasare, si serve di un mezzo pubblico e davanti alla fermata nota un manifestino: «… iscrizione chiusa…», un poco delusa si avvia verso casa, che si trova in un quartiere molto popolare. Quanto stride la sua eleganza con l’ambiente circostante: depresso, senza luce, disordinato. Intanto, in casa qualcuno sta ascoltando della musica ad alto volume; la donna si muove in ambienti stretti, resi ancora poco agevoli dalla presenza di mobilio, che tappezza le pareti, così come la cucina ingombra di elettrodomestici. La donna si precipita in camera del nipote, Jong Wook, che dorme rannicchiato sul lato destro; spegne la radio e cerca, senza successo, di svegliare il ragazzo.

Mi Ja ha preparato il pranzo, che Jong Wook, il nipote, divora intento a dividere lo sguardo tra le due ciotole e la piccola televisione, che si trova vicino al tavolo da cucina. Finalmente, il ragazzo sembra accorgersi della nonna: le chiede di acquistargli un nuovo cellulare, che non funzionerebbe bene, tantoché Mi Ja, durante la mattinata, aveva cercato invano di raggiungerlo, per informarlo della ragazza suicida, sua collega. Quando Joon Wook conosce il motivo della telefonata, si distrae dalle parole della nonna, intenta a cuocere dell’altro cibo, e dedicare la sua attenzione alla tv. La nonna insiste: vorrebbe sapere il nome della ragazza; il nipote risponde che non erano amici, non può fornire alcuna risposta: meglio mangiare che ascoltare le sue chiacchiere! Finalmente Mi Ja chiude ogni possibilità che sia lei ad acquistargli un nuovo cellulare e gli consiglia di chiedere alla mamma.

S’è fatto sera: è caldo. Nelle strade male asfaltate, Mi Ja gioca col nipote a tennis con una pallina di plastica; due signore chiacchierano tra loro, e degli anziani usano dei ventagli assai graziosi, per ricavare un po’ di sollievo dal caldo. La nonna rimprovera il nipote di trovare poco divertente il gioco; ella ha bisogno di praticare esercizio fisico, al fine di esercitare il braccio offeso. A Jong Wook interessa davvero poco e si sottopone a quella prova con evidente malessere. Il nipote riceve un messaggio sul cellulare, che legge prontamente, per poi abbandonare la nonna, sola, in strada. Mi Ja avverte, ancora una volta, la separazione, l’abbandono, il disinteresse.

Informa la figlia del comportamento di Jong Wook, sempre più perso dietro al computer, mentre si sta dirigendo verso un centro culturale, che si trova in un enorme palazzone, per iscriversi ad un corso di poesia. Nonostante le iscrizioni siano chiuse, chiede ad una ragazza se sarà possibile riaprire i termini: «…forse per una sola persona, c’è posto. Ci tengo molto a seguirlo». Il sorriso dell’anziana merita certamente la riapertura dei termini.

Il professore è un uomo sulla cinquantina; i suoi capelli sono tinti di nero, per apparire più giovane. Indossa una maglia color prugna sotto una giacca grigia; inforca degli occhiali dalla montatura pesante e, quando parla, agita le mani piccole e tozze. Egli insegna che il poeta debba vedere bene ciò che lo circonda. Estrae, quindi, dalla tasca della giacca una mela, quando qualcuno bussa alla porta e scopriamo così che la classe è composta da diverse persone oltre la quarantina, molte donne vestite decorosamente, ma senza lusso. Tutti sono ordinatamente dietro un banco con l’occorrente per prendere appunti. La stanza è spaziosa, piena di luce; alcuni manifestini sono appesi sulle pareti ed una libreria, proprio in prossimità della porta d’ingresso, raccoglie dei volumi. Mi Ja intanto compie qualche timido passo, quando gli allievi si voltano incuriositi. Il professore riprende la sua spiegazione, agitando la mela.

Egli spinge i suoi allievi ad essere dei bravi ed attenti osservatori dell’oggetto da descrivere, essere interessati. Tutto ciò al fine di suscitare un movimento interiore, «come acqua che zampilla», che genererà le giuste parole.

Gli allievi avranno a disposizione un mese, per scrivere una poesia.

