Gli ultimi tempi di Gian Lorenzo Bernini nella Roma di Innocenzo XI

Nel 1713, si pubblicò la biografia «Vita del cavalier Giovanni Lorenzo Bernino descritta da suo figlio» dedicata al cardinal Lodovico Pico della Mirandola a spese di Rocco Bernabò.

Innocenzo XI (1611 – 1689)

Nel Capitolo XXII, l’autore annotò la vita dell’illustre babbo sotto il regno di Innocenzo XI, il cardinale «Benedetto Odescalchi, che in due conclavi era stato de’ più vicini al soglio, in quello finalmente, in cui per la morte di Clemente X si adunarono i cardinali, fu concordemente promosso al Pontificato».

Il neo Papa inaugurò una politica sparagnina «forse perché prevedeva la necessità di un sì gran capitale, per doverlo poi tutto impiegare alla difesa della Fede, che fu tanto nel suo pontificato oppugnata da’ Turchi». Il Bernini accenna alla coalizione cristiana, che la Santa Sede nel 1683, promosse, per circoscrivere l’avanzata dei Turchi, minacciosi, dopo l’Ungheria, su Vienna.

Gian Lorenzo Berninii: Sepolcro di Alessandro VII

Nonostante il neo pontefice riformasse la Curia, e tagliasse le prebende per i parenti, salvò le prerogative già acquisite dallo Scultore, il quale, essendosi impegnato in precedenza per il sepolcro di Alessandro VII, nonostante gli anni ed i problemi di salute, intese portarlo a compimento. Lo pose «in una gran nicchia [di S. Pietro] sopra la porta, che conduce dalla sacrestia alla Chiesa, coperta da una pietra semipreziosa, il diaspro siciliano e disegno la figura della morte di metallo dorato in volo e con una mano tenesse sollevata la coltre, quasi coprendosi vergognosamente la testa, e coll’altra mostrasse con un horologio già terminate le sue hore ad Alessandro, che in figura di Marmo al doppio del naturale si fa vedere di sopra in ginocchi nel mezzo della nicchia. Da i due lati della più bassa parte veggonsi la Carità, e la Verità, medesimamente in marmo; di sopra la Giustizia, e la Prudenza, ed in ultimo l’arme di quel Pontefice con due grandi ale, che la reggono, che dà finimento a tutta l’Opera». La Verità fu giustamente rappresentata nuda (dire la «nuda» verità); contro ciò insorse il Pontefice, che pretese un panneggio di metallo, dipinto di bianco dal Bernini.

 Fu l’ultimo lavoro dello Scultore.

«In essa compendiò e ristrinse tutta la sua Arte, e benché la debolezza del polso non corrispondesse alla gagliardia dell’idea, tuttavia gli venne fatto di comprovare ciò, che prima ei dir soleva che l’artefice eccellente nel disegno dubitar non deve al giunger dell’età decrepita di alcuna mancanza di vivacità, e tenerezza, perché è di tanta efficacia la prattica del disegno, che questo segno può supplire al difetto degli spiriti, che nella vecchiaia languiscono».

Cristina di Svezia (1626 – 1689)

L’opera fu dedicata alla tanto rispettata Cristina di Svezia.

Apparsero poi delle crepature nella cupola di S. Pietro e si accusarono i lavori eseguiti dal Bernini al tempo di Urbano VIII. Lo Scultore pretese che una commissione decidesse la storicità di quei difetti e fu prosciolto da ogni accusa, poiché i commissari giudicarono tali crepature preesistenti al regno di Urbano VIII e quindi ai lavori del Bernini.

Il Pontefice, Innocenzo XI, affidò allo Scultore la ristrutturazione del Palazzo della Cancelleria; fu l’ultimo lavoro, che gettò nella prosternazione la già precaria salute dell’Artista, minata anche da insonnia cronica. Nonostante i forti inviti dei figli a dimettersi dall’incarico, il Bernini continuò in ossequio al Papa e per la sua reputazione.

Domenico Bernini dedica, quindi, un’ampia pagina alla descrizione dell’uomo, che a noi paiono assai interessanti:

«Era un Huomo d’ingegno elevato, che sempre al grande aspirava, e nel grande istesso non si quietava se non giungeva al massimo, quella medesima sua naturalezza lo portò ad una subblimità tale d’idee in materia di divozione, che non contento delle communi a quelle si appigliò, che sono per così dire la scortatoja per giungere al Cielo. Ond’ei diceva, che: “Nel rendimento di conto delle sue operazioni haveva da trattare con un Signore, infinito e massimo ne’ suoi attributi, non haverebbe guardato, come si suol dire, a mezzi bajocchi” e spiegava il suo sentimento con soggiungere che: “La bontà di Dio essendo infinita, ed infinito il merito del prezjoso Sangue del Suo Figliuolo, era un offendere quest’attributi il dubitar della Misericordia”. A tale effetto egli fece per sua divozione ritrarre in stampa ed in Pittura un maraviglioso disegno, in cui rappresentasi Giesù Christo in Croce con un mare di sangue sotto di esso, che ne versa a torrenti dalle Sue Santissime Piaghe, e qui si vede la Beatissima Vergine in atto di offerirlo al Padre Eterno, che comparisce di sopra colle braccia spase, tutto intenerito a sì compassionevole spettacolo: “Et in questo mare, egli diceva, ritrovare affogati i suoi peccati, che non altrimente dalla Divina Giustitia rinvenirsi potevano, che fra il Sangue di Giesù Christo, di cui tinti o haverebbono mutato colore, o per merito di esso ottenuta mercede”. Ed era sì viva in lui questa fiducia, che chiamava la Santissima Humanità di Christo, veste de’ peccatori, e perciò tanto maggiormente confidava, non dover esso esser fulminato dalla Divina vendetta, quale dovendo prima di ferir lui, passar la veste, per non lacerare l’innocenza, haverebbe perdonato al suo peccato».

