Le origini dell’Impressionismo musicale

Claude Debussy fu l’esponente geniale e più significativo dell’Impressionismo musicale; egli seppe trasformare le suggestioni letterarie, pittoriche o, comunque, extra musicale in forme sonore, che germogliarono spontanee dalla sua fantasia, libere da riferimenti esteriori e animate da un intimo palpito.

Più volte si sono descritte le audaci innovazioni armoniche del Debussy, le aggregazioni sonore escogitate, fissando così, attraverso l’analisi tecnica, la caratteristica dell’arte debussiana, operando in senso astrattivo quale limite del disvelarsi dell’incanto di quell’arte, la quale serba ancora tutto il suo fascino inconsumabile, proprie delle cose eterne.

Descrivendo il panorama dello spirito francese sullo scorcio dell’Ottocento, Romain Rolland nel  Jean Christophe, scrive:

«Si vedono là artisti che pretendono la libertà assoluta e illimitata del sogno; soggettivisti sfrenati che disprezzano, come Flaubert, i bruti che credono alla realtà delle cose; pensatori il cui pensiero, ondeggiante e molteplice modellato sul flusso inarrestabile dell’esistenza, cangia e si trasforma perpetuamente, senza trovare mai in nessun luogo il suolo resistente, la roccia infrangibile; spiriti che conoscono il vuoto e il nulla universale, dove l’uomo ha costruito il suo pensiero, la sua arte, la sua scienza, il suo Dio. Essi non chiedono alla scienza il riposo, la felicità, neppure la verità, perché dubitano di raggiungerla. L’amano per se stessa, perché è bella, essa sola bella, essa sola reale».

E’ in questa atmosfera che si elabora la concezione del musicalismo simbolista, prodromo ed incentivo estetico e psicologico dell’impressionismo musicale.

I Romantici avevano attribuito alla musica, tra le arti, di attingere al mistero ed all’inesprimibile; Tieck, Novalis, Wackenroder dichiararono che la musica avesse la capacità di rendere sensibili ed afferrabili le fluidità celesti, i paradisi dell’anima albeggianti nella confusa visione di un ideale irraggiungibile. Il dramma musicale rappresentò la suprema forma d’arte, concepito come unione di tutte le arti, in cui il creatore sintetico, al tempo stesso musicista e poeta, avrebbe stretto i risultati espressivi in una confluenza e compenetrazione, al fine di ottenere un reciproco potenziamento. Richard Wagner, il cui pensiero estetico costituì il vertice del romanticismo tedesco, in Musica dell’avvenire (1860) perimetrò il compito del poeta alla ricerca del significato concreto e germinale della parola ancora fremente dell’originaria immediatezza emotiva, per raggiungere la più alta perfezione e la più adeguata compiutezza espressiva.

La teoria della superiorità della musica nella gerarchia delle arti si accorda colla teoria dello Schopenauer, poiché esprimerebbe direttamente la volontà cosmica nella sua essenza noumenica. Il pensiero è condiviso da Nietzsche, secondo cui la tragedia greca nascerebbe dagli spiriti della musica ed evidenzierebbe che alla radice di ogni lingua vi sia il suono – parola, indicatore di realtà o segno del pensiero, che assumerebbe valore simbolico, quando sia stato ricondotto alle sue scaturigini musicali, riacquistando l’originario potere di suggestione poetica. Baudelaire, nel saggio Tannhäuser, scritto nel 1831, rivelò che la musica ebbe il potere di attingere alla determinazione e alla concretezza della poesia e della pittura, che «tradurrebbe a suo modo e coi mezzi che le sono propri. Nella musica, come nella parola scritta, che pure è la più positiva delle arti, vi è sempre una lacuna colmata dall’immaginazione dell’uditore. […] La musica ha la funzione di esprimere ciò che nel sentimento è d’indefinito, sfuggente alla parola, che tuttavia lo contiene in potenza».

Nelle ricerche dei Parnassiani, si lavorò sulla sensualizzazione sonora della parola cercata per se stessa, indipendentemente dal suo contenuto semantico e quindi la poesia sarebbe stata radicata nell’inconscio e intenta all’intensificazione delle capacità evocatrici e suggestive del linguaggio verbale. La tendenza sarà proseguita dal Decadentismo simbolista, particolarmente innamorato della parola, il cui strumento sarà l’interesse estetico quale stimolatore per la sonorità, come veicolo d’eccitamento emotivo.  