I piatti, usati per la colazione, attendono di essere lavati all’interno del lavabo; Mi Ja osserva il mobilio della cucina; alla ricerca di cosa? Dell’ispirazione per scrivere una poesia? Dal tavolo, prende una mela, portandola verso il lampadario, perché ne esalti i colori

L’incanto dell’osservazione è improvvisamente interrotto dall’arrivo in casa di alcuni amici del nipote, Joon Wook. Che strano, ad un’ora così tarda. Sono cinque liceali, che salutano rispettosamente l’anziana signora, per chiudersi all’interno della camera del nipote. La donna osserva disincantata il passaggio degli amici di Joon Wook, chiedendosi invano il motivo di quell’ordinata invasione.

La mela è lì, davanti a lei, sopra un vassoietto marrone; Mi Ja è distratta, vorrebbe sapere cosa stiano facendo quei sei ragazzi rintanati nella minuscola camera del nipote, che ha chiuso a chiave la porta, per impedire sorprese poco gradite. Dopo aver bussato ripetutamente, Joon Wook apre scocciato, per congedare la nonna: egli ed i suoi amici non hanno bisogno di nulla. Mi Ja è costretta così a tornare alle sue occupazioni: la mela è lì, sul tavolo; prende un coltello ed inizia a sbucciarla: meglio mangiarla che osservarla.

Che bello il rumore del vento, che passa tra le foglie di un grande albero. Mi Ja guarda il muovere disordinato, seduta al riparo su un gradino; continua l’osservazione, metodo del poeta, per creare, «ascoltando i pensieri». Ancora una volta il telefono squilla! Rotto l’incantesimo. E’ il papà di Ki Bum, un amico del nipote, che le fissa un appuntamento nella tarda mattinata. Chiude il telefono, mentre il vento scuote le foglie.

«Scrivere poesie significa ricercare la bellezza». Il Bello che insegue l’uomo; la bellezza di cui l’uomo è vittima; il Bello quale sublimazione del fenomeno; la bellezza quale fascinazione e stordimento dei sensi.

Anche nella poesia, afferma il professore, si deve cercare,  per esaltare, la bellezza, trovandola ovunque; quindi, risalire all’essenza del bello, che è nell’immanifesto, nel vuoto, nell’assenza, nella potenza. Allora, solo cercando in se stessi, si può cogliere il bello nell’assente, il bello nel vuoto.

Mi Ja, alza la mano, per chiedere, quando arrivi l’ispirazione. Il professore risponde che difficilmente arriverà da sola, poiché essa è come una bella signora: vuole essere supplicata, corteggiata e, sapendo di essere bella, non si concede poi così tanto facilmente. Quindi l’ispirazione è realizzazione per pochi, per gli eletti.

Un’automobile attende Mi Ja, all’interno il papà di Ki Bum, un signore vestito semplicemente. Così, mentre alcuni scolari del corso di poesia lasciano la sede, Mi Ja si accomoda nell’utilitaria, per incontrare i genitori degli amici del nipote, che la sera prima si erano rintanati nella stanza di Joon Wook.

«Diventerà una poetessa?», chiede sorridendo bonariamente il papà di Ki Bum. In fondo, Mi Ja non chiede molto; sarebbe già felice, se potesse scrivere una sola poesia. La signora è fortemente preoccupata, poiché ignora i motivi dell’incontro, proposto dall’uomo, dovendone poi informare la figlia divorziata, che vive nella città di Busan. In una saletta riservata di un bar, il padre di Sun Chang, uno dei sei ragazzi, informa della morte di una giovane di modeste condizioni i convenuti, tra cui Mi Ja, che ascolta visibilmente scossa, quando apprende che la ragazza si è suicidata, perché violentata da alcuni amici, nel laboratorio di scienze, che più tardi avrebbero confessato la propria colpevolezza al Vice Preside. Mi Ja rifiuta della birra, che le viene offerta; è troppo scossa dalla notizia, che coinvolge drammaticamente suo nipote oltre i figli dei cinque padri presenti. I convenuti devono decidere un’azione comune a difesa dei colpevoli: i loro figli. Proporranno un indennizzo alla mamma della vittima (30.000.000 di won), con l’accordo anche dell’istituzione scolastica, che mirerebbe ad insabbiare il caso, al fine di non rovinare il buon nome del liceo. Mentre gli uomini discutono, Mi Ja abbandona la saletta, così viene raggiunta dal papà di Ki Bum, mentre sta scrivendo degli appunti su un taccuino, alla ricerca dell’ispirazione da parte di un fiore rosso

La donna guarda il nipote, attratto da un programma televisivo, domandandosi se sia vero tutto ciò che ha ascoltato. Una giovane violentata da un branco e Joon Wook parte del branco. Possibile? Cosa fare?

