«…m’insegnavate come l’uom s’etterna». Il Canto di Brunetto Latini

Sotto quella tetra luce e in quell’atmosfera di pioggia infuocata, un luogo spaventosamente grande, nel quale Dante s’imbatte nelle anime tormentate di Capaneo, del suo maestro, Brunetto, e Guido Guerra.

Il tristo fosso e la selva dolorosa sono da cornice alla terribile landa, sulla quale innumere greggi di anime nude passano: coloro che sono stati violenti contro Dio sono supine; sedute chi si armò contro l’arte, mentre coloro che furono contro la natura sono costrette a camminare continuamente, sotto le falde infuocate, che ne dilania le carni, fino a provocare un pianto straziante.

Fuori la selva, il fiume Flegetonte, sul quale piove fuoco. I Viandanti procedono lungo il duro argine, simile a quello costruito nelle Fiandre tra Wissant e Bruges, che impedisce alle onde marine di far danni; o come quelle che lungo il Brenta difende le ville e i castelli.

Ecco apparire da lontano una lunga schiera di spiriti, che passano frettolosamente. Quando s’accorgono della presenza dei Viandanti, volgono lo sguardo; i volti sono ustionati e sanguinosi, sicché la vista è infiacchita e faticano nel vedere. Solo un’anima riconosce Dante ed, afferrandogli il lembo della vista grida: «Qual maraviglia!». Nonostante lo cotto aspetto, il Poeta riconosce la voce paterna del suo maestro:

Siete voi qui, ser Brunetto?».

Egli non sembra esprimere meraviglia, ma un sincero ed intenso dolore. Il Latini può fingere sorpresa nel vedere il suo Allievo, ma Dante no, perché sa. «Egli fue cominciatore e maestro in digrossare i Fiorentini, e farli scorti in bene parlare, e in sapere guidare e reggere la nostra repubblica secondo la Politica1».

Dopo pochi anni della morte, giunta nel 1294, fu dimenticato dai Fiorentini.

Ben conosciamo la furia, con cui Dante si scaglia sui peccatori; con Brunetto, invece, mostra riguardi e rispetto, rivolgendosi, in segno di rispetto, col voi.

Così dopo aver chiesto ed ottenuto da Virgilio il permesso di fermarsi, è paternamente rimproverato da Brunetto, ché, qualora accettasse, dovrebbe per cento anni non usar le mani, al fine di donarsi requie da quel fuoco eterno. Dante china il capo com’uom che reverente vada. Non accenna a Virgilio, probabilmente perché era poco noto a Brunetto, il quale vaticina la triste sorte, che subirà il Poeta a causa di quell’ingrato popolo d’orbi;  gent’è avara, invidiosa e superba: che viene da Fiesole. Quindi rassicura Dante che sarà assistito comunque dalla fortuna, che gli serberà onore e perciò il Poeta mostra gratitudine, promettendogli

Ciò che narrate di mio corso scrivo,

e serbolo a chiosar con altro testo

a donna che saprà, s’a lei arrivo2.

Dante lo assicura d’esser pronto a ricevere tutto ciò che la fortuna gli riserverà, a patto di non dover scendere a compromessi colla sua coscienza.

Il Poeta vorrebbe conoscere i nomi dei suoi più noti compagni, ma Brunetto stabilisce che potrà avvicinarne qualcuno, certo non tutti poiché occorrerebbe troppo tempo. Conoscerà un grammatico, Prisciano di Cesarea, il giureconsulto Francesco d’Accursio, ed il vescovo Andrea de’ Mozzi.

Quindi Brunetto è costretto ad interrompere la cara conversazione:

Sieti raccomandato il mio Tesoro

nel qual io vivo ancora, e più non cheggio3

Altro non chiede, né spera.

La figura di Brunetto riprende la corsa affannata, perdendosi nell’aria di color perso e di notte infuocata.

(1) GIOVANNI VILLANI Cronica. Letteratura Italiana Einaudi, a cura di G. Porta; Fondazione Pietro Bembo/Guanda, Parma 1991. Tomo Secondo, Libro IX, Capitolo X; pag. 537.

(2) DANTE ALIGHIERI. Inferno, Canto XV, vv. 88 – 90.

(3) vv. 119 – 120.

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