Eduard Schuré nella sua Histoire du drame musicale (1875), scrisse:

«Se dal mondo delle forme visibili e dei fatti, ove si muovono la poesia e le arti plastiche, noi entriamo nel mondo dei suoni e dell’armonia, la nostra prima impressione è quella d’un uomo che passa bruscamente dalla luce a una profonda oscurità. Là tutto si spiega, s’incatena e fa immagine; qui tutto scaturisce dall’insondabile, tutto è tenebre, mistero; là la fissità rigida dei contorni, la logica inflessibile delle forme immutabili; qui il flusso ed il riflusso d’un elemento liquido, in perenne movimento e metamorfosi, che racchiude tutto l’infinito delle forme possibili. In questa notte impenetrabile ove noi ci tuffiamo con la musica, l’onda della vita ci scuote potentemente, ma nulla possiamo vedere e distinguere. A misura, tuttavia, che l’anima s’abitua a questa regione strana nasce in noi una sorta di seconda vista. Essa somiglia alla sonnambula che, presa da un sonno sempre più profondo, s’inabissa nel suo sogno e vede sparire gli oggetti reali. Ma mentre si cancella l’esterno delle cose, l’interno appare con una chiarezza meravigliosa».

La musica rivelerebbe una graduale iniziazione ai più riposti segreti dell’essere, una rivelazione del mistero, un’esplorazione del subconscio e dell’inconscio, che, a poco a poco, s’illumina ed emerge alla coscienza, attraverso un passaggio dal fisico al metafisico, dall’oscurità ai primi bagliori crepuscoli e quindi alla luce aurorale, che inonda il cielo dell’anima.

Secondo Bergson, il mondo sembrerebbe una costruzione edificata per le pratiche necessità della vita sociale, uno schema convenzionale ed utilitario, secondo l’analisi della ragione e della scienza. L’universo è un fiume perenne, di cui disconosciamo la sorgente così come la foce e la forza del suo continuo rinnovamento attingerebbe ad un misterioso impulso di creazione. Preoccupato dai bisogni della vita, l’uomo tenta così di arginare questo flusso, imponendo il corso, su cui scorrere, provocando un’antinomia tra intuizione del processo vitale e ragione, quale strumento di fissità, d’irrigidimento, la quale trasforma il metallo incandescente della vita in cifre di vuote generalità, in astratte formule d’una fallace sistemazione. L’intimo palpito, la segreta pulsazione del divenire cosmico potrà essere colto solo nel profondo della nostra coscienza, per ascoltare le voci, coglierne le sfumature, trattandosi di una filosofia antisistematica ed antidogmatica, perché offrirebbe vigore e risalto al contenuto lirico della personalità, che ripudierebbe tutte le teoriche egualitarie, ponendo in primo piano l’originalità dell’individuo, il valore autonomo ed irripetibile della soggettività, rivelandosi una realtà infinitamente ricca e molteplice. Una tale filosofia, che pone alla base della conoscenza l’atto artistico quale l’intuizione vitale spontanea e irriflessa, è divenuta il verbo di poeti e di artisti, trovando le sue reclute più numerose, i suoi più zelanti fautori.

L’impulso interiorizzato proprio della concezione di Bergson coincide col simbolismo, col preraffaellismo, con l’impressionismo; realtà e sogno confondono i loro raggi, mentre la natura diviene stato d’animo e l’idea naufraga nel suono. L’attrazione tra parola e nota, poesia e musica si registra reciproca, al fine di compenetrarsi vicendevolmente e giungere all’identificazione. L’ispirazione musicale allora s’impernia sul misticismo delle sensazioni fisiche, nella celebrazione della magica virtù del suono e della pausa, musicalità del silenzio, ritmo misterioso ed imprecisabile del sogno. L’arte travalica i propri limiti, poiché l’elemento della pura musicalità diviene scaturigine d’ogni incanto poetico e posto come fattore comune ed essenziale della musica e della poesia.

