Il mito di Prometeo

Narra Apollodoro di Atene nella «Biblioteca»

Con acqua e terra, Prometeo plasmò gli uomini e donò loro il fuoco, celato in una ferula, sottraendolo furtivamente agli Dei. Quando Zeus seppe del sacrilegio compiuto, ordinò ad Efesto d’incatenare il corpo di Prometeo su un monte della Scizia, il Caucaso. Per molti anni Prometeo soffrì il supplizio di un’aquila, che durante il giorno, gli divorava il fegato, che ricresceva durante la notte. La pena ebbe termine, quando Eracle propose di sostituire il condannato con il centauro Chirone, che, essendo stato ferito, avrebbe dovuto sopportare per l’eternità la pena. Zeus accettò lo scambio, così Chirone divenne mortale e pose fine alle sue pene, mentre Prometeo guadagnò la libertà. Eracle pose quindi la corona d’ulivo in memoria delle catene.

Il titano1 Prometeo (Προμηθεύς, colui che riflette prima) con i due Elementi femminili di Acqua e Terra, plasmò l’uomo. Nella fabula, si racconta come la nascita sia legata alla combinazione di due Elementi del medesimo genere e quindi si stabilisce la supremazia del femminile sul maschile nell’atto del nascere. Prometeo ama l’uomo2, tantoché sfida gli dei, sottraendo il Fuoco, Elemento maschile, simbolo di vita e di conoscenza, quindi di capacità intellettiva. Egli vuole plasmare un nuovo essere diverso dagli animali, in grado di essere soggiogati; l’uomo deve poter soggiogare l’universo fisico. Nasconde il prezioso Elemento in una ferula, una pianta sempreverde, i cui elementi occorrono, per fabbricare una sferza atta ad educare. Il mito racconta ben oltre della semplice traduzione letteraria, quando adoperiamo la chiave simbolica. Il Fuoco è rappresentazione del Sole, il quale non solo è simbolo di conoscenza – come è già stato accennato – e chiarezza; infatti, lo strano accostamento del Fuoco – Sole colla pianta sempreverde ci può rammentare il vincolo tra l’Abete e la festa del Sole invitto, in cui l’albero sempreverde rappresenterebbe simbolicamente l’Astro, che nel Solstizio d’inverno «muore». Il Fuoco è anche simbolo dell’eterno, del già esistito e del mai perito; quindi consegnare all’uomo questo simbolo aprirebbe alla creatura la Porta Dei, che si celebra quando il Sole è nel segno del Capricorno, in occasione del Solstizio invernale.

Zeus incarica Efesto– stranamente il dio del Fuoco – d’inchiodare il Titano, punendolo così per l’atto compiuto. Prometeo sarà incatenato ad un monte della Scizia: il Caucaso, una zona impervia e desolata posta tra il Mar Nero ed il Mar Caspio. Il supplizio è terribile, perché un’aquila, animale sacro a Zeus, dovrà mangiare il fegato del prigione, che ogni notte si risanerà.

Perché proprio il fegato? Molteplici i significati simbolici, di cui si permea la fabula. Donando il Fuoco agli uomini, Prometeo li pose nella condizione di organizzare un consesso civile, essendo il Fuoco simbolo della conoscenza e quindi dell’uso corretto della ragione, attraverso il quale poter conoscere. Per gli antichi greci, il fegato era la sede del coraggio, che deve dominare l’istinto, quindi dovrà essere sublimato (divorato), perché trionfi la lungimiranza della coscienza (l’occhio dell’Aquila, che può vedere il Sole), ormai distaccata dallo scorrere di Chronos.

Il racconto di Prometeo – come spesso accade nelle fabulae – s’intreccia con Eracle, figlio di Zeus e di Alcmena, il quale, impegnato in una delle Dodici fatiche – che stiamo analizzando in altra parte di questo Blog – entra in urto con dei Centauri, noti per la loro violenza. Coloro che riuscirono a sfuggire alla strage si rifugiarono nella grotta (luogo frequente nel mito, oltreché nella fabula di Gesù), dove abitava Chirone, il più sapiente tra i centauri, tanto da essere stato incaricato da Zeus d’istruire la sua numerosa prole e quindi anche di Eracle. Quando il Tebano sopraggiunse presso la grotta, iniziò a scagliare frecce, colpendo accidentalmente al ginocchio Chirone, il quale, essendo immortale, avrebbe patito tanto strazio.

Eracle usa la freccia, arma con cui è rappresentato il segno del Sagittario – Centauro e colpisce il suo maestro senza volerlo ad una gamba, parte del corpo rappresentata dal segno zodiacale. Tutto ritorna all’interno del mito, perché si compia καιρός.

Al fine di porre termine all’insopportabile strazio, il buon Chirone baratta la sua immortalità con la mortalità di Prometeo, il quale è finalmente libero, perché Eracle uccide l’aquila gioviana. L’anziano istruito sarà assunto in cielo, originando la costellazione del Sagittario.

Secondo il racconto di Diodoro Siculo (I secolo a. C.), Prometeo era un saggio amministratore della terra d’Egitto, quando Osiride ne era Faraone. Il Nilo, che Prometeo chiamava aquila, tracimava ogni anno e così Prometeo era costretto a servirsi del soccorso di Eracle, al fine di ripristinare l’antica diga. Quindi l’aquila (il Nilo) fu domata da Prometeo attraverso il concorso di Eracle; nel racconto di Apollodoro, l’aquila (il Nilo) disturba Prometeo, che, grazie al concorso di Eracle, sarà salvato.

Erano bravi questi antichi!

 (1) sono gli dei della prima generazione, creati da Urano e Gea.

(2) è curioso rilevare come la parola sanscrita bhûmi, da cui deriva homo e quindi uomo,  significhi elemento nato dalla Terra

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