Quando il nipote esce, per recarsi a scuola, Mi Ja si reca in camera del giovane alla ricerca di tracce della sua colpevolezza. Rovista nei cassetti, stacca la spina della radio perennemente accesa; la sua ricerca è comunque vana, inutile. Riceve la comunicazione dell’incontro dei genitori col Vice Preside, il quale si raccomanda la massima discrezione sull’accaduto, per il futuro dei ragazzi e per non infangare il buon nome della scuola, cercando di chiudere la brutta partita con la mamma della vittima nel più breve tempo possibile. Mi Ja si reca in chiesa; all’ingresso, su un tavolinetto, una candela è accesa davanti all’immagine di una ragazza: la vittima del nipote carnefice. Quanta pietà, quanta compassione nel suo sguardo per la giovane vita spezzata da così orribile dolore.

Un sacerdote sta celebrando la messa in suffragio della giovane vittima, seguita da pochi fedeli, tra cui tre giovani studentesse in divisa, che attirano il suo sguardo. Il dolore è un ostacolo anche per partecipare alla preghiera comune, quindi velocemente guadagna l’uscita, mentre l’organo intona l’inno liturgico. Poco prima di abbandonare l’edificio sacro, stringe tra le mani la foto della vittima, prelevandola dal tavolinetto, fissandola, per poi introdurla furtivamente nella borsa, badando di non esser vista.

La quotidianità sembra sospendere quell’orribile pensiero; c’è l’anziano da assistere, il quale si accorge che qualcosa stia turbando la mente della sua assistente

La donna gli serve dell’aranciata ed evita di rispondere all’assillante investigazione dell’anziano. Quindi, si reca in bagno, per sfogare, sotto il getto violento della doccia, il suo dolore in un pianto intimo, doloroso, silenzioso.

Joon Wook è disteso sul pavimento della cucina, attirato dal dannato mezzo televisivo, non curandosi affatto della presenza della nonna alle sue spalle, mentre mangia dei pop corn, prelevandoli da una busta di plastica; quindi si alza, per recarsi in camera, immediatamente rincorso da Mi Ja, perché riordini il pavimento dagli scarti alimentari lasciati. Il ragazzo ubbidisce stancamente, per poi ritirarsi in camera; finalmente!

Ancora un altro esempio dell’invadenza della tecnologia; chissà quante storie avrebbe da raccontare la nonna, chissà quante storie potrebbe conoscere il nipote, eppure ognuno si chiude nella sua stanza in compagnia della televisione e del computer. Due mondi separati dalle mura domestiche.

Mi Ja preferisce spegnere la tv; è in compagnia del suo dolore. Vorrebbe parlare con Joon Wook, ma forse non riesce – a proposito dell’incomunicabilità – a trovare un linguaggio, che attiri l’attenzione del giovane. Forse, la tecnologia sta cambiando anche le modalità di comunicazione, sicché il linguaggio verbale diventa incomunicante. 

Il giovane già dorme, quando la nonna si affaccia in camera; lo scuote e, nonostante Joon Wook appaia insofferente alle richieste di aprire gli occhi, Mi Ja gli urla in faccia la sua colpa: «Perché l’hai fatto?». La donna, stremata, rinuncia; non ha ricevuto alcuna risposta dal colpevole nipote, che continua a coprirsi con le coperte. Poi spegne la luce ed esce, lasciando il reo in un silenzio irreale.

Al corso per poeti, un’allieva racconta che crebbe grazie alle cure affettuose della nonna. Parla con voce dimessa, come i suoi abiti; il viso senza trucco. Una volta su un largo foglio bianco, scrisse il testo di una canzone, perché potesse insegnarlo alla nonna. La sua voce, al ricordo di quel lontano evento, si rompe a tratti dall’emozione, come se riaffiorassero in sé antiche, ancestrali emozioni sopite. Confessa quindi la scomparsa della nonna e l’emozione si trasforma in pianto sommesso e contenuto per pudore.