Trascorse gli ultimi anni della sua vita, discorrendo di argomenti religiosi.

«Diceva il P. Giovanni Paolo Oliva, Generale della Compagnia di Giesù, che nel discorrere col Cavaliere di cose spirituali gli faceva di mestiere di un’attenzione tale, come se andar dovesse ad una Conclusione».

Fu partecipe delle pratiche religiose nel corso dell’intera vita: la messa mattutina, ogni venerdì, sul calar del giorno visitava la Chiesa del Gesù, per l’adorazione del Santissimo Sacramento ed ogni sera la recita della Corona. Aiutava persone in difficoltà economica, mantenendo l’anonimato; aveva incaricato sacerdoti di sua conoscenza di somministrare l’aiuto presso i più bisognosi.

«Da alcune Note, ch’egli di mano sua stendeva in un libretto appartenente agl’interessi di casa, si ha, che havendo soli tre mesi avanti sua morte due mila scudi d’oro dentro un’inginocchiatore, non ve ne furono poi trovati che ducento, e questi ordinò a’ suoi figliuoli, che gl’impiegassero ancora, come seguì in una tale Opera pia, con indizio manifesto, che i rimanenti simil’esito sortissero».

Quando sentì che la fine era ormai irrevocabile, infoltì gl’incontri con il P. Francesco Marchese, dell’Oratorio di S. Filippo Neri della Chiesa Nuova, figlio della sorella, Beatrice. Spesso pensava all’attimo del passaggio, chiedeva consigli ai suoi amici sacerdoti, al fine di abituarsi al transito.

«Con animo del tutto confermato giunse finalmente al cimento. Habbiamo di sopra già detto, quanto debilitato rimanesse di forze, ed agitato ancora nel rimanente del corpo per l’intrapresa ristaurazione del Palazzo della Cancelleria. Onde infermo finalmente di lenta febre, a cui sopravvenne in ultimo un accidente di apoplesia, che lo tolse di vita. In tutto il corso del male, che durò quindici giorni, volle, che a’ piedi del letto si alzasse come un Altare, ed in esso fece esporre il quadro rappresentante il Sangue di Giesù Christo. E quali fossero i suoi colloqui, ch’ei faceva hora col P. Marchese, hora con altri Religisi, che assistevano sopra l’efficacia di quel preziosissimo Sangue, e la fiducia, ch’ei vi haveva, possono più tosto congetturarsi, che riferirsi».

Ricevette, attraverso il cardinale Azzolini, un biglietto da Cristina di Svezia:

«Io vi prego di dire al Sig. Cavalier Bernini da mia parte, che gli prometto di fare tutti i miei sforzi per far quel che desidera da ne, a conditione ch’egli mi prometta di pregar Dio per me, e per voi, a concederci la gratia di un perfetto amore, affinché noi possiam trovarci un giorno tutti insieme con la gioja d’amore, e goder Dio in eterno. E ditegli che io già l’ho servito al meglio, che ho potuto, e che continuerò».

Molti illustri personaggi curiali si affacciarono nella camera del moribondo, anche quando il Bernini perse l’uso della parola, fu assistito dai suoi allievi più fedeli che «si ritrovarono sempre presenti al suo letto», pronti ad ogni comando del loro amato Maestro, che ancora comunicava grazie alla vivacità degli occhi e dai movimenti della mano sinistra, ché la destra era rimasta offesa a causa dell’apoplessia.

«Due hore avanti di parlare diede la benedizione a tutti li suoi figliuoli, che lasciò in numero, come si disse, di quattro maschi, e cinque femmine, e finalmente ricevuta quella del Pontefice, che per un suo cameriere mandogli nell’entrare del ventottesimo giorno di Novembre, dell’anno 1680 e ottantesimo secondo di sua vita, spirò».

Lasciò al papa un bellissimo quadro di Giovan Battista Gaulli del Salvatore, sua ultima opera in marmo; a Cristina di Svezia il suo Salvatore; al cardinale Altieri il ritratto di Clemente X, al cardinale Azzolino quello d’Innocenzo X; ed, infine al cardinale Giacomo Rospigliosi un suo quadro.

Il popolo di Roma si strinse addolorato alla famiglia dello Scultore, che venerò nella chiesa di S. Maria Maggiore, dove si sarebbero tenuti i funerali, al termine dei quali avrebbe trovato esercizio la distribuzione di laute elemosine ai poveri.

«Fu il Cavalier Bernini di giusta statura, carni alquanto brune, pelo nero, che incanutì nell’età più vecchia, occhio pur nero, e di così forte guardatura, che collo sguardo solo atterriva, ciglia lunghe, e di lunghi peli composte, ampia fronte, e maestosa, e dita tonde nell’estremità, come dalla natura formate in attitudine della professione. Fu parco di vitto, usando solo una sorte di vivanda nella sua mensa, ma avido di frutti, il cui appetito egli diceva essere proprietà annessa di chi nasce in Napoli. Sano di corpo, se non quanto patì di micranica fin’all’anno quarantesimo di sua età. Alquanto aspro di natura anche nelle cose ben fatte, fisso nelle operazioni, ardente nell’ira, alla cui vehemenza, che soleva più degli altri infiammarlo, egli applicava l’haverlo fatto ancora più degli altri operare, e finalmente con un composto tale di corpo, costumi, complessione, e naturalezza, quale si conveniva per formare un huomo d’idee grandi, e di Operazioni».

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