«Quando tu te ne sei andata, dianzi, non ho potuto trattenere le lacrime: lacrime di immensa tenerezza e di immenso rammarico.
Ti amo, ti amo con una veemenza di passione e con una purità di devozione non mia provate prima. Tu sei la mia sorella e la mia amante. La tua pietà mi è cara come il tuo amore.
Oggi tu eri tanto tanto soave. Ti vedo ancora e mi sento strugger dentro, indicibilmente.
La notte che si approssima mi fa paura. Sentirai, sentirai almeno il mio pensiero incessante?
Addio, adorata. Amami, sorreggimi col tuo amore.
Quando tu mi sei vicina, io spero. Quando tu ti allontani, io dispero.
Riposati; sognami.
Addio anima, anima mia!
Roma, 18 novembre 1889 ore 5 pomeridiane»
Per un attimo, che sa di eterno, i due amanti si sono incontrati, forse confusi tra gli amici, in cerca quindi di riparo, al fine di confessare le proprie emozioni e dispensare tutte le attenzioni. Poi, dopo tanti sorrisi, a volte forzati, è arrivato il momento dell’abbandono, che capita sempre in anticipo rispetto ai tempi dell’innamorato, che vorrebbe spezzare la potenza di Chronos! Ed invece, si trova succube di quell’atroce ed implacabile dio, che taglia colla sua falce anche le emozioni più forti. E così, ella è andata via.
Immediatamente, egli cerca un tavolino, alcuni fogli, per vergare tutto ciò che, nel momento dell’«arrivederci a chissà quando» passa per la testa, pesante, confusa, piena di pensieri, che s’intrecciano, s’intersecano, disturbandosi l’un con l’altro. Le lacrime scendono, quasi a lavare ogni pena, ogni dolore; una stringente pietà s’impossessa dell’anima amante, che, inaridita dalla sua assenza, vorrebbe da quelle lacrime trovare facile ristoro. Quelle lacrime, così copiose, da annebbiare la vista, sono la testimonianza di quanto sia sempre, ogni volta pesante l’abbandono.
La passione è travolgente e nasce da un amore, che s’incarna nelle vene, che esplode in puro e dannato desiderio di essere con lei, dentro di lei, in ogni angolo dei suoi pensieri. Eppure l’irruenza è frutto di devozione; egli infatti si sente quasi consacrato a quell’amore, espresso dal corpo di lei, così sinuoso, intrigante, pudicamente licenzioso. Ed è perciò che ella è allo stesso momento sorella ed amante. Amarsi come Apollo e Selene, quando il Sole perse la testa per la Luna, da corteggiarla spasmodicamente, fino a rincorrerla lungo tutta l’ampiezza del cielo e finalmente possederla, dietro una tenda di stelle! Ma i sentimenti sono al di fuori di qualsiasi codice morale, cosicché l’amore per lei contemplerebbe anche l’incesto, come Apollo e Selene, che consumerebbero il loro amplesso nell’eclisse, unendosi in un solo corpo. Ecco, ella è anche Selene, mostra il suo volto candido e materno. Ella è la donna, è ogni espressione della donna: attraente e partecipe di ogni atto estremo. Con il desiderio fisico, si accompagna il desiderio spirituale, che si tramuta nella pietà; ancora una volta la devozione e l’anima, il corpo di lei come il santuario sacro dell’amore.
Ella comparve delicata, serena, quasi diafana, così lontana dall’apparenza delle altre donne, sprofondate nella propria personalità e così lontane dal volto di lei, unico, impalpabile, sensibile. Il solo ricordo di quel volto motiva lo struggimento, il tormento, il logoramento interiore di lui, schiavo della passione, del ricordo, di quelle mani dolci e teneri come giunchi.
Ecco, sta arrivando il buio della notte ed egli si sente smarrito davanti a tanto avvilimento. La notte arriva, perché il candore di lei non è più. Egli è certo di pensarla…ma…ma… lei ascolterà il dolce peso del pensiero di lui? Arriveranno le onde del desiderio a irrorare di grazia la mente di lei?
Solo ella può sostenere il peso doloroso dell’amore; solo ella può lenire il dolore.
Insieme il cielo canta il destino di un felice amore; senza lei il buio della lontananza trascina a passi lenti lo sfortunato amante al suo ingrato destino di solitudine e pianto.
Riposati; sognami.
Addio anima, anima mia!