Un’altra allieva invece confessa di aver avuto il primo figlio intorno ai quarant’anni. L’uscita dal ventre materno è descritto come «una massa ardente come il sole»; quindi unisce le due mani, quasi a voler raccogliere dolcemente quel corpicino appena nato. La voce si nutre di entusiasmo, suggerito dal bel ricordo di quel momento così misterioso.

Un allievo invece non trova ricordi, che potrebbero interessare i presenti. Ha una gran massa di capelli, che gl’incornicia il volto dalla carnagione scura, il naso adunco tra due occhi, che sembrano fessure e le labbra larghe; sorride mostrando una dentatura perfetta.

Poi qualcosa riaffiora. Per vent’anni, ha vissuto in un seminterrato e, da appena 6 anni, vive in un nuovo appartamento pieno di luce: «è stato il più bel momento per me».

Dei ragazzi giocano su un campetto di calcio disastrato; Mi Ja li osserva seduta su una panchina a bordo del campo, la borsa appoggiata sopra le gambe. Il rumore del vento, che scuote le foglie! Ecco; la sua attenzione è a quel rumore, a quelle foglie, il cui movimento sembrerebbe spazzare via ogni residuo del tempo. Dalla borse estrae il suo taccuino e, guardando l’albero, annota qualcosa

Ripone il taccuino al suo posto e cammina, fiancheggiando il campo da calcio. Ora è all’interno di un edificio scolastico, dove cerca di spiare il laboratorio di scienze, il luogo dello stupro. Molte provette sono ordinatamente riposte su diversi tavoli, tutto è pulito. La donna non sa ancor comprendere come quel luogo abbia potuto trasformarsi in un’orribile inferno per la povera giovane.

In una sala della scuola, una signora sta recitando delle poesie; Mi Ja chiede di potersi unire al folto pubblico femminile ad una ragazza, che si trova sulla porta d’ingresso. Ricevuto il permesso, sfila tra le persone sedute, distratte dal suo movimento, finché la donna trova una sedia libera. L’annunciatrice termina la lettura della poesia accolta da un grande applauso; più volte, s’inchina ringraziando verso il pubblico. Ora è la volta di un giovane, alto, dal fisico asciutto. Indossa una maglietta rosso spento con dei jeans; prende il microfono e si sistema sul piccolo palco preparato per i dicitori.

Il terzo annunciatore è, invece, un signore sulla quarantina claudicante causa un brutto incidente.

Ragione di una spina di rosa

Non cercare di derubarmi.

Quando sento le spine in me

Come brividi per tutto il corpo

Io sogno il suicidio con un sorriso cremisi.

Non provare a distogliermi dicendomi:

«Sei bella!».

E’ il bacio sulle rosse labbra,

la passione disperata che la purezza ricerca.

E ora ti chiedo:

«Non mi amare più»

Le ruote delle stagioni continueranno a girare.

La lettura della poesia colpisce molto l’uditorio, sicché l’uomo offre delle sue interpretazioni a quanto letto. Quale ideogramma cinese usare, per descrivere la parola «bacio»? Dal momento che due lingue si toccano ed allora si potrebbe tradurre con: «lingua va, lingua viene». La soluzione suscita molta ilarità; ecco rovinato l’incanto! Ma in un bacio, le labbra si scontrano ed allora si potrebbe tradurre: «auto contro auto». E tra le risate, lascia il piccolo palco, mentre Mi Ja si avvicina delicatamente verso una poetessa, per complimentarsi del suo lavoro, di cui è stata fino a quel momento uditrice. La poetessa spiega che i versi sono zampillati dal suo cuore; il dialogo avviene davanti ad un tavolinetto, su cui è poggiata una candela accesa; le signore sono sedute. Il volto della poetessa s’illumina nella descrizione del suo moto interiore, tantoché paragona l’atto creativo «al batter d’ali di una farfalla». Mi Ja la guarda ammirata, concentrata su ogni parola, al fine di ricavarne sensazioni, che potrebbe utilizzare, quando sarà chiamata finalmente a scrivere.

L’uomo attende, sdraiato sul pavimento, l’arrivo di Mi Ja, il volto perennemente fissato sulla smorfia, che gli sfigura il viso. Indica alla donna delle vitamine, che vorrebbe prendere senza fornire ulteriori spiegazioni. Visto il crescendo di rabbia, con cui l’uomo accompagna il suo parlare a stento, Mi Ja riempie un bicchiere d’acqua ed inserisce in quella bocca storpiata dalla malattia la pillola, aiutandolo a bere.

