«Il Fuoco» di Gabriele D’Annunzio

Sarah Bernhardt (1844 – 1923)

Il 21 gennaio 1898, andò in scena presso il teatro della Renaissance di Parigi «Ville morte», traduzione francese de «La città morta» di Gabriele D’Annunzio interpretata da Sarah Bernhardt. Mentre l’autore era nella capitale francese, accompagnato dal fido Edoardo Scarfoglio, Maria di Gallese era rimasta a Roma in attesa dell’esito; la Duse in casa del conte Primoli. Alla fine di ogni atto, lo Scarfoglio telegrafò, annunciando un successo trionfale; non accorgendosi che si sarebbe trattato solo d’«applausi di cortesia», confermati dalla freddezza con cui la stampa, l’indomani, avrebbe salutato la rappresentazione. Dopo le quattordici recite annunciate, la Bernhardt decise di cancellare il lavoro.

Il 13 febbraio, Gabriele arrivò a Roma, trovando una lettera della Duse, nella quale gli chiedeva di vederlo; l’appuntamento fu fissato una settimana dopo a Santa Margherita, per trasferirsi a Nizza e poi a Cannes. Rimpatriati alla fine del mese, il Poeta villeggiò a Settignano, vicino all’abitazione della Diva, intestando il contratto d’affitto ad un suo amico, non potendo coprire le garanzie richieste dal proprietario, Giacinto Viviani della Robbia. Il 2 marzo si stabilì presso la Capponcina, dove riprese la stesura de «Il fuoco». Aiutato economicamente dalla Duse, ordinò dei lavori in casa ed acquistò cavalli e cani, mentre l’attrice era impegnata a Parigi, alla Comédie Français, nella serata d’addio di Suzanne Reichenberg. Quindi fu impegnata in altri lavori in Francia e successivamente in Spagna, onde contribuire alle spese di sostentamento del Poeta.

Fiorenzo Bava Beccaris (1831 – 1924)

Nei primi giorni di maggio, l’Italia fu attraversata da pericolose manifestazioni contro il malgoverno, guidato da Antonio Starabba di Rudinì, che ordinò l’intervento dei militari agli ordini del generale Bava Beccaris. D’Annunzio commentò i tragici fatti, scrivendo un articolo, «La primavera di sangue», pubblicato dal New York Herald e dal Morning Post di Londra, mostrando una sostanziale estraneità alla dinamica degli eventi. A metà del mese di Maggio, tornò la Duse, stremata dagl’impegni teatrali, per ritirarsi presso la Porziuncola, a pochi passi dalla Capponcina. Per la Diva non fu affatto motivo di riposo, poiché viveva con sempre più difficoltà il diabolico rapporto collo Scrittore, convivendo malamente con la sua volubilità ed il suo cinismo. Gabriele, per trascorrere del tempo con Eleonora, mise da parte la scrittura de «Il fuoco»; quindi si dedicò alla stesura di due tragedie: «La Gioconda» e «La Gloria», che annunciò al Treves. Cominciò a pensare alle «Laudi», che avrebbe steso negli anni a venire. Quando la Duse partì per Sanremo, restò alla Capponcina, per lavorare a «La Gloria», mentre dal 6 al 9 giugno visitò Ferrara, annotando ogni emozione nel «Taccuino».

Eleonora Duse (1858 – 1824)

A metà giugno, si recò a Roma, dove trovò la Duse, pronta a partire per l’Egitto, sperando di essere accompagnata dal Poeta, che accettò l’invito, nonostante la traversata, che gli avrebbe provocato pesanti indisposizioni, mal sopportando il mare. Dalla fine del mese di dicembre, al 30 gennaio 1899, Gabriele poté impreziosire i suoi «Taccuini» delle magiche atmosfere orientali. Il suo cinismo letterario si manifestò, quando la coppia visitò i giardini di Khedivé; l’Eleonora si smarrì nel labirinto, impaurita iniziò ad urlare ed a chiedere aiuto; al fine di uscire presto, s’infilò tra le siepi graffiandosi, mentre Gabriele annotava fedelmente la scena, che sarebbe stata riportata ne «Il fuoco».

