Il mito di Cadmo dalle «Metamorfosi» di Ovidio

Hendrick Goltzius. Cadmo uccide il drago (XVII secolo circa)

Agenore, re di Tiro, ordinò al figlio Cadmo di mettersi in cerca della sorella Europa, minacciandogli l’esilio nel caso non l’avesse trovata. Percorso l’intero globo e non trovata la sorella, Cadmo evitò di tornarsene in patria; si rivolse all’oracolo di Febo, il quale gli confessò che in una terra deserta avrebbe trovato una giovenca, che mai aveva subito il gioco; essa lo avrebbe condotto verso una pianura, su cui avrebbe innalzato delle mura, chiamandola Beozia.

L’eroe si mise in marcia e quando discese dall’antro di Castalia, vide una giovenca, che non recava alcun segno di schiavitù. Si pose a seguirla ed insieme raggiunsero una piana; quando l’animale si fermò, levando la fronte al cielo e riempiendo l’aria di muggiti, Cadmo attese che la giovenca gli si avvicinasse, per stendersi vicino. Egli impresse dei baci sul suolo e onorò immediatamente Giove, ordinando a dei servi di recarsi ad attingere dell’acqua per la cerimonia, ad una sorgente presso una foresta, nascosta sotto una bassa volta.

A guardia della fonte, un serpente, generato da Marte, e screziato di squame d’oro, con gli occhi di fuoco, e pieno di veleno, dotato di tre lingue guizzanti tra tre file di denti. Appena i servi gettarono l’anfora, per raccogliere l’acqua, il serpente si svegliò tra atroci e sibili orrendi, mentre, attorcigliandosi su se stesso, si erse al di sopra delle fronde dei rami. Attaccò i servi, uccidendoli. Cadmo, constata la lunga assenza dei servi, si mise a cercarli. Indossava una pelle strappata ad un leone, e recava un’asta smagliante di ferro, ma la sua arma micidiale era l’invitto coraggio, che nutriva nel cuore. Giunto nella foresta, vide i cadaveri dei suoi uomini, deciso a vendicarli, scagliò contro il serpente un sasso enorme, non ferendolo affatto. Miglior fortuna ebbe il dardo scagliato, che si conficcò nella spina dorsale dell’animale, il quale la strappò dalle sue viscere per mezzo della bocca. Solo il ferro gli rimase tra le ossa, provocandogli un insanabile dolore, per cui ammorbò con l’alito l’aria, mentre continuava a muoversi sconsideratamente per il dolore. Cercò il feritore, che s’era rifugiato nelle spoglie del leone, che gli conficcava la lancia nel suo palato, fin quando finalmente ebbe la moglie, trafiggendogli la gola.

Mentre l’anima rantolava, una voce si udì: «Perché, figlio di Agenore, guardi quel serpente ucciso? Tu stesso come serpente sarai guardato».

Ecco che appare la comunicazione con gli Dei, i quali avvisano, sempre con presagi, gli uomini, che stanno andando incontro al loro destino.

Quelle parole smarrirono Cadmo, così dal cielo, Atena discese, per ordinargli di dare sepoltura ai denti del drago, prodromi di un popolo futuro. E così l’Eroe ubbidì ed appena finita l’opera, la terrà iniziò a tremare, e dalle fratture terrestri affiorarono delle picche di lance, quindi degli elmi ed una serie sterminata di armati. Cadmo sarebbe stato pronto a difendersi, se non avesse ascoltato una voce, che gli ordinava di non intromettersi in guerre civili. In quel preciso momento, uno dei soldati fu colpito da un dardo, mentre infuriò la battaglia, che provocò la fine immatura di quella gioventù, salvo cinque soli superstiti, tra cui Echione, che gettò le armi al suolo, eseguendo l’ordine di Atena e rappacificandosi coi fratelli.

Quei superstiti contribuirono alla fondazione di Tebe, città voluta dall’oracolo di Apollo, dove Cadmo trovò rifugio, protetto da Marte e Venere, e babbo di numerosissima prole.

Il cammino dell’Eroe è sempre cosparso di tragici eventi: il dolore quale porta, per entrare in una dimensione superiore, oltre, lontana.

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