Mentre l’uomo è nella vasca da bagno, il suo respiro diventa affannoso; Mi Ja punto si preoccupa e continua a lavarlo; poi, improvvisamente l’uomo dimostra una forza sconosciuta, sicché vorrebbe costringere la sua badante ad assisterlo per altre funzioni, che Mi Ja rifiuta schifata. Recandosi in camera da letto, scopre che l’uomo non avrebbe ingerito delle vitamine ma del viagra, ecco il motivo di tanto ingiustificato ardore. Il volto della donna descrive pienamente il dolore della ferita ricevuta; il suo sguardo è spento, incolore, continua a guardare il volto dell’uomo. Poi, in un attimo di dignità, getta i panni addosso all’invalido, ordinandogli di vestirsi da solo ed abbandona anzitempo la casa.

Mi Ja attende il suo turno all’interno della sala d’attesa di un ospedale. Nota immediatamente delle camelie, «i fiori d’inverno, i fiori rossi del dolore», che attendono ad un tocco di eleganza, nello studio della dottoressa, che si mostra interessata alle interpretazioni della paziente, che si qualifica quale aspirante poetessa. Mi Ja conosce la realtà della sua malattia: Alzheimer. La donna volge il suo sguardo ancora ai fiori, in cerca forse di chissà quale consolazione. Uscita dall’ospedale, prende un taxi, ma, al momento d’indicare la destinazione all’autista, smarrisce il luogo. L’uomo attende con volto inespressivo ed a tratti scocciato le tante parole, che Mi Ja indica, alla fine sarà proprio lui ad intuire la destinazione: la stazione dei bus.

Mi Ja prende appunti, guardando alla sua destra, lo scorrere delle acque del fiume, mentre siede su un autobus.

Il papà di Ki Bum percorre con passo accelerato uno stretto corridoio; egli ha fissato un appuntamento ed è in ritardo evidente. Si ferma in prossimità di una sala, dove Mi Ja si diverte nel karaoke

La stanza è grande, le luci basse, la donna siede su un ampio divano, da sola, ed, impugnando un microfono, canta con voce delicata una canzone folk. Terminata l’esibizione, l’uomo applaude divertito, Mi Ja, che non si era affatto accorta della presenza dello spettatore, si alza, ringraziandolo. La donna ha convocato il papà di Ki Bum, per chiedergli dei soldi in prestito da consegnare alla mamma, quale sua parte, della ragazza suicida. Purtroppo, la richiesta non può essere evasa; i due si congedano, mentre l’uomo consiglia alla signora di chiedere aiuto alla figlia, la mamma di Joon Wook.

Un’allieva del corso di poesia racconta la sua esperienza nell’ambito della chiesa. Ha i capelli raccolti ancora tutti molto scuri, il viso è lungo, due occhietti vivaci ed un naso appena pronunciato su delle labbra assai morbide. Parla coi fiori, posti sul sagrato e ciò le dona tanta serenità.

Una donna parla del suo amore impossibile, perché l’uomo, di cui è pazzamente innamorata, è sposato come lei. Solo una volta fecero l’amore e quel ricordo è ormai indelebile, è parte importante della sua vita; inutile cancellarlo.

E’ il turno di Mi Ja. La donna, visibilmente commossa, ricorda un episodio della sua infanzia; era in compagnia della sorella, che la invitava ad avvicinarsi. Il dolore inizia ad essere pesante e i suoi occhi si riempiono di lacrime, cosicché è costretta ad interrompere il racconto.

Mi Ja si trova sul ponte, da cui si sarebbe gettata la giovane, amica del nipote. Guarda la maestosità delle montagne, che s’affacciano sul fiume

vento è impetuoso tanto da farle volare il cappellino; lo sguardo della donna segue il lento volo dell’indumento, che finisce in acqua, vittima della forte corrente, che lo trascinerà chissà verso quale meta.

Vaga su un sentiero sterrato, accompagnata solo dal forte rumore del vento poi, su un grande masso, si siede, estrae dalla borsa il suo taccuino ed inizia a scrivere, seppur con evidente esitazione. E’ alla ricerca delle parole? E’ vittima quindi della sua malattia? Il foglio si riempie di gocce; ella impassibile, lo sguardo attendo solo allo scorrere del fiume lì accanto. Ora la pioggia è insistente, Mi Ja, seduta su quel potente masso, sembra abbandonata, non partecipe alla furia dell’elemento. Sembra aver smarrito ogni capacità di reazione.