Mallarmé in La musique et le lettres (1895) invita a superare la vecchia distinzione tra la musica, che apparterrebbe alle parole, e le lettere:

«Non è dalle sonorità elementari degli ottoni, degli archi e dei legni, ma innegabilmente dall’intellettuale parola al suo apogeo che deve, con chiarezza ed evidenza, risultare la musica, quale sintesi dei rapporti che esistono nel tutto».

La poesia decadente denuncia un significato antitetico rispetto a quella classica, che afferma il dominio della pacatezza interiore per mezzo del trionfo della ragione e si differenzierebbe dalla romantica, la quale prenderebbe alito di vita alle sorgenti del cuore, agli slanci e tumulti della passione. La poesia decadente costruisce oasi obliose allo spirito, atmosfere d’una musicalità suggestiva, avviluppante, pervasa da echi di nuovi ed inesplorati mondi di sogno e di mistero, rimasti inaccessibili fino ad allora ai poeti.

Il Decadentismo prese forma d’arte nelle singole personalità, che in Francia trovarono maggiore ed indubbia significazione. In Italia, si manifestò nella Scapigliatura, alla quale parteciparono spiriti bizzarri e curiosi come Arrigo Boito, Carlo Dossi, Emilio Praga, ispirati da Giuseppe Rovani, per cui musica, plastica e poesia, come le Grazie sarebbero procedute indissolubilmente unite per le vie della storia. Arrigo Boito, nell’anelito di realizzare nella poesia il vago e l’indefinito della musica, avrebbe voluto rendere in musica la concretezza, che sarebbe appartenuta alla parola, realizzando però solo una laboriosa ed ingegnosa industria verbale, di gusto quasi secentesco Nella musica non dimostrò carattere innovatore, così nel Mefistofele avrebbe realizzato un lavoro di scarsissimo significato paragonato al procedere del romanticismo tedesco, che viveva la fioritura estrema dell’arte wagneriana.

Giovanni Pascoli fu l’unico poeta italiano capace di accostarsi, talvolta, a Verlaine e Mallarmé, anche se la sua ispirazione sarebbe maturata nell’esclusivo alveo di un’esperienza e d’un temperamento, che non avrebbero rispecchiato l’orientamento di una civiltà artistica, che fiorì in territorio francese, trovandoci nelle caratteristiche del gusto e nelle condizioni del momento storico le intime ragioni del suo accento e della sua raffigurazione. La poesia simbolista si pose quale reazione alle consuetudini più inveterate della poesia francese, la quale inclinò verso l’intellettualismo, all’oratoria, in un’oscillazione completa tra l’enfatico e il prosastico, che spesso scivola nel prosaico.

In Italia, il verbo poetico dantesco rimase inaccessibile fino al risuonare della lirica leopardiana; mirabile fu la trasparenza del linguaggio petrarchesco, così ricca di gradazioni; Torquato Tasso iniziò il processo di musicalizzazione della lingua, che toccò il più alto grado di levigatezza esteriore e di perfezione di artificio letterario in Metastasio.

In Francia, la poesia fu prevalentemente, se non esclusivamente ragionata, eloquente e declamatoria, cosicché i simbolisti vollero realizzarne un linguaggio interiore ed emotivo, voce del sogno e del mistero, musica dell’anima espressa in parole. Intesero il potere evocativo della musica ridotta a mera sonorità, eludendone l’aspetto architettonico e costruttivo del contrappunto e della polifonia, poiché sarebbe stato interessante cercare nella parola la suggestione della nota nell’espressione di quello stato d’animo complesso e vago, nella traduzione verbale di quegli erramenti fantasiosi e di quelle misteriose torbidezze.

Così Debussy e Ravel integrarono Verlaine e Mallarmé, realizzando incomparabili effusioni, immateriali concretezze formali, in cui avrebbero espresso con piena adeguatezza la spiritualità di quell’ambiente. Soprattutto Debussy risolse il problema espressivo, implicito della poesia simbolista, in termini di pura musicalità, raccogliendo l’incentivo di quei poeti, per trasfonderlo nel palpito della nota immortale, nel compiersi di quella rivelazione dell’inesprimibile, che rappresenta l’ultima significante parola del romanticismo.

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