Una visita a Gabriele D’Annunzio. Il Poeta nella solitudine del suo studio

Il 10 gennaio 1910 il direttore della Rivista di Roma, si recò in casa di Gabriele D’Annunzio, alla Marina di Pisa, il quale stava per licenziare il romanzo «Forse che si forse che no».

Il D’Annunzio informò il direttore che redasse il romanzo sempre durante le ore notturne, nella calma e nel silenzio interrotto, lontanamente, solo dal suono del mare. Il lavoro fu composto in soli cinque mesi: dall’agosto al dicembre del 1909, lavorando e cesellando ogni parola, definendo ogni periodo. Lavorò ad un manoscritto di novecento cartelle e così come avvenne per altre opere, non avrebbe mai consegnato l’originale all’editore: «Piuttosto che dare il mio manoscritto, rescinderei il contratto». Per ciò è riuscito a conservare ogni copia originale; solo il manoscritto de «La Nave» fu donato al Municipio di Venezia.

La stanza, dove lavorava il Gabriele, era arredata con un ricchissimo tendone di damasco, molti tappeti turchini e persiani, altre stoffe damascate sui mobili e sui tavoli, poste disordinatamente. Un pianoforte nell’angolo con delle riviste adagiate, mentre sul caminetto alcuni libri, tra cui «Il Teatro di Gabriele D’Annunzio», tradotto in francese dall’Herélle, con accanto una traduzione, sempre in francese, del «Così parlò Zarathrusta» ed alcuni classici italiani, tra cui il Machiavelli.

«Questo villino mi piace – osservò il Poeta – perché mi pare di stare su una nave, essendo il Mediterraneo tanto vicino da sembrar d’essere entrato in casa durante una mareggiata violenta».

Volontariamente s’isolò da ogni consorzio umano, per scrivere, perdendosi all’interno di una pineta, dove trovò la giusta ispirazione, per scegliere le parole così come un pittore coi colori, scrivendole sopra dei piccoli fogli, trattenuti dalle cartelle del manoscritto.

Il cronista provò a decifrare quegli appunti: impossibile, tanto la grafia si realizzava minuta e confusa; eppure con quelle parole appuntate il D’Annunzio cesellò il suo romanzo, tenendo con sé lo strumento più potente: il vocabolario.

«Questi parlano e scrivono con ottocento sole parole – dice il D’Annunzio -. Io finora ne ho usate almeno quindicimila. Molte ne ho richiamate in vita, e a molte ho dato significato ed accento nuovo, e ad ogni libro ripeto il lavoro di sfoglio dei classici e del vocabolario, sicché in “Forse che si forse che no” ho posto in opera non meno di duemila vocaboli nuovi. La nostra lingua è così ricca, così straordinaria, così viva. E sapessi in quali scrittori ho trovato materiale nuovissimo! Ora in un antico libro di agricoltura (lo sa il Novati che ha scoperto la fonte da un mio passo sull’ulivo nelle “Laudi”), ora nella traduzione trecentesca di Ovidio, ora in un libro del Machiavelli. I libri dei grandi italiani sono il mio pane quotidiano. Alla Capponcina ho in più raccolto, forse la seconda, la terza che esista di classici italiani, e solo la Crusca ha i due o tre volumi del tutto introvabili che mi mancano tuttora».

Quindi, lo Scrittore ricordò, rattristandosi, la Capponcina:

«Là ho vissuto tante commedie e tanti drammi, e tante commedie finite in dramma».

Nel nuovo romanzo, parte importante rivestì l’episodio dell’aviazione, che risultò particolarmente curato, ed il D’Annunzio, in questa parte, riportò in vita il lemma velivolo.  

«Sarà adottato? – proseguì D’Annunzio – Chi sa; certo i francesi hanno tradotto alla lettera ed il velivol figurerà nel romanzo volto in francese per la “Grand Revue”, che incomincerà a pubblicarlo nel giugno 1910».

Questo romanzo è costato al D’Annunzio anche la rinuncia alla quotidiana corrispondenza con gli amici più intimi:

«Sono sei mesi che non scrivo a nessuno».

Quindi, uscimmo da casa ed il Poeta esclamò:

«Hanno rovinato la Marina di Pisa! Non è più quella isolata, solitaria, disputata spiaggia del tempo in cui veniva il pittore Nino Costa».

Nel congedare il giornalista, il Gabriele gli confidò il titolo del prossimo libro: «La madre folle»:

«Se non farò un capolavoro, la colpa non è mia, perché il soggetto è il più bello che abbia mai ideato. Sullo sfondo della Maremma, di Piombino, e gli alti forni all’Elba, e le fornaci, il cui direttore è un discendente dell’ultima donna della stirpe del Buonarroti».

Per scriverlo, si trasferirà, in primavera, per sei mesi, solitario e tranquillo, in Maremma.

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