Dall’Egitto, la coppia passò in Grecia, dove la Diva fu accolta da entusiastici consensi e molte famiglie nobiliari ne reclamarono la presenza nei propri salotti. Il 5 febbraio, alla presenza dei sovrani, la Duse recitò  «Sogno di un mattino di primavera». Seguì un pranzo d’onore all’Hôtel Grande Bretagne, che segnò l’assenza della Eleonora, assai stanca; Gabriele si dilettò nell’intrattenere gl’importanti ospiti fino a notte tarda; fu l’occasione anche per promettere – senza mantenere – l’imminente ritorno in aprile, al fine di mettere in scena «La Gioconda» e «La Gloria». La trasferta a Corfù fu occasione, per rimettersi al lavoro letterario, mentre l’Attrice tornava a Roma, al fine di formare una compagnia per la rappresentazione dei lavori di Gabriele. Alla fine di marzo, il Poeta giunse nella capitale, scrivendo al Treves di aver completato, finalmente, «La Gloria»: «La tua vecchia pelle di conservatore sarà presa dal raccapriccio», alludendo al contenuto rivoluzionario della tragedia. Dopo aver visitato la moglie, si trasferì a Messina, per presenziare alle prove de «La Gioconda», che la compagnia della Duse avrebbe posto in scena il 15 aprile, conquistando solo parte del pubblico presente in sala. Il lavoro fu replicato in diverse città del Sud Italia; al Teatro Mercadante, il 27 aprile, cadde rumorosamente, tantoché il D’Annunzio si decise a ritirare definitivamente il lavoro. Durante ogni rappresentazione, il Poeta era in sala, perché costituiva un’attrattiva per la platea, a cui mostrava un algido atteggiamento. In quella lunga serie di spettacoli, la Duse ebbe la significativa affermazione della natura del Poeta, sempre pronto ad approfittare di ogni occasione, al fine di arricchire la lista delle donne conquistate.

Romain Rolland (1866 – 19244)

Tornati alla residenza di Settignano, per il Poeta si aprì una delle stagioni più felici della sua carriera letteraria, scrivendo alcune delle «Laudi del Cielo, del Mare, della Terra e degli Eroi» e in particolare «La sera fiesolana» e «Il silenzio di Ravenna». Trascorsi alcuni giorni di ferie a Bocca d’Arno, alla fine di luglio, pose mano a «Il fuoco», al fine di espungere alcuni riferimenti molto precisi della sua vicenda colla Duse. L’Attrice, intanto, era partita per la Svizzera, dove, nei primi giorni di settembre, fu raggiunta dallo Scrittore a Zurigo, per incontrare Romain Rolland, che annotò nel «Journal intime» quell’importante appuntamento, descrivendo il Poeta stanco, amareggiato, animato da propositi suicidi. L’amicizia ben presto divenne così intima, tantoché i Rolland furono spesso chiamati a giudici delle contese, che animavano i due italiani.

Il 12 settembre, Gabriele rientrò alla Capponcina, per lavorare a «Il fuoco»; raggiunse ancora una volta, per alcuni giorni Eleonora a Vienna, per ritirarsi a Venezia, dove avrebbe annotato preziose sensazioni, visitando la camera di Richard Wagner. Al suo rientro a Settignano, fu invaso dalle richieste dei creditori, dalle preoccupazioni per la cattiva condotta scolastica del figlio Mario, fastidi dal fratello, Antonio, e le continue richieste di danaro da parte della Gravina.

Il 13 novembre si recò alla Camera dei Deputati; poi ancora una volta a Settignano, per attendere alla stesura de «Il fuoco».

Giovanni Pascoli (1855 – 1912)

Il 15 gennaio 1900, il D’Annunzio tenne una lettura dantesca presso Orsanmichele in Firenze, pubblicato poi su Flegrea, che non ricevette felici commenti da Giovanni Pascoli. Sempre nel mese di gennaio accanto alla stesura de «Il fuoco», iniziò a lavorare al «Compagno dagli occhi senza cigli», che contava di terminar in pochi giorni, sicché fu infastidito dalle condizioni di salute non buone della figlia Cicciuzza, e dalla polemica, piuttosto pettegola sui passatempi del D’Annunzio, scatenata dal Pascoli.

Il 13 febbraio, finalmente, poté dichiarare finito «Il fuoco»; immediatamente ne informò la Duse, il Treves e l’Hérelle, che ne avrebbe curato la traduzione in francese.

Il romanzo è il racconto impietoso del suo rapporto con Eleonora, sotto i panni di Stelio e la Foscarina; il successo fu immediato, anche per una certa curiosità erotica, accesa dal racconto molto particolareggiato di alcuni amplessi del Poeta coll’Attrice. La Diva ne permise la pubblicazione, perché «la mia sofferenza, qualunque essa sia, non conta quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana. E, poi, ho quarantun’anni… e amo!». Nel romanzo, il Poeta raccontò anche dei trascorsi erotici di Eleonora, della sua psicologia, i risvolti patologici della gelosia e l’ossessione di perdere il suo giovane amante, sempre perso dietro a nuove esperienze. I pettegolezzi, che si scatenarono tra i lettori, sicuramente colpirono la sensibilità della grande Attrice, che vide pubblicata l’intera sua vicenda intima e le sue indubbie carenze. Il rapporto non ebbe crisi ad affrontare e forse Eleonora si sentì eternata in un’opera, che avrebbe potuto attraversare i secoli. Gabriele seppe solleticare il gusto morboso del lettore, attrarlo attraverso il racconto di scene ardite e certe critiche negative sul piano artistico furono presto dimenticate.

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