L’autobus, che la accoglie fradicia, è frequentato da pochi passeggeri; una bambina dorme accanto alla mamma in fondo al mezzo, vicino al posto occupato da Mi Ja, stretta nei suo cupi pensieri, forse inconfessabili anche alla sua profonda interiorità. I vestiti bagnati si stringono alla pelle, causando tanti brividi di freddo. Arrivata all’emporio, gestito dalla figlia del signore anziano, chiede le chiavi, per riprendere il suo lavoro di badante. L’assistito è semi sdraiato a terra ed, alla vista di Mi Ja, punta le mani sul pavimento, al fine di alzarsi; la sua iniziativa si spegnerà in pochi attimi, senza alcun risultato. La donna offre del viagra all’anziano, poi, nella vasca da bagno, i due corpi nudi incroceranno il loro destino. Massaggia delicatamente il petto dell’uomo, attendendo sui capezzoli; le dita ora si aprono a ventaglio per chiudersi poco dopo. L’uomo, pur rimanendo inespressivo, sembrerebbe provare del piacere dallo sguardo improvvisamente acceso, che fissa il volto della sua compagna. Quando indugia sul suo sesso, l’uomo ansima, il viso, storpiato da quella smorfia, si contrae ancor di più, è iniziato il cammino verso l’estasi. La donna tenta di porsi a cavalcioni sul disabile, che assiste immobilizzato; si arpiona alle deboli spalle del partner e con un volto dimesso sembra abbandonarsi al suo destino. I movimenti del suo corpo sono lenti, mentre lo sguardo torna ad assentarsi da quell’orrenda realtà, che la vede, partecipe contro la sua volontà, coprotagonista. Anche ella ora partecipa a quel sodalizio di due corpi consumati dal tempo; sembra riviva un antico piacere lontano. Il corpo è l’elemento fisico, ma la testa non è parte fisica: il suo sguardo è altrove. Ella sta vendendo il suo corpo a quell’uomo per necessità economica: triste, molto triste e soprattutto alla sua età.  Porta le mani verso quel viso sfigurato, forse per trovare dei vaghi appigli a quel suo gesto estremo; poi riprende il movimento lento, regolare.

Sente in sé tutta la vergogna per quel gesto; forse avrà anche regalato qualche attimo d’intima soddisfazione ad un essere umano, così colpito dalla malattia. Purtroppo, non è stata una scelta d’amore, ma di terribile necessità: perché dovrà pagare le colpe d’altri? Il motivo? Passeggia verso casa, il passo è pesante. Anche quella vezzosa camicia a fiori, sembra aver perso l’acceso scintillio dei tanti colori, quando è risvegliato dall’assenza da un signore, che le si avvicina e si presenta come cronista. Indossa dei jeans scoloriti ed un’improbabile camicia a strisce. Tiene sulla spalla destra una grande borsa di finta pelle. L’uomo affabile, gentile, dal sorriso candido vorrebbe conoscere a che punto sarebbero le trattative con la mamma della ragazza suicida. La donna confessa che le difficoltà deriverebbero dalle resistenze della famiglia. Vorrebbe andar via, ma il giornalista la trattiene. Nonostante sembri usare della forza, la donna riesce a svincolarsi e si allontana.

In uno studio, Mi ja incontra i padri dei ragazzi coinvolti nel gravissimo fatto di cronaca; si dimostrano assai preoccupati da quanto dichiarato al cronista. Il papà di Sun Chang chiede a tutti di fare in fretta ed incarica direttamente la donna d’incontrare la mamma della defunta, aiutato dalla complicità dei presenti, che scaricherebbero così ogni responsabilità, in caso di cattiva riuscita, su Mi Ja.

La casa della mamma di Hae Jin, la ragazza suicida, si trova in una zona male equipaggiata; in mezzo alle montagne, lontana dal centro abitato, dove neanche le strade sono asfaltate. Un piccolo cane legato ad una catena, all’arrivo di Mi Ja, abbaia rumorosamente. La donna entra in casa: è di legno; sulle pareti tante foto di Hae Jin: in divisa scolastica, sorridente vicino a dei fiori. Una vicina intanto, accortasi della presenza dell’elegante signora, la informa che la mamma di Hae Jin sta lavorando nei campi e tornerà solo al tramonto.

Mi Ja decide di raggiungere la donna nei campi, seguendo le indicazioni dalla vicina. Eccola sorridere tra l’erba, guardare la forma dei fiori; quanta serenità nella natura. Ecco l’occasione, per annotare sul taccuino sensazioni ed emozioni. Una donna sta raccogliendo dei prodotti dell’orto; Mi Ja si avvicina con educazione e descrive la bellezza della natura e quindi si allontana con un inchino dall’interlocutrice. Compiuti pochi passi, si ferma; il volto sembra aver colto qualcosa, poi riprende a camminare sempre più pensosa. Si volta repentina verso la contadina, intente a mettere dentro una cassa il prodotto dell’orto: meglio andar via.

Mentre siede all’interno di un autobus, telefona al padre di Ki Bum, informandolo di non aver incontrato la mamma della ragazza suicida. Un’anziana signora a lei vicino dai tratti severi del volto la osserva.

Mi Ja partecipa alla riunione dei poeti nell’edificio scolastico; stavolta l’aula è davvero piena di persone, prevalentemente donne; tra i dicitori un poliziotto, la cui esibizione trova la critica di Mi Ja: non cerca la bellezza, è in vena di battutacce. L’interlocutrice la informa che il poliziotto lavorava alla polizia di Seul, avendo poi denunciato alcune corruzioni interne, per «punizione» è stato trasferito in una città di provincia. L’uomo, accomodato qualche tavolo più in là, scherza e provoca della risa da parte delle sue vicine, che punto disturbano il lettore, impegnato a recitare l’ennesima poesia.

A cena, qualcuno riferisce al poliziotto che Mi Ja abbia criticato il suo modo di agire, ben lontano dalla discrezione, che dovrebbero presiedere le azioni di un poeta. L’uomo si scusa pubblicamente con la signora, offrendole un bicchiere di alcool. Mi Ja accetta l’offerta, mentre entra inaspettatamente il professore Kim Hyeong Taek del corso di poesia, seguito dalla protagonista. I commensali gli offrono un posto al loro tavolo, di fronte a Mi Ja, che immediatamente è riconosciuta. Il professore dichiara che la poesia agonizza e presto non se ne scriveranno. Mi Ja chiede, ancora una volta, come poter scrivere delle poesie; la voce  è davvero commovente. Un poco alla volta, attira l’attenzione di tutti i presenti, nel raccontare le sue difficoltà a trovare l’idea, che si cela nel cuore. In onore del professore, qualcuno intona una canzone, tra le facce alquanto smarrite dei presenti, che sembrano guardarlo con compassione, non essendo certo il canto la miglior arte per l’esecutore.

Il poliziotto abbandona la sala, per fumare, quando vede Mi Ja, che piange. L’uomo non sa cosa fare, come agire, pone delle domande, alle quali non riceve risposta.

Quella domenica mattina, Joon Wook si alza molto presto e, senza neanche salutare, chiede del cibo alla nonna ed accende la televisione cambiando velocemente i canali.

Mi Ja dal balcone vede il nipote, che gioca con dei bambini, servendosi di un hula hop. Sembra divertirsi; come può un bambino aver commesso un crimine così orrendo? Violentare una sua coetanea?

Mi Ja torna nello studio del padre di Sun Chang: c’è il giornalista, che l’aveva importunata e la mamma di Hee Jiin, che aveva dichiarato di non aver incontrato, così abbandona istantaneamente la riunione, inseguita dal padre di Ki Bum, che le chiede delle spiegazioni per quell’improvvisa decisione. Mi Ja confessa di non avere ancora i soldi occorrenti, per pagare la sua parte di quota.

C’è riunione di famiglia in casa dell’anziano; i nipoti giocano col nonno, mentre i genitori osservano con amore il volto del malato. Mi Ja inaspettatamente bussa alla porta, confessa di dover urgentemente parlare con il suo assistito.

Appunta nervosamente delle osservazioni, mentre guarda l’uomo, cui consegna il suo taccuino: è la richiesta di 5.000.000 di won. Mi Ja potrà ora recarsi al convegno coi genitori del branco e consegnare la sua quota. In una sala giochi, va a riprendersi il nipote, distratto dagli amici e punto interessato ad abbandonare quel paradiso artificiale. Poi, con tanto dispiacere e a causa delle insistenze della nonna, è costretto ad uscire da quel luogo, che gli è tanto caro, per recarsi in pizzeria

All’arrivo del cibo, Joon Wook si avventa con decisione, prelevando dal piatto due tranci e punto preoccupandosi del’anziana nonna, che gli siede davanti. La donna lo vede mangiare; gli chiede di essere maggiormente ordinato, il nipote risponde con dei versi, preoccupato di inghiottire cibo. Interrompe quel felice esercizio, quando la nonna gli comunica che l’indomani riceverà la visita della madre. Poco dopo, riprende a mordere il trancio di pizza ben saldo nelle mani.

E’ sera, rinchiusi nella cameretta, Mi Ja istruisce il nipote sul comportamento, che dovrà tenere con la mamma. Il ragazzino ascolta molto annoiato e a tratti quasi scocciato quella sequela di consigli, simili ad interminabili litanie. La nonna gli ricorda come debba curare principalmente la pulizia personale.

Giocano con impegno a tennis con una piccola pallina di plastica; Joon Wook sembra essere molto concentrato. Il lungo scambio è interrotto dall’arrivo di un’automobile, che si ferma dappresso, da cui scende il poliziotto – aspirante poeta accompagnato da un collega. I due non indossano la divisa. Mentre Mi Ja attende a recuperare la pallina finita tra i rami di un albero, i due tutori dell’ordine si avvicinano a Joon Wook. Dopo vari tentativi, Mi Ja riesce a recuperare la pallina e così è invitata a proseguire la partita con il poliziotto – aspirante poeta, mentre il collega si allontana con Joon Wook, che comunica tutta la sua disperazione, guardando la nonna. Inizia la partita; la donna è preoccupata per ciò che accadrà al nipote, che è caricato in macchina dall’agente; la donna consta della sua impotenza davanti a quel tragico evento. Rimane, per un attimo, con la racchetta tra le mani, lo sguardo fisso sull’automobile, nel cui abitacolo è stato introdotto il nipote. La macchina si allontana. Riprende la partita, nulla può.

Scrive nervosamente al tavolino di casa, in assenza di rumori, siamo nel cuore della notte.

Il professore entra in classe, passando tra i banchi, dove attendono i suoi allievi, che avrebbero lasciato sulla sua cattedra, in segno di profondo ringraziamento, un bellissimo mazzo di fiori bianchi. L’insegnante commosso ringrazia. Qualcuno timidamente osserva che in fiori – in verità – sono un regalo dell’assente Mi Ja, la quale ha introdotto nella confezione una sua poesia: «Canzone per Agunes».

Come si sta lassù. Ti senti molto sola?

Il cielo diventa sempre rosso al tramonto

Senti ancora cantare gli uccelli che volano verso il bosco?

Lì dove sei, puoi ricevere la lettera, che non ti ho mai scritto.

Puoi ascoltare la confessione che non ti ho mai fatto

Le rose continuano ad appassire col trascorrere del tempo

E’ giunto ormai il momento degli addii

Come il vento che indugia e poi se ne va

Come le ombre. Addio alle promesse non mantenute

All’amore rimasto segreto fino all’ultimo.

All’erba che accarezza le mie caviglie stanche

E ad i piccoli passi leggeri che mi seguono.

E’ giunto il momento di dire addio

Ora che sta per arrivare l’oscurità

Si accenderà ancora una candela

Io prego

Perché nessuno debba più versare lacrime di dolore

Perché tu possa finalmente sapere

Quanto profondo era il mio amore per te

Le lunghe attese nelle calde giornate d’estate

Il vecchio sentiero che mi ricordava il volto di mio padre

E persino il crisantemo che timido si gira dall’altra parte

Quanto profondamente vi amavo

E come batteva il mio cuore

Quanto sentivo il tuo dolce canto

Io vi do la mia benedizione

Prima di attraversare il grande fiume nero

Con l’ultimo respiro rimasto nella mia anima

Ancora una volta rivivo il mio sogno

Un mattino radioso pieno di sole

E al risveglio, accecata dalla luce

Ritrovo sempre te

Lì al mio fianco

Il regista Lee Chang Dong

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